“Con la pandemia sta vincendo l’ideologia eugenetica del capitalismo”. La riflessione della prof Laura Marchetti

by Antonella Soccio

Quando la raggiugiamo al telefono, l’intellettuale Laura Marchetti, ex parlamentare e docente universitaria di Scienze dell’Educazione e della Formazione all’Università degli Studi di Foggia, ha appena inviato un suo intervento al Manifesto, sul tema dell’ideologia eugenetica del capitalismo occidentale, pubblicato oggi.  

Noi di bonculture abbiamo intervistato la professoressa, consulente e collaboratrice del Dipartimento di Cultura e Turismo della Regione Puglia sull’affascinante progetto delle Strade delle Fiabe, strade che mai come col Covid-19 sono vuote e foriere di morte, per il solo contatto con un nemico invisibile.

Professoressa Marchetti, in questo nuovo mondo vuoto e spettrale, il racconto e la fiaba come possono aiutarci per non cadere nell’angoscia più cupa?

Dobbiamo andare a prendere Boccaccio e l’intenzione con cui Boccaccio scrive il Decameron durante una peste tremenda, ma non come questa. C’è una frase di Boccaccio importante, più della storia in se stessa di questi giovani che si ritirano in campagna per raccontarsi le fiabe, la frase è che non solo “Non dobbiamo morire”, ma “Non dobbiamo vivere incivili” e questa è la grossa partita in gioco. Noi non dobbiamo morire e dobbiamo vivere civili e quindi dobbiamo mettere in campo delle cose, delle idee, delle pratiche per cui il mondo del dopoguerra sia civile. La cosa non è facile, perché quello che si vede in questi giorni da tanti punti di vista.

Si è detto da più parti della caccia all’untore, in alcuni territori si cominciano a negare anche i diritti alla mobilità per i migranti nei ghetti. Si arriva ad ipotizzare la soppressione di alcune corse dei bus, lei che ne pensa?

Fanno bene se le sopprimono, il grande costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che è un grande teorico della libertà, di fronte a questa emergenza dice che la libertà personale va tutelata sempre, però se è in gioco la libertà degli altri e la loro salute, anche limitare la libertà personale va bene. Se per un momento noi ci fermiamo e rinunciamo a una parte della nostra libertà per il bene comune, non è la fine del mondo, anzi va fatto. Per esempio va contratta ancora di più la libertà di impresa, perché nonostante il Decreto ci sono le corporazioni che hanno chiesto di rimanere aperte. Corporazioni, sì. Non si capisce perché avvocati e commercialisti devono rimanere in piedi, non si capisce perché alcune fabbriche, comprese quelle delle armi, devono rimanere, se non con una grossa pressione che le corporazioni stanno facendo al Governo, il quale Governo deve decidere in questo momento tra l’economia e la morte e sono passati troppo giorni dalla denuncia dalla situazione lombarda, in cui una delle cause era l’inquinamento, l’alta densità della popolazione, ma soprattutto il fatto che nella sola zona industriale di Bergamo rimanevano aperte 10mila imprese.

Eppure la politica della Lombardia invoca da tempo la chiusura delle fabbriche. Lo ha fatto il sindaco Giorgio Gori, il presidente Fontana.

Io parlo del Governo, non degli amministratori locali che conoscono la situazione, anche se all’inizio con tutti gli slogan Milano resta ferma, Bergamo resta aperta, c’è stato un incitamento agli spettacoli, con un ridimensionamento del rischio e il segnale è stato sbagliato. Ma ora il Governo centrale, lo Stato, la Repubblica deve prendere atto che non si può più giocare e quindi deve chiudere tutto.

FCA è tra le poche grandi imprese ad aver deciso autonomamente prima del decreto del Governo a chiudere i suoi stabilimenti. C’è una differenza tra il grosso e solido capitalismo e quello piccolo e medio?

Non so, certo è che il capitalismo sta vincendo, perché sta vincendo la sua ideologia eugenetica, sta prendendo piede in tutta Europa. Dal documento degli anestesisti spagnoli alle dichiarazioni sull’immunità di gregge degli inglesi fino alle scelte che stanno facendo, dicendolo e non dicendolo negli ospedali italiani, per cui si deve scegliere tra i giovani e i vecchi, tra i deboli e i forti.  È una ideologia eugenetica, che conviene al capitalismo perché nel capitalismo i forti sono anche i produttori, gli altri è meglio che vengano rottamati. L’altro punto di preoccupazione è il rapporto con gli anziani- e qui possiamo rimettere in gioco il tema della fiaba. È passata tacitamente l’idea tanto sono solo vecchi, o erano già malati. Questa è una frase di un cinismo estremo che menomale è stata fermata dalla dichiarazione del Presidente della Repubblica, che invece ha detto: “Ci fa riflettere il patrimonio affettivo e di saperi che i giovani e tutti noi abbiamo perduto con queste morti”.

Non stiamo vivendo uno sdoppiamento sulla senilità? Da un lato il mondo capitalista inventa pacchetti turistici per la terza età, dall’altro interi territori spopolati vengono rivitalizzati dalle rssa che rappresentano al Sud uno di quegli investimenti sicuramente finanziati dagli istituti di credito.

Mi colpiscono due luoghi del contagio, che sono la nave da crociera e le case di cura. Sono colpiti dal virus e sono due modi di concepire la vecchiaia: da una parte ci sono i vecchi ricchi, dall’altra parte ci sono i vecchi poveri e questo dice come la nostra società ha trattato i vecchi. Se sono poveri li ha abbandonati e reclusi, se sono ricchi sono i maggiori consumatori, e quindi li ha vezzeggiati, blanditi con la pubblicità, con l’industria del turismo. Però si vede bene la condizione e io temo che questa condizione di vecchi ricchi e di vecchi poveri si ripercuota nelle scelte che fanno i medici, lasciandoli a casa.

Purtroppo questo dato si sta già verificando in Lombardia, troppi anziani, troppe persone meno informate restano per troppi giorni a casa, solo da pochi giorni l’Emilia Romagna sta sperimentando un metodo di cura interventista sin dai primi giorni di sintomatologia.

Chi può va in ospedale, prende l’elicottero, chi non può muore a casa. Fondamentalmente e sotterraneamente rimane il cinismo verso chi è debole, chi è fragile, chi è malato. Questo è il discorso più devastante che stiamo facendo, il fatto che si giudichi sulla qualità di una vita, ledendo il principio di uguaglianza della nostra Costituzione, per cui non ci sono vite migliori delle altre, vite che valgono più delle altre. Io capisco che un medico che ha un solo ventilatore ad un certo debba scegliere, ma una cosa è se lo rimanda alla sua coscienza tacitamente, come abbiamo visto pietosamente fare in tanti momenti, un’altra se questo principio viene ratificato, addirittura come hanno fatto in Spagna, che per sottrarre la responsabilità alla coscienza singola hanno redatto un documento di medici e anestesisti, giustificando teoricamente questa scelta.

Nella fiaba il personaggio dopo tante peripezie arriva spesso all’oasi. Ritiene ci sia un’oasi in questa pandemia?

No, non c’è per niente, non c’è oasi in questa pandemia: la cosa più grave è andare sui balconi è cantare Azzurro o suonare le tamborre, perché intanto ci sono i morti, che dobbiamo piangere sennò siamo disumani, però dobbiamo intravedere una prospettiva ed una prospettiva si può intravedere se tu metti a punto delle cose, se tu rifletti. Cenerentola prima di darsi al principe tre volte si nega, perché sta riflettendo. Il personaggio della fiaba non arriva subito al lieto fine, supera delle prove, che sono prove di riflessione. Noi dobbiamo riflettere su tante cose: sul modello sanitario, sullo sviluppo industriale, sul regionalimo egoista, sull’angoscia del rapporto vita morte, sul rapporto giovani anziani, sulla didattica a distanza che ci stanno propinando. C’è un mare di cose a cui pensare per far sì che tutto questo non avvenga più. Questa scorciatoia verso il lieto fine, attraverso l’effimero, gli spettacoli, il divertimento è una cosa per me oscena. Oscena.

Fa parte anche questo approccio del capitalismo?

Certo, del consumismo, andiamo avanti: the show must go on. Questo significa che dopo sarà tutto uguale, se non ci fermiamo a riflettere, sarà tutto uguale: riprenderanno le fabbriche inquinanti, riprenderà una globalizzazione senza controlli sanitari e ambientali e sindacali, ritornerà l’egoismo del regionalismo. Con un peggioramento perché l’eugenetica sarà economica e il nemico è l’altro, ma in questa situazione il nemico diventa tuo figlio, tuo padre. Questo è tremendo.

Lei che ne pensa della colpevolizzazione dei giovani che sono ritornati al Sud dal Nord? In tanti casi si trattava di giovani precari sfruttati dal produttivismo capitalista.

Sono figli nostri, precari, si trovano soli in quella situazione. Era lo Stato che avrebbe dovuto controllare e prevedere degli spazi intermedi di accoglienza.

Perché secondo lei non è stato fatto? Era così difficile mettere a disposizione per le quarantene degli alberghi vuoti?

Bastava requisire degli alberghi vuoti e far stare questi giovani che hanno perso il lavoro, che hanno avuto gli studi interrotti in una zona franca, in cui potessero fare la quarantena.

Forse non ci sono idee, perché tante cose non si fanno? Perché si tengono i contagiati in casa? Perché non si trovano altre forme intermedie di cura, che non siano gli ospedali? Perché si va a toccare il privato, requisire gli alberghi non è una scelta indolore.

Un’ultima domanda, professoressa, sulla didattica a distanza, necessaria e fondamentale. Eppure è sembrata anche questa una forma per accelerare, per nascondere l’angoscia. Ai bambini e ai ragazzi non si è dato neanche il tempo per assimilare il dramma epocale che stiamo vivendo. O no?

Sì, dice benissimo. Ci sono state varie fasi. All’inizio ci sono stati quelli che subito si sono buttati in questa necessità di non interrompere neanche un giorno di scuola. A me hanno fatto proprio ridere, perché bisogna dare anche il tempo di maturare un avvenimento, questa è la crescita. Adesso si pone un problema di lungo periodo: devo dire che queste lezioni possono servire anche a mantenere un rapporto con i ragazzi. Però dobbiamo sempre dire ai venditori di computer che questa è una situazione di emergenza perché la didattica non si può fare on line, la didattica è un corpo a corpo. La didattica si fa guardando negli occhi i ragazzi e facendosi guardare negli occhi dai ragazzi. E noi possiamo usarla in questa situazione di emergenza, però poi dobbiamo ritornare alle aule vere e non alla flipped classroom. Temo che questo sarà un altro dei problemi: ho visto una cifra spropositata che non hanno messo sulle mascherine e sui farmaci, ma che hanno destinato alla didattica a distanza. Che non hanno messo per la scuola, quando la scuola non aveva neanche i gessetti, ma che hanno messo adesso perché poi le multinazionali e i venditori di computer possano far sì che questa pratica di emergenza diventi la pratica del sempre. Qualcuno già teorizza questa didattica, senza neppure più chiamarla didattica a distanza.

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