Contro le fragilità sociali, immaginare una nuova idea di paesaggio

by redazione

Dal 18 dicembre torna in una forma inedita “Sette Giorni per Paesaggi: il Festival che indaga il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive si trasforma in podcast. Saranno sette puntate, disponibili su storielibere.fm, fatte di approfondimenti, lectio e incontri che ci traghetteranno verso un nuovo incontro fisico per l’edizione 2021.

Questa edizione ponte sarà dedicata agli Immaginari del limite: un tema – centrale in questo momento storico, che ci ha ricordato come il vivente e il non vivente siano strettamente connessi – che nasce dalla necessità di indagare la relazione tra il paesaggio e le forme dell’abitare. Saranno tanti gli ospiti che parteciperanno con le loro riflessioni: da Ugo Morelli a Davide Assael, da Anna Zegna a Francesco Erbani e poi Alice Benessia, Antonio De Rossi, Michele Carini. Co- direttrice artistica del festival, insieme a Claudia Losi, Giovanna Cavalli – architetto e co-fondatrice di EN Laboratorio Collettivo – che anticipa a bonculture una riflessione su quello che spesso è pensato come un limite dell’abitare.

Le fragilità sociali e territoriali si traducono nello spazio e nel modo di fruirne. Ciò accade in particolare nello spazio pubblico, teatro unico in cui le culture e i saperi si mescolano.

Secondo una ricerca delle Nazioni Unite, nel mondo più di un miliardo di persone vive in quartieri informali nelle periferie delle megalopoli, quartieri immensi auto costruiti dai residenti, che non hanno accesso ai servizi, che non si fondano su nessun diritto di proprietà e che non hanno alcuna relazione con le città ai margini delle quali sorgono.

Il Politecnico di Milano ha avviato un Dipartimento di eccellenza che nei quattro anni tra il 2018 e il 2022 si è occupato e si occuperà di Fragilità Territoriali. Come si legge sul sito dello stesso Politecnico, il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani dedicherà le proprie forze a esplorare i processi articolati e plurali di fragilizzazione del rapporto spazio-società, con particolare riferimento al territorio italiano ed europeo, guardando al fenomeno in termini di esposizione a molteplici e differenziati fattori di rischio: ambientale, sociale, economico, politico, istituzionale.

Sono pochissime informazioni che raccontano come quello delle fragilità sia un tema centrale, un argomento che dovrebbe diventare strutturale nell’affrontare qualsiasi attività relativa all’architettura, alla città e al territorio.

Possiamo parlare di territori fragili, o di fragilità sociali, con doverose e molteplici distinzioni ma il tema costante è una rottura avvenuta o imminente, che rende un ambiente fragile. Di ordine sociale o naturale, questa rottura deve spingerci a una riflessione che ci porti non a ristabilire una precedente situazione bensì a riformulare lo sguardo, allenarci a leggere il contesto, ampliando i parametri, spingendoci ai margini del pensiero.

Rispetto al territorio che viviamo, in questo tempo, viene naturale chiedersi se il futuro sarà segnato da un cambiamento della relazione tra il paesaggio e le forme dell’abitare. La dialettica urbano/naturale, città/campagna (e insieme urbano/suburbano, formale/informale) popola il nostro immaginario come retaggio culturale antichissimo che ha dato origine a tutte le città europee e porta inevitabilmente alla separazione dei concetti uomo e natura. Secondo la mia esperienza lo sforzo che occorrerebbe fare, già in atto a livello di ricerca e dibattito culturale ma non radicato nella coscienza collettiva, è quello di cambiare punto di vista. La città è paesaggio, la campagna antropizzata è paesaggio, il naturale è paesaggio, l’uomo è paesaggio. 

Il nostro modo di abitare gli spazi non ha tenuto in considerazione per molto tempo il fatto che l’uomo è solo una parte del tutto; oggi – date anche le situazioni pandemiche che ci troviamo a vivere – occorre ripartire mettendo al primo posto un sentimento ecologico che ci permetta di immaginare prospettive future e inclusive.  Servono nuovi strumenti dicevamo, la collettività e lo scambio devono essere alla base della costruzione di questi: serve una grande predisposizione all’ascolto sia del paesaggio, sia di chi lo vive. Per questo abbiamo pensato – grazie al Festival Sette Giorni per Paesaggi, di mettere in rete saperi eccellenti e capacità di agire sul territorio in modo ecologico, dove intendiamo ecologia come lo studio del proprio ambiente, la propria casa, la riflessione profonda rispetto alle relazioni da fondare tra aspetti che consideriamo per cultura dicotomici. 

I territori fragili sono spesso quelli che definiamo “marginali” mettendoli così in relazione con un qualcosa da cui stanno fuori. Ma, da cosa consideriamo esterno un territorio marginale? A cosa consideriamo estranea una comunità marginalizzata? Uno spazio con un confine, a una logica economica, un sistema funzionante? È la logica della separazione, utilizzata per leggere parte della società e dell’ambiente, che si rivela dannosa nel momento in cui è invece proprio il margine, il confine, il cardine per innescare la relazione e immaginare soluzioni condivise.

A partire da queste riflessioni comprendiamo come sia la collettività tutta a doversi occupare del proprio territorio, che sia urbano o non urbano, come parte di esso e non come fruitore. Come fare? Inventando nuovi strumenti, non (o non solo) tecnologici e avanzati, ma culturali: idee e tecniche che coinvolgano la cittadinanza intera, che intreccino patrimonio culturale e sguardo al futuro, discipline differenti e capacità manuali indispensabili. Come dice Gilles Clement in Dialoghi sull’urbanistica, “È molto facile cambiare le tecniche, utilizzare un nuovo strumento, una nuova macchina performante, ma è molto difficile cambiare il modo di pensare”: la sfida sta dunque nella costruzione di un nuovo modo di leggere il territorio e dunque di agirlo.  

La sfida e l’ambizione sono quelle di contribuire alla costruzione di questo nuovo sguardo che generi strumenti inediti. Per farlo usiamo la cultura per produrre spirito di comunità e partiamo dal territorio in cui viviamo e che meglio conosciamo, come laboratorio di indagine.

GIOVANNA CAVALLI – BIO

Giovanna Cavalli, architetto, vive e lavora a Piacenza, dove si occupa di progettazione architettonica e ristrutturazione.  Porta avanti, tramite concorsi di progettazione, una costante ricerca relativa all’edilizia scolastica e allo spazio in relazione alle forme di apprendimento che le è valsa molti riconoscimenti nazionali e internazionali.  Sin dalla laurea si occupa di progettazione in contesti di marginalità, un’attività sviluppata all’interno dell’organizzazione Architetti Senza Frontiere Italia ONLUS. Con l’Associazione segue progetti di cooperazione internazionale e sul territorio italiano. È membro fondatore di EN Laboratorio Collettivo, associazione attiva sul territorio di Piacenza e provincia che promuove iniziative culturali e ricerca legate a rapporto uomo/paesaggio, letteratura, infanzia. Con Claudia Losi ha dato vita al Festival di architettura e paesaggio “Sette Giorni per Paesaggi”. Collabora con diversi studi professionali.

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