Eolico, la Consulta mette la pietra tombale sulla disputa delle royalties ai Comuni. L’on. Angiola: «Nella sola provincia di Foggia, si otterranno 30 milioni di euro dai colossi del vento e del sole»

by Anna Maria Giannone

Una sentenza della Corte Costituzionale ha rimesso le cose in ordine nel settore dell’eolico. Le compagnie locali del vento, legate ai colossi nord europei della costruzione di aerogeneratori, negli ultimi anni si erano rifiutate di pagare le royalties, ma ora devono finalmente corrispondere quanto dovuto ai Comuni dei Monti Dauni.

Il deputato di Azione e professore universitario di Economia delle aziende pubbliche Nunzio Angiola ha seguito da vicino la questione offrendo la propria conoscenza in Parlamento a favore delle amministrazioni “rapinate” della loro bellezza paesaggistica e dei loro diritti.

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato.

Professore e onorevole Angiola, allora la sentenza mi pare storica per due ordini di ragioni. La prima riguarda ovviamente la questione delle royalties da versare ai Comuni. La seconda ancora più importante è inerente alle compensazioni. Nella sentenza si dice chiaramente che non potranno essere decise in maniera blanda, così come tanti Comuni si erano ridotti a fare negli ultimi tempi. Penso ad esempio ad alcune grosse società che regalavano alberi come compensazione, quasi fosse una elemosina.

Lei ha assolutamente ragione, la sentenza della Consulta assume una rilevanza storica perché mette una pietra tombale su una disputa che si trascinava da oltre un decennio, in merito alle misure compensative da versare ai comuni e agli enti locali in generale, da parte delle società delle rinnovabili. La Consulta dice che per il futuro le misure compensative devono essere, almeno in parte, specifiche, ossia di effettivo riequilibrio ambientale e territoriale, e non già solo “per equivalente”, ossia meramente monetarie, e che siano da considerare, ai fini fiscali, come costi nella determinazione del reddito d’impresa delle società delle rinnovabili.

L’emendamento da me costruito e proposto ed accompagnato fino alla definitiva approvazione ha consentito di superare le incertezze interpretative legate alla legislazione previgente, ossia la legge 239 del 2004, la quale prevedeva la possibilità di concordare misure di compensazione e di riequilibrio ambientale, senza precisare nulla al riguardo. Non si chiariva cioè se le convenzioni dovessero prevedere solo interventi “positivi” volti a sterilizzare o alleviare gli effetti prodotti sull’ambiente o sul paesaggio, ovvero potessero prevedere anche misure di carattere meramente patrimoniale, cioè volte a “compensare” tali pregiudizi per equivalente.

L’ultima sua domanda sulle compensazioni “blande”, mi pare molto interessante. Infatti, per il passato non occorre aggiungere altro. Le convenzioni conservano cioè la loro piena efficacia, fino all’entrata in vigore del mio emendamento (1° gennaio 2019). Per il futuro, invece, le vecchie convenzioni stipulate fino al 3 ottobre 2010 dovranno essere riviste in conformità alle prescrizioni delle Linee Guida ministeriali. Pertanto, le compensazioni devono essere a carattere non meramente patrimoniale e quindi almeno miste, in parte specifiche e in parte per equivalente, devono promuovere specifiche ed effettive misure compensative (non misure che lei definisce blande, come l’elemosina degli alberi piantati qua e là) rispetto all’ambiente e al paesaggio, contenute entro il limite percentuale del 3% dei proventi e concordate nell’ambito della Conferenza dei servizi che coinvolge tutti i soggetti interessati, in vista del provvedimento di autorizzazione della Regione, e non autonomamente tra società delle rinnovabili e Comuni. Per il futuro avrà infatti un ruolo importante la Conferenza dei servizi.

Che ne pensa e che cosa significa il giudizio della Consulta per i Piccoli Comuni?

Apprezzo molto questa sua domanda, visto che di recente sono stato delegato da Carlo Calenda a fare il responsabile nazionale del partito Azione per le “Aree interne e piccoli comuni”. Per i piccoli comuni, il mio emendamento ha significato che i loro bilanci sono salvi, che la qualità della vita di centinaia di migliaia di persone a livello nazionale è salva. Nella sola provincia di Foggia, si fa una stima di circa 30 milioni di euro. Il comune di Rocchetta Sant’Antonio recupererà circa 5,5 milioni di euro, il comune di Biccari 1,2 milioni di euro, il comune di Serracapriola 1,1, milioni di euro, ecc. Tra i comuni più grandi, il comune di Manfredonia 2,3 milioni di euro, solo per soffermarci sull’energia eolica. A livello nazionale stiamo parlando di centinaia di milioni di euro visto che nel 2010 gli impianti da fonte rinnovabile raggiungevano una consistenza pari a 159.895 impianti, con una potenza installata di 30.284 MW.

C’è un passaggio interessante anche sul “principio della libertà di iniziativa economica” ex articolo 41 della Costituzione…

Il Consiglio di Stato aveva paventato una ipotetica violazione dell’art. 41 della Costituzione che postula il principio della libera iniziativa economica, nella misura in cui il mio emendamento trasformava una libera attività di impresa in un rapporto concessorio, disincentivando la continuazione dell’attività per l’intero ciclo di vita degli impianti. La Consulta ha respinto questa ipotesi considerato che l’efficacia della norma è espressamente limitata alle convenzioni che sono state liberamente stipulate tra le parti.

Nella sua esperienza di conoscitore delle amministrazioni pubbliche qual è stata la maggiore colpa dei Comuni coi colossi del vento e del sole?

Non ho alcuna difficoltà a rispondere a questa domanda che potrebbe sembrare impertinente, ma che in realtà è molto acuta e intelligente. Non ho difficoltà a dirle che in alcuni casi gli amministratori hanno una grave colpa. Se nei centri abitati si sono lasciati prendere dalla voglia di cementificare, anche a costo di degradare gli aspetti architettonici, storici e culturali della città o di agevolare fenomeni di dissesto idrogeologico, pur di lucrare succulenti oneri di urbanizzazione, nel caso delle rinnovabili si sono fatti prendere dalla foga di lucrare succulenti misure compensative, di fare cassa, anche a costo di degradare l’ambiente o il paesaggio. La stessa corsa a ubicare i parchi eolici nelle parti più periferiche dei territori comunali, lungo la linea di confine, per tenerli “lontani dagli occhi” ma non dalla cassa comunale, ha prodotto effetti deleteri sul paesaggio in quanto quelle ubicazioni hanno degradato le parti più remote e incontaminate dei territori comunali, che sono Iddio sa il valore che hanno, soprattutto in prospettiva.

Ritiene che i Comuni abbiano ben speso le royalties? Ci fa qualche esempio di buone prassi? Chi ha visto i bilanci comunali come “motivi imperativi d’interesse generale”?

Per quel che mi risulta, i sindaci lo hanno sempre saputo che quelle somme dovevano essere destinate, per quanto possibile, a ristorare l’ambiente, inciso dalla localizzazione degli impianti produttivi. Tuttavia, i sindaci hanno anche sempre saputo che non vi erano certezze al riguardo e che la norma si prestava a diverse interpretazioni. Pertanto, gli interventi in materia di sviluppo sostenibile delle città sono stati tanti, a volte blandi, altre volte incisivi. Dalla creazione di piste ciclabili alla installazione di barriere antinquinamento acustico, dall’asfalto fonoassorbente a sistemi di car o bike sharing. Si poteva fare di più? Forse sì, ma, come si dice dalle nostre parti, “il pesce puzza dalla testa”, la legge 239 del 2004 non era stata scritta in modo chiaro ed ha alimentato tante incertezze interpretative, fino a quando non è sopraggiunto il mio emendamento ed ogni controversia ha trovato una definitiva e storica composizione.

Motivi imperativi d’interesse generale? La ringrazio molto per quest’ultima domanda che denota un suo chiaro interesse per i beni pubblici. Sotto questo aspetto, il mio emendamento è stato molto apprezzato dalla Consulta perché animato dalla nobile finalità di tutelare il mercato e l’ambiente, preservando anche la tenuta dei bilanci dei Comuni; obiettivi questi che certamente possono essere visti come “motivi imperativi d’interesse generale”.

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