I destini dell’abitare: un dialogo con il filosofo Carlo Sini

by Felice Sblendorio

Come cambieranno le città dopo la pandemia da covid-19? Come si strutturerà una nuova convivenza all’interno dei grandi spazi urbani? E se la prossimità fisica va completamente ripensata, cosa diventeranno le nostre città fondate sulle relazioni e sulle prossimità dei corpi? Il tema va analizzato alla base. Da troppo tempo, infatti, le nostre città hanno accumulato fragilità e ricchezze, disuguaglianze trasformate in esclusioni e un rapporto intermittente fra ecologia ed economia. Ma se il futuro sarà inevitabilmente urbano, considerando che entro il 2050 i due terzi della popolazione vivrà nelle nostre città, bisognerà seriamente comprendere quale sarà il destino dell’abitare.

Un destino, appunto; perchè vivere insieme nelle città non è una scelta ma un destino come testimonia il bel libro-dialogo “Perchè gli alberi non rispondono. Lo spazio urbano e i destini dell’abitare” (Jaca Book, 86 pagine, 16.00 euro)del filosofo Carlo Sini, professore emerito di filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano e di Gabriele Pasqui, professore di politiche urbane e analisi delle città e del territorio al Politecnico di Milano. Questo dialogo, scritto prima della pandemia globale, unendo riflessioni filosofiche e urbanistiche riesce a testimoniare, attraverso le diversità del sapere, la natura complessa della città: organismo vivo che si trasforma, muta, anticipa e plasma i grandi processi sociali. bonculture, in occasione dei Dialoghi di Trani, ha intervistato il filosofo Carlo Sini.

Professore, in questo titolo socratico c’è già una risposta sull’importanza degli spazi urbani. È il valore umano della città a chiarire tutto?

Non il valore umano, ma quello della conoscenza. Socrate dice che nella città impara dagli altri esseri umani, cioè dalla loro attiva presenza. In altre parole, non la tradizione, ma la ricerca. Nell’opera di Platone, Socrate è appunto l’emblema di questa nuova umanità. Una vita senza ricerca, dice in tribunale, non è degna di essere vissuta. Il mondo arcaico, il mondo contadino non vive di ricerca ma di tradizioni, di sapienze generazionali, di proverbi, di miti e di leggende. Non a caso la dichiarazione d’amore per la città Socrate la pronuncia fuori dalle mura, dove aggiunge il suo disinteresse per i miti antichi: siamo indubbiamente sulla soglia di un mondo nuovo, di cui la polis greca è il luogo emblematico e simbolico.

Le città come nascono? Sono figlie dei mutamenti economici o culturali? 

Un tempo si credeva che fosse sostanzialmente il fattore economico il volano della nascita delle città, cioè delle prime aggregazioni urbane legate alla nascita dell’agricoltura. Oggi sappiamo che non è esattamente così. Per esempio, nel vicino Oriente c’è un passaggio dalla vita nei ripari naturali, nelle grotte, alla creazione di ripari artificiali e insediamenti all’aria aperta molto prima della rivoluzione neolitica dell’agricoltura. Gli elementi culturali, religiosi, geografici esercitano influenze accanto alle rivoluzioni economiche. Non c’è infatti la nascita della città, perché gli insediamenti urbani sono molto diversi nei differenti luoghi, climi e tradizioni culturali e cultuali della terra.

La pratica dell’abitare molto spesso sorpassa princìpi e prescrizioni. La natura della città è una conseguenza sociale delle nostre relazioni?

Negli insediamenti urbani le relazioni ovviamente si moltiplicano e si influenzano reciprocamente. Il volano straordinario di queste trasformazioni è il discorso. Il mondo contadino è silenzioso, non si parla, non si discute, non ci si confida. Gli sposi vivono e invecchiano taciti uno accanto all’altro, giacciono tutte le notti nello stesso letto, senza dire mai una parola. Nell’universo cittadino i discorsi prendono a fluire in pubblico e in privato e generano credenze e contro-credenze, convinzioni e opposizioni: un fiume di discorsi e una guerra di discorsi. La tradizione perde terreno.

L’appartenenza alle città, oggi, è nell’opportunità?

Nelle città moderne l’opportunità si incrementa esponenzialmente. Come è stato notato, nei piccoli raggruppamenti urbani della campagna o dei monti domina, per forza di cose, la collaborazione e l’aiuto reciproco; nelle grandi metropoli, invece, ognuno bada ai fatti suoi. Il volano è la capacità di offrire un servizio ai bisogni e ai desideri degli altri, badando nel contempo esclusivamente ai propri. Non si collabora per condivisione dei fini, ma solo per interessi personali e privati. Ecco l’economia della città.

Le città sono spazi urbani che si relazionano con i corpi, con l’azione e il conflitto dei corpi. Cos’è venuto meno in questi mesi di distanziamento sociale?

Economia dei corpi, certo, ma soprattutto economia dei discorsi o dei corpi dei discorsi. I formidabili strumenti elettronici dei qual disponiamo consentono di ovviare in parte ai problemi della reclusione collettiva cui siamo stati (e ancora siamo) costretti, ma si è evidenziato, proprio per ciò, il limite di questi strumenti. L’essere in presenza non equivale a essere in uno schermo. La parola e il messaggio sono un’unica soglia comunicativa con “gli atti de’ corpi”, diceva il Grande Vico. Si parla con le sfumature del gesto, dello sguardo, della voce; particolari che nella comunicazione a distanza si “cadaverizzano” e in sostanza muoiono. Senza parlare del “toccarsi”. “Davvero mi ami?” Nel contempo chi domanda protende la mano per il tocco decisivo e convincente di una risposta corporea.

Sostiene in questo libro che informare è sempre possibile, ma formare è un’altra cosa. In questi mesi la scuola ha vissuto una mutazione dell’anima senza la convivenza fisica che la caratterizza. Lei parla della scuola come uno spazio di «aggregazione compossibile». In che senso?

Voglio dire che l’edificio scolastico, la classe, non sono meri contenitori o spazi anonimi: sono un luogo di aggregazione in cui la sfida formativa è di apprendere ad abitarli e a usarli “umanamente”, “civilmente”, “socialmente”, “democraticamente”. Entrare in classe è anzitutto questa sfida pedagogico-formativa. Abitare la classe, prima di essere una occasione per l’acquisizione di conoscenze, è l’esercizio di un luogo in cui si impara a vivere insieme, così da formare, tutti insieme, una comunità, con le sue norme, i suoi valori, le sue gerarchie, le sue quotidiane esperienze, le sue decisioni e trasformazioni. Con la pandemia tutto questo è venuto meno ed è una ferita inguaribile nel tessuto della formazione.

È evidente che bisognerà ripensare le città modificando l’influenza reciproca di tre variabili come l’economia, l’ecologia e le disuguaglianze. Il nesso è lampante, ma le soluzioni meno.

Il destino dell’abitare è forse il più rilevante e urgente problema politico che il genere umano, attuale abitante del pianeta, debba oggi affrontare. Si annodano qui questioni contraddittorie e gigantesche che toccano l’economia, l’informazione, l’ordine pubblico, la formazione, l’esercizio delle libertà democratiche e infine, ma non per ultimo, il problema dell’ambiente, dell’ecologia, in vari modi minacciata anche dal diffondersi delle grandi, gigantesche metropoli in ogni luogo della terra. L’elenco e la natura dei problemi sono sempre più noti e diffusi; quello che manca è però l’dea di un esercizio e di una pratica concreta della politica e delle sue istituzioni che sia in grado di farsene carico davvero.

In molti auspicano un ritorno alle aree fragili dell’Italia come i centri minori, i paesi e i borghi. Crede sia possibile allontanarsi, in questo tempo così interconnesso e globale, dalle città che lei considera «luoghi di formazione»?

La desertificazione delle campagne e il declino irrimediabile dei luoghi di provincia ha comportato e comporta una perdita enorme di prodotti, di attività, di valori economici e spirituali, di capacità creative e di tradizioni; a tutto ciò, iniziative volonterose cercano di porre rimedio, tra molte difficoltà e sempre nell’ottica inevitabile di un’economia marginale. Potremo invece immaginare un’economia realmente integrata tra il piccolo e il grande, il periferico e il centrale, l’abitare metropolitano e altre forme e tipi di abitazioni? Anche così si articola e si determina quel generale problema politico al quale mi riferivo precedentemente. Il suo punto essenziale è certamente una modificazione dell’economia globale del produrre, dello scambiare, dell’investire, del garantire: un compito certamente enorme quanto urgente.

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