Il Cinema America, una prova d’amore

by Claudia Pellicano

Nel 2012 un gruppo di ragazzi romani ha intrapreso una serie di iniziative per salvare il Cinema America, destinato alla demolizione, fondando quella che sarebbe diventata l’associazione Piccolo America, che d’estate trasforma la piazza di San Cosimato, il Casale della Cervelletta e il Porto Turistico di Roma in arene cinematografiche e luoghi d’aggregazione.

Quello che anima questi ragazzi non è solo la passione per il cinema, ma anche la voglia di riqualificare i territori, di fornire un’alternativa culturale che parli trasversalmente a tutta la città e di creare comunità superando le differenze tra centro e periferie. Progetto che, stando agli ultimi fatti di cronaca, sembra inviso a una parte della cittadinanza.
Sabato sera quattro volontari del Cinema America sono stati aggrediti da un drappello di loro coetanei, che li ha intimati di togliersi di dosso la maglietta bordeaux simbolo dell’organizzazione, perché considerata simbolo antifascista. I ragazzi, rifiutandosi di dare seguito a una richiesta tanto assurda, sono stati accerchiati e picchiati. Un’altra ragazza è stata aggredita.

Gli episodi non possono essere derubricati ad atto di bullismo di qualche fanatico. È il segnale evidente, a Roma come in tutto il Paese, di una pericolosa regressione, come sottolinea Valerio Carocci, che rivendica la vocazione all’antirazzismo, alla solidarietà, all’inclusione e all’antifascismo dell’associazione. Il fondatore del movimento ha invitato tutti a una partecipazione sempre più massiccia e chiesto al pubblico di indossare la maglietta bordeaux del Cinema America.

Invito raccolto, tra gli altri, da Jeremy Irons e da Sabrina Alfonsi, la Presidente del I Municipio.

“La migliore risposta è questa piazza gremita- ha spiegato Alfonsi- una piazza sempre piena, ma che sembra aver moltiplicato le presenze proprio in segno di vicinanza. Gli atti che si stanno verificando nella città di Roma avvengono perché qualcuno ha sdoganato la violenza. Si parla in modo violento, e si agisce in modo violento, a partire dagli esponenti delle istituzioni democratiche. I rappresentanti della politica hanno il dovere di essere in piazza e nei luoghi dove avvengono questi fatti”.

Perché sono stati individuati come bersaglio proprio i ragazzi del Cinema America? La presidente è netta: “Perché combattono il degrado attraverso queste iniziative, togliendo così spazio alla criminalità, aggregando chi, come loro, pensa che la cultura possa contribuire a cambiare questo Paese e questa città. Si tratta di ragazzi dichiaratamente democratici e antifascisti, rappresentanti i valori della nostra Costituzione e della nostra Repubblica, che quindi vengono identificati come un bersaglio”.

L’invito a indossare la maglietta viene raccolto anche da Jeremy Irons, a Roma per presentare Io ballo da sola e rendere omaggio a Bernardo Bertolucci. L’attore ha manifestato il proprio sostegno nei confronti dei ragazzi aggrediti e si è confessato preoccupato per questa deriva autoritaria: “La vita in Europa è difficile e sempre più frammentata, ma attraverso la cultura possiamo cercare l’umanità che abbiamo in comune per creare una società più coesa, affinché non si ripeta quello che è accaduto settant’anni fa. L’arte e il cinema ci ricordano che siamo tutti simili. Sono felice di vedere tanta umanità espressa al suo meglio a San Cosimato”.

Irons ha raccontato al pubblico di Trastevere come la collaborazione a questo film sia nata da una sua precisa richiesta: “Bertolucci chiese a mia moglie, Sinead Cusak, di interpretare il personaggio di Diana. Io ho letto la sceneggiatura e ho pensato Voglio essere con lei in Italia quest’estate e voglio lavorare con Bernardo, così ho chiamato Bertolucci e gliel’ho detto. Lui mi ha chiesto quale ruolo volessi, il marito o l’ex amante in procinto di morire. Gli ho risposto di non voler interpretare il marito di mia moglie, perché lo sono già. Interpreterò l’altro personaggio. Bernardo accettò con entusiasmo”.

Irons ha condiviso quest’esperienza in Italia con una tenerezza e un trasporto palpabili: “Nonostante ci siano stati a volte degli screzi, quello che rimane nella memoria sono la sua gentilezza, la chiarezza su cosa volesse e la ricerca del momento più emozionante. Ricordo il tempo trascorso in Toscana come un periodo bellissimo e produttivo,  e questo non accade sempre”.
Conserva ancora un ricordo indelebile sia del cast che di Bertolucci, “che viaggiava con la sua tenda e il suo chef personale, il che magari può essere normale per un italiano, ma per qualcuno abituato al brutto tempo e a mangiare panini non lo è. In Italia sedevamo tutti sotto la tenda con Bernardo, bevendo vino e mangiando il miglior cibo italiano tra una ripresa e l’altra. Per un inglese del profondo nord, questo era il paradiso”.

Una specie di Eden dove Lucy porta un messaggio di purezza, rappresenta la bellezza che fiorisce e che si vorrebbe rubare. Questa visione è accentuata da Irons, che interpreta un uomo che sta per morire, e che, nel rapporto con Lucy, racconta l’attaccamento alla vita dello stesso regista. In quel momento Bertolucci era, più di qualunque cosa, un artista affamato di bellezza e giovinezza. In una scena del film, la preferita di Irons, Alex Parrish cerca una poesia che non riesce a trovare, metafora bellissima e struggente dell’incapacità di uomo di avvicinarsi all’incarnazione della bellezza. Il cinema racconta quello che è impossibile da dire.

«It’s not what you say, it’s what you do». Bertolucci lo ripeteva spesso, era il suo modo di rapportarsi agli altri. Nel film, Jean Marais cita una battura di Perfidia di Bresson: «Non esiste l’amore, esistono solo le prove d’amore».

Sono le nostre azioni che ci definiscono. Sono le scelte che compiamo ogni giorno a raccontare chi siamo. Chi aggredisce, chi frequenta esclusivamente l’insulto come forma d’espressione, chi, non sapendo costruire nulla, si limita a distruggere, probabilmente non ha nemmeno piena consapevolezza della propria miseria. I responsabili di un gesto così vile non esistono al di fuori della violenza che commettono. E trovano intollerabile chi, attraverso la bellezza e la cultura, dà, ogni giorno, una prova d’amore verso la propria città.

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