Il Fattore M di Manfredonia è morto, ma Angelo Riccardi giura di resistere

by Maria Teresa Valente

Chiedo scusa a chi ho tradito,

e affanculo ogni nemico.

Che io vinca o che io perda

è sempre la stessa merda.

In un teatro Lucio Dalla gremitissimo, quando si spengono le luci in sala, cala un silenzio carico di curiosità, mentre la canzone di Tiziano Ferro ‘La fine’ che si diffonde dagli altoparlanti fa già intuire che non ci sarà nulla di scontato in questa serata. Angelo Riccardi, intervistato dal giornalista Piero Paciello, è un fiume in piena durante l’incontro pubblico con la città. La sua città, Manfredonia, la stessa di cui per nove lunghi anni è stato primo cittadino e che ad un certo punto pare abbia voluto (per volontà politica di qualcuno, lascia trapelare lo stesso Riccardi) relegarlo in un angolo.

Ma lui non ci sta. Tira fuori tutto il coraggio che ha in corpo e la rabbia che ha nel cuore e scende in campo per spiegare come stanno le cose. E non è semplice di questi tempi, in cui molti preferiscono parlare solo tramite comunicati o postando video sui social, o al massimo fanno confronti in luoghi angusti per evitare il flop del pubblico, mettersi in gioco decidendo di affrontare de visu i propri concittadini e scegliere addirittura la sala di un teatro.

‘Ora parlo io’, è il titolo dell’incontro. E Riccardi passa subito allo scandaglio la relazione di scioglimento per mafia del Comune di Manfredonia, evidenziandone tutte le incongruenze e le inesattezze.

“Praticamente avremmo favorito entrambi i clan mafiosi che da anni si fanno la guerra”, dice, mentre si alza dal divano che, scherza per smorzare la tensione, “fa troppo Uomini e Donne”. Eppure, evidenzia Riccardi, “non c’è una sola riga nell’intera relazione in cui emerge un bando aggiudicato a favore di uno o dell’altro. Nulla di nulla”. Quindi, sottolinea che in una relazione che pare un ‘book fotografico’ non ci sia nemmeno una sua foto e racconta di essere stato segnalato in quanto ‘vicino di casa di un noto pregiudicato’. Poi, tra il serio ed il faceto avverte: “Quando cercate casa, citofonate a tutti quelli del quartiere per accertarvi che ci abiti solo brava gente”.

‘Ora parlo io’, perché il TAR Lazio ha ritenuto inammissibile il ricorso per l’annullamento del decreto, poiché presentato da amministratori non più in carica, e svela di aver già dato mandato ai propri legali  di voler ricorrere alla Corte di Giustizia Europea a Strasburgo, poiché “in Italia non si ha diritto alla difesa”.

‘Ora parlo io’, perché dopo dieci interminabili mesi era necessario rompere il silenzio. E giù con le stoccate ai compagni (ma non amici, quelli sono ben altra cosa!) di una lunga avventura politica, che è giunta al capolinea quando per via di “un processo che non avrebbe dovuto nemmeno tenersi” (quello che lo vedeva implicato in un’assurda storia di esami truccati a Pescara e da cui è stato completamente assolto dopo otto anni perché il ‘fatto non sussiste), non ci hanno pensato due volte a bollarlo come personaggio ‘scomodo’ e a mettercela tutta per tenerlo a… ‘bordocampo’.

‘Ora parlo io’, perché in città ognuno ha da dire la sua e i social sono diventati ormai un tritacarne, dove Riccardi viene dipinto come il fautore di ogni male della città. “Una città che ha la memoria corta, perché se ha cambiato volto è grazie al sottoscritto, che negli ultimi 20 anni ha fatto di tutto: dal lungomare di Manfredonia a quello di Siponto, dalle scuole allo stadio”. E poi racconta di aver ereditato ‘con l’inganno’ dal suo predecessore un Comune con anticipazioni di tesoreria pari a circa 10 milioni euro, quando invece nel passaggio di consegne sembrava ci fosse addirittura un tesoretto di 5 milioni di euro (residui GEMA). Nemmeno un centesimo da spendere, in un periodo che ha coinciso con la crisi economica mondiale, che ha visto tagliare fondi a tutti i comuni italiani che sono impossibilitati a fare ogni tipo di spesa.

‘Ora parlo io’, perché “è assurdo che chi ha lavorato con me per anni al Comune, improvvisamente si volti di spalle e inizi a sputare nel piatto dove ha mangiato”. E il riferimento è all’ex assessore alle politiche sociali Paolo Cascavilla, che avrebbe iniziato a scrivere articoli contro di lui perché non riconfermato nel ruolo per l’ennesima volta.

‘Ora parlo io’, perché a quanto pare da quando non è più sindaco, a Manfredonia sono spariti i politici e l’unico a parlare alla città è l’arcivescovo “Padre Franco Moscone, che non me ne vorrà, ma i sipontini hanno bisogno di sentirsi dire altro dal proprio pastore, perché la mafia c’è, ma non è ovunque come si vuol far credere”.

‘Ora parlo io’, perché, “è assurdo essere chiamati al Comune per il passaggio di consegne dopo nove mesi, e che aumentino tasse senza che nessuno si ribelli. Ed è assurdo che molti dipendenti comunali mi abbiano contattato dicendo di non poter essere presenti stasera per paura di ritorsioni al lavoro”.

‘Ora parlo io’, e dopo due ore a parlare continuamente, confessa che ha ancora tanto, tantissimo da dire. Ma lo farà in un luogo nuovo ed ancora indefinito, di cui svela solo il nome: Palombella Rossa. “Quello di cui sono certo è che indosserò ancora la cuffietta per gettarmi in acqua per lottare su ogni pallone, come ho sempre fatto nella mia vita, senza mai risparmiarmi”, ma a differenza di Michele Apicella, il protagonista del film omonimo di Nanni Moretti, “io non ho smarrito la memoria, né ho dimenticato il racconto di questi anni intensi e formidabili”.

Infine, una promessa: “Continuerò a fare politica, ad esplorare i confini vicini e lontani dell’impegno pubblico e dell’attivismo civico”.

‘Ora parlo io’ perché, come canta Tiziano Ferro nel brano di apertura:

Vorrei che fosse oggi

in un attimo già domani

per riiniziare, per stravolgere tutti i miei piani.

Perché sarà migliore e io sarò migliore,

come un bel film che lascia tutti senza parole.

Il pubblico del Teatro Dalla
Angelo Riccardi e l'intervistatore Piero Paciello
Angelo Riccardi

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