Il giornalismo, Domenico Iannacone e il gesto di Ettore. In morte di Giovanna Pedretti

by Enrico Ciccarelli

Non so se la signora Giovanna Pedretti, titolare della Pizzeria «Le Vignole» di Sant’Angelo Lodigiano, ritrovata morta nelle acque del Lambro, sia stata vittima di una disgrazia o abbia cercato volontariamente la morte. Tanto meno so dire se l’eventualità che si sia suicidata abbia un nesso causale con la gogna mediatica cui è stata sottoposta da più parti, con in testa la solita Selvaggia Lucarelli, che per l’occasione è stata supportata dal compagno cuoco in veste di guest star del giornalismo d’inchiesta.

Mi permetterete di non parlare di queste due persone, perché sarebbe troppo facile sostituire una gogna mediatica ad un’altra, far montare il disprezzo e l’odio, trovare un capro espiatorio d’occasione. Mi limiterò a dire, da utente del servizio pubblico radiotelevisivo, che considero un’offesa alla decenza che queste persone possano sfruttare la popolarità ricevuta dalla loro notorietà catodica per fare soffrire pervicacemente, spietatamente e vergognosamente persone innocenti.

Come probabilmente saprete, la vicenda ha avuto origine in una recensione, di quelle che abitualmente si trovano in rete, in cui un non identificato cliente della pizzeria manifestava disagio per avere dovuto cenare vicino a un tavolo di gay e in prossimità di un disabile in carrozzina. Critiche a cui la signora rispondeva a tono dicendo che erano loro, gli esercenti, a non gradire la presenza nel loro locale di persone animate da sentimenti così abietti. Sfortuna vuole che la recensione venga notata, che riscuota immediatamente credito, che venga deprecato il comportamento dell’ignoto cliente ed elogiato quello della ristoratrice. Perché la storia viene ritenuta credibile? Perché purtroppo è verisimile; non tutti hanno la spudoratezza di scriverlo su Trip Advisor, ma sono in tanti a vivere con fastidio la presenza di omosessuali o di diversabili in un ristorante.

Nel caso specifico, però, alcuni indizi fanno ritenere che la recensione sia fittizia e falsificata. Falsificata anche in modo abbastanza ingenuo, sembra (una persona un po’ più smaliziata avrebbe potuto facilmente commissionare a qualcuno una recensione posticcia a cui rispondere). Per un desiderio di pubblicità? Per comunicare che nel suo locale i gay e i diversabili sono i benvenuti? Non lo sappiamo, e francamente ci interessa poco. Ci interessa invece, come atto d’amore e di nostalgia per il giornalismo che abbiamo conosciuto e con alterne fortune praticato, fissare alcuni punti fermi. Il primo è che non ha alcun senso tampinare e perseguitare l’autrice di un presunto falso per farle ammettere che è un falso. Fa parte di quelle abitudini persecutorie da Santa Inquisizione introdotte da programmi di finto giornalismo come le Iene o Striscia la Notizia. Sarebbe bastata una seria verifica delle fonti.

Il secondo è che un giornalista, dal più piccolo al più importante, è una persona che per svariate ragioni, difficilmente e raramente collegabili al merito, è uno che parla da solo a molti. Il suo megafono può avere portata paesana o planetaria, ma è comunque una voce più potente di quella del singolo; ne consegue l’inderogabile necessità di usarlo con responsabilità, tenendo conto di dove andranno a cadere, su quali fragilità potranno colpire le sue parole. È uno scrupolo difficile da osservare, perché spesso le ragioni della cronaca, l’interesse pubblico, l’essere il giornalista l’ideale inviato di tanti cittadini vanno in conflitto con le esigenze di rispetto, di delicatezza di pietas senza le quali non esisterebbe società e non esisteremmo noi.

Mi è capitato un paio di mesi fa di ascoltare a Foggia, a Palazzo Dogana, un grande giornalista d’inchiesta, Domenico Iannacone, che riceveva non ricordo più quale meritato premio. Ha dedicato il suo intervento non –come avrebbe legittimamente potuto- ai successi delle sue inchieste, ai risultati ottenuti contro malaffare e criminalità, ai problemi grandi e piccoli di cui si è occupato con efficacia, ma a due rinunce. La rinuncia a continuare a intervistare la moglie di un esponente politico (mi pare) implicato in una losca faccenda perché si è reso conto della sua estraneità e della sua indifesa sofferenza; e poi la rinuncia a utilizzare un’intervista contenente rivelazioni preziose perché la sua pubblicazione avrebbe messo a grave e irreparabile rischio la vita di colui che gliel’aveva rilasciata.

Mi ha colpito, in questo secondo aneddoto, il fatto che Iannacone, presa la decisione, abbia insieme all’operatore, cancellato immediatamente l’intervista. Per non essere preso dalla tentazione di utilizzarla comunque, per assicurarsi che l’umanità non fosse minacciata dalla professionalità, non meno dignitosa e importante, che però deve saper cedere il passo. Ecco, il giornalismo che amo è questo: quello capace di disarmarsi, di frenare la propria forza e il proprio impatto prima che diventino brutali e irreparabili. Non è sempre facile: di recente mi è capitato di apprendere che un mio articolo, senza che io lo volessi o ne fossi consapevole, aveva ferito una persona che non meritava di essere ferita. Perché le parole a volte sono pietre, lame, ferri roventi. E vanno maneggiate con cura.

Serve, a chiunque voglia fare questo mestiere, saper compiere «Il gesto di Ettore», quello a cui il grande antropologo e psicologo Luigi Zoja ha dedicato un libro che vi suggerisco caldamente. La storia si snoda in pochi versi del Libro VI dell’Iliade. Ettore è sulle mura di Troia con Andromaca e la nutrice di suo figlio Astianatte. L’eroe vuole prendere in braccio il bambino, che però è spaventato dal suo cimiero e dall’elmo. «Subito si tolse l’elmo Ettore glorioso», dice Omero, e Astianatte si acquietò. Ecco, noi giornalisti dobbiamo sapere quando è tempo di toglierci l’elmo, di capire che quelle armi e armature che indossiamo al servizio dei cittadini non hanno senso, se non sappiamo proteggere da esse i più deboli, i più piccoli, i più fragili. Poi –è chiaro- ognuno sceglie il personaggio che sente a sé più vicino e congeniale: per alcuni Ettore, per altri Tersìte.

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