Il grande archivio della Fondazione Di Vagno. Musci: “Un bosco di documenti per alfabetizzare i giovani alle fonti”

by Antonella Soccio

Manifesti, pubblicità, propagande e satire politiche, bozzetti, atti congressuali, posizioni di partito. C’è di tutto nel grande archivio della Fondazione Di Vagno a Conversano. Un archivio che si caratterizza come qualcosa di meno usuale delle classiche attività di descrizione, inventariazione e pubblicazione.

La comunità legge a Conversano con “La cultura si fa strada – I luoghi della memoria”, il progetto della Fondazione. L’idea, secondo quanto affermato da Leonardo Musci, responsabile dell’archivio della Fondazione Di Vagno, è comunicare i contenuti dell’archivio in un ambito più vasto che non sia quello dei ricercatori professionali, cioè gli utenti tradizionali degli archivi.

L’archivio non contiene solo documenti del Partito socialista italiano, ma di tutti i partiti della Prima Repubblica, insieme a tantissimo materiale grafico.

“I partiti un tempo producevano grafica, non soltanto lettere e noiosissime relazioni congressuali. Erano strutture che producevano comunicazione. Era materiale di propaganda, si facevano pubblicità, producendo manifesti che dovevano appiccicare ai muri. Abbiamo anche bozzetti di prova, ma quelli si trovano di più dove venivano prodotti. Negli archivi locali noi ce li abbiamo perché chi li riceveva se li è conservati, produttori e recettori erano in territori diversi”, spiega Musci a bonculture.

Leonardo Musci

La sezione del Psi di Santeramo è stata molto virtuosa, ha raccolto centinaia di manifesti. Alcuni sono in Puglia e non a Roma nell’archivio nazionale del Psi.

“Ci sono cose molto particolari, negli Anni Settanta si producevano anche dei giochi. Abbiamo un Gioco dell’Oca del 1974 con i personaggi politici. Scimmiottavano anche le schedine del totocalcio, mettendo i nomi dei politici e dei partiti invece delle squadre”.

C’era un approccio giocoso che oggi la politica ha perso?

“Sì, noi ce lo ricordiamo come un tempo triste, invece c’era una produzione vistosa, era un tempo colorato: si conserva un manifesto del Psi che prende in giro i democristiani con una Biancaneve i sette nani, con le facce dei sette nani che sono i vario leader della Dc. Era anche il tempo in cui la satira politica è diventata di massa, i giornali hanno cominciato ad ospitare le vignette, cosa che prima non c’era. I socialisti hanno avuto ai tempi de L’Asino di Podrecca e Scalarini, roba di inizio secolo scorso. Negli anni Settanta la vignetta politica viene utilizzata per alleggerire il discorso, è una tradizione che c’è nei partiti”.

La Fondazione Di Vagno ha quindi materiale degli inizi del Novecento?

“Sì anche prima della scissione comunista, in un tempo in cui i giornali socialisti erano letti da un numero limitato di persone, in prima pagina si mettevano grandissimi disegni, che potevano essere letti anche dagli analfabeti. Nell’archivio c’è anche tanto materiale politico, come i carteggi. È un archivio di militanti e di sezioni locali, qui si conservano i materiali della Federazione di Bari e Brindisi e di una decina di sezioni socialiste più una quarantina di archivi di militanti, con anche quelli di due leader democrisiani Nicola Damiani sindaco di Bari e Nicola Rotolo, presidente di regione a metà degli anni Settanta. Arrivano anche tante carte nuove, come un piccolo importante archivio del fascista Francesco Fato, che ha lasciato poche carte, ma importanti”.  

La Fondazione Gramsci nella sezione di Bari ha gli archivi delle sezioni comuniste, ovviamente, c’è Leuzzi che ha più carte di azionisti. La Fondazione Tatarella ha oggi il maggior numero di documenti del Msi. Se c’è un buco archivistico a livello nazionale è a destra, secondo Musci, con delle splendide eccezioni come la Fondazione Tatarella.

“Il nostro compito è quello di attrarre archivi, al di là del colore politico. Noi abbiamo diverse fotografie di Baldi, un dirigente missino, il che dimostra che gli steccati devono cadere. Tutte le carte sono fonti per la storia. Negli archivi delle sezioni socialiste, ci sono le carte della loro partecipazione nell’azione amministrativa. A volte si possono conservare dei documenti che negli archivi originali dei Comuni si sono un po’ persi. Nell’archivio di Giuseppe Patrono una persona di grande cultura, brindisino, che è stato un po’ tutto, azionista, socialista anche comunista, si conservano grandissimi discorsi che lui ha fatto in consiglio comunale a Brindisi, ci sono cassette audio di suoi discorsi.  Ci sono fonti molti diverse, c’è un archivio di un economista che ha diretto la campagna di propaganda sull’euro, un dirigente della Comunità Europea e dirige uno spin off sulla satira politica e che ha dato il suo archivio alla Fondazione. L’opera nostra è uscir fuori dal recinto dagli archivi socialisti, che sono importantissimi, ma vogliamo guardarci attorno. Abbiamo anche un archivio di una compagnia teatrale. I fondi saranno una settantina di tutti i tipi, politici e non politici”.

Avete scoperto delle battaglie politiche interne che non si conoscevano?

“Come no, gli archivi sono pieni zeppi di segreti. È la normalità, qui è chiaro che ciò che avveniva all’interno dell’interno dei partiti che sta scritto nei verbali e nelle assemblee, anche la durezza di certa scontri, non appariva fuori, invece negli archivi impietosamente gli scontri si leggono. Alle volte non si capisce neppure qual era la logica di scontri così duri: studiando si comprende che o erano lotte di potere o lotte ideali, di valori. O tutte due insieme. La ricerca storiografica lavora sugli anni Ottanta, quel tempo è vissuto come piuttosto lontano da noi, può essere trattato. Qui gli anni Ottanta sono documentati moltissimo, il nucleo originario che nasce dall’archivio del presidente Mastroleo è quello delle carte degli anni Ottanta, gli anni dello splendore socialista, gli anni d’oro. La lotta politica interna è il sale di un partito. Gli archivi la svelano in risvolti non noti al pubblico”.

Si tratta di materiale complesso e difficile per i ragazzi, come lo trasferirete ai giovani?

“La sfida è proprio questa, ossia che un terreno che è sempre coltivato dai professionisti e dai ricercatori deve diventare un terreno in cui portare un pubblico nuovo, non tanto per vendere un prodotto, ma per una alfabetizzazione maggiore sulla conoscenza del passato, legata alle fonti. I ragazzi vivono un presente, che sembra possa fare a meno delle fonti, sono troppo mediati dai social, non hanno un approccio critico sulle notizie: l’archivio invece è un luogo in cui non credere ciecamente a niente, nemmeno ai documenti.  L’archivio è una palestra di critica, cercheremo di appassionarli a questa dimensione. Faremo un ciclo di 3 incontri, con le scuole di superiore: una sezione del professionale farà un prodotto video, con lo staff tecnologico della Fondazione. L’idea è far ritrovare i documenti non nelle scatole e nei faldoni, dove regolarmente stanno, ma di creare una specie di bosco, appendendoli al soffitto, in modo che i ragazzi possano avvicinarli, interpretandoli. La lettura sarà un’esplorazione di storie, come delle tessere”.

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