«Il paesaggio urbano non tiene in conto l’universo femminile». Atlante di genere: la ricerca sugli spazi urbani di Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro

by Daniela Tonti

Quanto sono accoglienti e attente alle necessità delle donne le città in italiane?  E quelle europee? Per trovare questa risposta e indagare la capacità inclusiva degli spazi urbani è necessario “dissezionarli” attraverso varie lenti d’osservazione: la violenza e l’insicurezza nello spazio domestico e nello spazio pubblico, gli usi della città, la sua simbologia, il sex work e la sanità.  Hanno iniziato da qui le architette e ricercatrici Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, fondatrici dell’Associazione Sex & the City, e autrici di Milano, Atlante di Genere, una ricerca edita da LetteraVentidue, che fa emergere proprio le necessità specifiche, i limiti e gli ostacoli della città per le donne.
Il progetto, commissionato da Milano Urban Center (Comune di Milano e Triennale Milano) è ricco di interviste, dati, mappe.


Abbiamo incontrato le due autrici che, tra i tanti progetti, stanno preparando anche un viaggio studio a Vienna (https://sexandthecity.space/gender-planning-in-vienna-study-trip/) ad inizio ottobre, una città modello per quanto riguarda i temi dell’accessibilità e dell’inclusione e che mercoledì 27 saranno a Lecce a presentare l’Atlante insieme alle Assessore Rita Miglietta (urbanistica) e Silvia Miglietta (welfare), moderate da Giulio Casilli.

Dalla lettura dell’Atlante emerge come le città non siano progettate in maniera neutrale, ma prevalentemente costruite sui bisogni del genere maschile e delle persone che lavorano fuori casa. Donne, bambini, ragazzi, persone con handicap ne sperimentano invece gli ostacoli. 

E proprio così, in molti paesi le donne hanno un ruolo decisivo nelle economie nazionali, ma il paesaggio urbano non tiene molto in conto l’universo femminile. Purtroppo sembra che la città continui a essere lo spazio degli uomini e la casa quello delle donne. Ecco un esempio concreto: il modello di mobilità vigente nelle città italiane è costruito sul lavoro e, perciò, prevede sostanzialmente lo spostamento funzionale casa-lavoro: questo è un tipo di movimento tipicamente maschile, perché non considera tutte le attività di cura che sono per il 75% sulle spalle delle donne. Questo genere di attività crea invece spostamenti diversi fatti di tappe concatenate, brevi e segmentate. È il trip chaining: ovvero quella catena che si genera quando ci si prende cura di soggetti non autonomi, come portare a scuola i bambini, fare la spesa, e solo dopo andare al lavoro.

Come si possono ribaltare questi schemi?

Pensando a una città di prossimità in grado di offrire alle persone ciò che serve dal punto di vista essenziale e di autosufficienza. Questo pensiero va applicato a tutte le aree, in modo integrato. Non si può partire solo dai quartieri residenziali di nuova costruzione. Ci vuole uno sguardo largo. Le mentalità si trasformano anche in base agli esempi che si hanno intorno, le amministrazioni pubbliche possono agire bene in questi contesti.

Ci ha colpito leggere come anche dal punto di vista simbolico le città “parlino” di uomini e non di donne.
Il libro contiene i dati sulla toponomastica di Milano.  Il 56% degli spazi pubblici della città sono intitolati a uomini, solo il 3% alle donne. I numeri si commentano da soli.

A Milano le Associazioni dei cittadini sono molto attive sul territorio urbano?

Milano è una città incredibilmente sensibile da questo punto di vista. Sono moltissime le “zone buie” e i vuoti del sistema, che la città colma da sé. C’è un sentimento di soccorso reciproco. Il terzo settore promuove anche una cultura attenta alla differenza di genere in tutti i quartieri – ma sono attività che hanno bisogno di una collaborazione con la pubblica amministrazione. Solo così si rendono questi sforzi effettivamente incisivi.

Un bell’esempio è Piazze aperte – un progetto di urbanistica tattica, dove gli spazi pubblici destinati a parcheggi o a mobilità aggressiva vengono ripensati in funzione di pedoni e biciclette: lo si fa attraverso arredi temporanei, pittura a terra e la rimodulazione della mobilità interna di quello spazio. Ce ne sono circa 30 oggi a Milano, e sono soprattutto in periferia. In questo modo i quartieri si prendono nuovi spazi di socializzazione. Per realizzare piazze aperte vengono attivati dei Patti di collaborazione tra i cittadini e l’amministrazione pubblica. Gruppi di cittadini indicano al Comune i luoghi da trasformare e sono gli stessi cittadini che sottoscrivono un accordo con il Comune e se ne prendono cura. 

Tra pochi mesi, come detto, condurrete un viaggio studio a Vienna. Quali sono le città europee da tenere come modelli per lo sviluppo urbano?

Vienna è una città interessante perché ha integrato il gender mainstreaming nella sua politica amministrativa. Un approccio strategico che ha come scopo l’uguaglianza di opportunità tra donne e uomini in ogni ambito della società. Sono nati numerosi spazi e progetti pilota che possono essere esempio per tutte le città europee.  Sono casi in cui l’azione delle istituzioni è a vantaggio di tutti. Anche a Barcellona si è lavorato per far evolvere la città, gli spazi pubblici sono organizzati intorno alle superillas, isolati che hanno una frequentazione varia e ricca, dove le strade non sono pensate per le auto, ma per i pedoni, le biciclette, i passeggini.

E poi, come proseguirà la vostra ricerca?

Alcune amministrazioni comunali italiane come Roma, Torino, Lecce ci hanno chiamato a raccontare l’Atlante. Il nostro modello di ricerca ha sollecitato alcune tra le realtà più sensibili ai concetti parità e giustizia sociale. È questa la strada che con la nostra associazione Sex & the City vogliamo percorrere. Leggere gli spazi urbani, sensibilizzare al tema, e collaborare con le amministrazioni che hanno consapevolezza dell’urgenza di una visione di genere anche nella progettazione. 

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