“Il vero nemico di Trump si chiama Covid-19”. Colloquio con Giovanna Pancheri

by Emiliana Erriquez

Dal 25 maggio negli Stati Uniti, qualcosa è cambiato. Dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, sono esplose le proteste della popolazione afro-americana che nemmeno l’emergenza Covid ha fermato.

Abbiamo raggiunto Giovanna Pancheri, da anni corrispondente per il Nord America di Skytg24, per fare il punto della situazione e cercare di capire in quale direzione stia andando il paese.

Sembra di essere tornati indietro nel tempo, al 1992 e alle rivolte di Los Angeles in seguito all’aggressione di Rodney King da parte della polizia. A tuo avviso, c’è una differenza rispetto al passato? E se sì, quale?

C’è un’enorme differenza, a mio parere. Adesso l’America è alle prese con il COVID-19. È un evento che non era prevedibile e che ha avuto un impatto enorme sulle coscienze. Il numero spropositato di infetti e, soprattutto di morti, ha influito sul modo di reagire della popolazione afro-americana che per una serie di cause è la fascia più esposta.  C’è una maggiore incidenza di morti per cause in realtà preesistenti: obesità, diabete, problemi cardiocircolatori e respiratori, malattie dovute a cattive abitudini alimentari e a scarse cure mediche. Non bisogna dimenticare poi che il 10-11% della popolazione afro-americana non può permettersi un’assistenza sanitaria per cui c’è meno accesso alle cure, e quindi meno conoscenza delle proprie condizioni fisiche. Essere nero in America significa avere una serie di svantaggi, un salario medio-basso che incide sulla qualità della vita.

Queste proteste, dunque, hanno un significato assai diverso rispetto a quelle del passato.

La riforma della polizia, come ipotizzata da alcuni governatori e assolutamente osteggiata da Trump, secondo te potrebbe cambiare le cose?

Non è immaginabile che la soluzione sia la riforma della polizia per quanto esista un reale problema perché, a mio parere, è troppo militarizzata. Certo, questa situazione ha fatto emergere disuguaglianze che quotidianamente ci sono nel paese: un nero ha più probabilità di essere fermato dalla polizia, di essere arrestato, di essere condannato. Ma il cambiamento deve riguardare la società intera, deve essere strutturale.

Qual è la situazione al momento, l’atmosfera che si respira? Le proteste continuano?

Le proteste continuano ma è cambiato il modo di affrontarle sia da parte dei manifestanti che da parte della polizia. A differenza di quello che aveva auspicato Trump, la linea dura e l’uso della guardia nazionale, la polizia di New York adesso ha adottato un atteggiamento di laissez faire. Gli stessi manifestanti di New York, ma anche di altre città come Washington, Minneaoplis, etc… stanno portando avanti proteste pacifiche e la rabbia dei primi giorni sembra essersi trasformata. Ne sono la prova manifestazioni come quella di Occupy City Hall. Chi protesta ha capito che, per evitare la deriva, è necessario ricorrere al dialogo, far valere le proprie ragioni senza arrivare a distruggere città, negozi, simboli. Ad eccezione di Seattle, dove inizialmente i manifestanti avevano creato una zona autogestita ma alla fine la situazione è degenerata.

Le discriminazioni della società americana hanno, come sappiamo, origini lontane. Sono strutturali, profonde e radicate.  Vorrei chiederti, in base alla tua esperienza dettata dagli anni di permanenza negli Usa, ti è mai capitato di percepire che qualcosa stesse accadendo solo per via del colore della pelle delle persone coinvolte?

Vivo in una città cosmopolita dove confluiscono culture da ogni parte del mondo. Eppure esistono quartieri che sono solo appannaggio dei bianchi. La città è strutturata per favorire quella fascia della popolazione. Nel lungo periodo del lockdown a New York per strada c’erano solo senza tetto e il 90% di loro è afro-americano. Qui esiste una profonda disuguaglianza,  nonostante essi siano molto più inseriti nella società rispetto a quello che accade in Italia e in Europa e nonostante l’impatto della cultura afro-americana sia importante in molti campi, nella musica ad esempio. Il problema di fondo, a mio parere, è l’educazione. Manca una storia condivisa della segregazione, i programmi scolastici non sono strutturati in tal senso. Ci si limita a citare alcuni episodi, come quello che riguarda Rosa Parks, ma non si ha una vera memoria storica.

Il messaggio del Black Lives Matter è stato accolto anche da moltissimi bianchi. Perché, secondo te? È probabile che stia cambiando la percezione collettiva rispetto a questi temi?

Certo. Sin dall’inizio il movimento Black Lives Matter ha cercato di coinvolgere diverse parti della popolazione per un motivo molto semplice: si è capito che era necessario portare avanti una battaglia condivisa perché questa fosse davvero efficace. Molti bianchi sono scesi al fianco degli afro-americani, hanno preferito schierarsi perché condividono i loro ideali, si riconoscono in quei valori e in quelle rivendicazioni.

Ci sono state condanne da parte soprattutto dei bianchi di queste rivolte. Qual è la tua esperienza a riguardo? Voglio dire, tu parli e intervisti politici, medici, gente comune. Che cosa ne viene fuori? Quale sensazione hai? Chi condanna chi?

Ci sono due tipi di atteggiamenti al riguardo. Da una parte i democratici e, ovviamente la popolazione afro-americana, che affermano che esiste il razzismo sistemico nella società americana e che è un problema che va assolutamente risolto. Dall’altra, i repubblicani i quali sostengono che no, non è vero che esiste questo problema. Ed è un paradosso se si pensa che  furono proprio i repubblicani ad abolire la schiavitù. Per loro si tratta solo di episodi isolati ad opera di mele marce che vanno emarginate perché l’America è un melting plot, il paese più cosmopolita e accogliente del mondo e non è razzista.

L’elezione di Obama, fortemente simbolica per l’inclusione degli afro-americani nella società, nonostante leggi come l’Obamacare ad esempio, di fatti non ha portato a grossi cambiamenti nella vita reale. L’arrivo di Trump ha senza dubbio fatto compiere dei passi indietro. In vista delle elezioni di novembre, quanto credi possa aver influito sul gradimento di cui Trump godeva nei sondaggi (fortemente in calo in queste settimane), la gestione dell’emergenza Covid-19 e delle proteste da parte sua?

Enormemente. Se si pensa che solo 6 mesi fa si parlava di impeachment e Trump era sicuro di avere la meglio mentre Joe Biden, il candidato democratico alla Casa Bianca, era sfavorito. La forza di Trump nel 2016 è stata quella di comprendere il disagio della classe media americana che, dopo l’Obamacare, si è sentita intaccare i propri interessi perché Obama ha favorito le classi più povere della popolazione. Ma adesso Trump ha commesso un grosso errore: quello di sottovalutare il COVID-19, il suo impatto e le sue conseguenze sulla popolazione.

Ero qui quando, qualche mese fa, il presidente americano negava l’esistenza del Covid-19, ero qui quando gli stessi americani non credevano che avrebbe avuto un impatto rilevante come invece sta avendo perché l’America resta il paese con più vittime al mondo. Ero qui quando Trump dava consigli per combattere il covid-19 senza alcuna base scientifica, quando spingeva per la riapertura delle attività. Il gradimento fortemente in calo ha una ragione, a mio avviso. Trump, come ogni businessman che arriva al potere, ha in sostanza cancellato tutte le voci a lui contrarie circondandosi solo di yes men e non ha compreso questa volta quanta paura avessero del Covid-19 gli americani e la sua stessa base elettorale. Persino Fox News, che solitamente costituisce un solido punto di riferimento per gli elettori di Trump, ha trasmesso le stesse notizie delle altre emittenti televisive. In sostanza, il suo atteggiamento lo ha danneggiato.

Il comizio che ha tenuto a Tulsa, in Arizona, è stato un fallimento non perché alcuni ragazzi con un passaparola su Tik Tok hanno acquistato i biglietti dell’evento senza presentarsi – come molti hanno pensato in Italia – ma perché gli americani hanno paura del Covid-19. Semplicemente per questo. In base ai sondaggi, il 53% degli americani è contrario ai comizi in tempo di pandemia, l’80% degli americani è favorevole all’uso delle mascherine. L’atteggiamento superficiale del presidente, il suo continuo minimizzare il problema, ha fatto aprire gli occhi a molti dei suoi elettori che se da una parte riconoscono in lui la grande capacità di aver risollevato l’economia del paese, dall’altra condannano la sua incapacità di gestire l’emergenza Covid-19 e la loro salute. Nemmeno i motivi razziali influiscono molto sulle decisioni dei suoi elettori perché, in sostanza, chi ha votato per lui la pensa come lui  (la verità è che Trump spera che le rivolte possano tornargli utili come è accaduto a Nixon alla fine degli anni Sessanta, confida nel fatto che la maggioranza silenziosa sia con lui). Per cui, a mio avviso, il vero nemico di Trump si chiama Covid-19.

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