“La città ideale”, Antonio Fortarezza svela la cultura mafiosa, che mesta nel disagio e nelle diseguaglianze

by Antonella Soccio

Città di Quarta Mafia. Il sole, l’azzurro intenso, la luce, il grano, le stoppie, i 40 gradi così frequenti del Tavoliere, non ci sono più. Quello che non si vede o si fa finta di non vedere è il vero clima, la vera anima del capoluogo della Società, che taglia a fette la coscienza e le carni dei cittadini, come al banco di un macellaio.

È una Foggia plumbea, nuvolosa, malsana, umida, opprimente, colma di catrame e cemento, rifiuti e materiali di scarto, la città protagonista dell’ultimo intenso lungometraggio del documentarista ed artista Antonio Fortarezza, intitolato “La città ideale. Le mani nella città” e che sarà presentato in anteprima il prossimo 20 settembre nell’Auditorium Santa Chiara, nell’ambito di Cinema Felix della Fondazione Apulia Felix.

Un liquido stagnante, degli influssi cinerei appestano i quartieri- quelli vecchi abbandonati e i nuovi in perenne edificazione- inquinano il cielo, occludendo occhi e volontà di reagire.  

Antonio Fortarezza, dopo aver dato voce ai migranti del Gran Ghetto e all’emarginazione del caporalato, senza la morbosa mediaticità che ne accompagna talvolta la cronaca nazionale e locale, e dopo essersi occupato della “filiera non etica”, con un documentario di grande successo, in questo suo quinto lavoro, ha voluto allargare la sua lente di osservazione, passando dagli inferni degli agglomerati delle campagne, dove le organizzazioni mafiose nigeriane sono entrate in affari con le mafie locali, alla cultura mafiosa, che diventa crimine e si alimenta di un tessuto slabbrato. Di un tessuto periferico, non soltanto geograficamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista sociale, economico e culturale.

“La città ideale. Le mani nella città”, evoluzione edilizia cancerosa del capolavoro di Francesco Rosi, è un docmovie, che indaga le periferie e il loro grigiore di traiettorie e speranza.

“Periferie intese nell’accezione del disagio sociale, delle diseguaglianze, della mancanza nell’applicazione dei Diritti, della mancanza del lavoro, dei luoghi dove lo Stato, con le sue istituzioni, fatica a svolgere le funzioni che gli sono proprie: la cura e la difesa dei Diritti, del lavoro, civili, umani.    

“Periferie” intese non solo come estremità urbane ma anche come marginalità sociali e dello spirito. 

“Periferie”, allargando lo sguardo, lo sono anche le grandi baraccopoli presenti nelle campagne della Capitanata che continuano a esistere, nell’assenza più totale di Diritti, malgrado grottesche campagne mediatiche che annunciano periodiche “soluzioni” più meno finali. 

“Periferie” come i quartieri nascosti nel pieno centro della città (mi riferisco ai “quartieri spagnoli” cuore urbano di Foggia) ipocritamente nascosti da paraventi fatti di prepotenti edifici pubblici e privati, risultato di piani urbanistici di vecchia data. 

E per altri versi “periferie” sono quelle più recenti aree urbane, agli estremi della città, dove negli ultimi decenni si è dato l’assalto, come in una sorta di nuova “corsa all’oro” a colpi di palazzine e graziose villette a schiera (un po’ stile west coast americana) azzerando qualsiasi possibilità di rimettere in circolo, e a beneficio di tutti, vaste aree di grande interesse culturale-archeologico, ‘piallando’ cosi, ulteriormente, qualsiasi possibilità di recupero dei pochi brandelli di cultura identitaria ancora presenti (che avrebbero potuto, questi sì, inorgoglire la comunità stessa). 

“Periferie” che, in un modo o nell’altro, diventano “brodo di coltura” opportunità e ambìto terreno di conquista egemonica del malaffare, dell’illegalità, del sopruso, dell’interesse privato a discapito della collettività. Lì dove mancano i Diritti, o la loro doverosa applicazione, quelli sono e saranno i luoghi dove avrà attecchito la cultura mafiosa nelle diverse declinazioni che le organizzazioni criminali ormai sono capaci di imporre.”

Antonio Fortarezza

“Ho cercato di osservare Foggia dalle periferie, fatte di diseguaglianze e di mancanze- spiega Fortarezza a Bonculture- La questione dei ghetti è una parte del problema, i ghetti sono il bacino di riferimento che servono a drenare corpi, da inserire nel circuito della manovalanza. Tutto quello che produce forme di ricchezza è gestito dalle mafie. Sono partito da due grandi crimini, commessi negli anni Novanta: gli omicidi Panunzio e Marcone. E ho scelto di raccogliere le testimonianze di Daniela Marcone, Lino Panunzio e Giovanna Belluna, che ricordano la notte del 6 novembre del 1992”.

Nel documentario, che inframezza i ritmi cinematografici al racconto giornalistico per interviste- potentissima quella al testimone di giustizia del processo Panunzio, Mario Nero- Fortarezza ha ascoltato le diverse realtà associazionistiche e sociali, che operano contro l’illegalità e le mafie: ha coinvolto il presidente della Fondazione Antiusura Buon Samaritano, l’ingegner Pippo Cavaliere, che dice cose pesanti e inedite sulla corruzione e la commistione dei colletti bianchi, anche bancari, Rosa Capozzi del Filo di Arianna sulla cultura delle violenza, i Fratelli della Stazione, l’imprenditore e presidente del Consorzio per la Bonifica Giuseppe De Filippo.

Fortarezza entra nel disagio, interpellando le parrocchie San Pio X e Sant’Alfonso de’ Liguori. Una mensa e un dormitorio. In periferia rintraccia storie di chi ha vissuto il carcere, l’eroina, la marginalità, la delinquenza.

Il lungometraggio apre uno spiraglio di fiducia solo alla fine, con le immagini della manifestazione di Libera del 21 marzo 2018 e con le parole di don Luigi Ciotti, fino alla recente visita del segretario Cgil Maurizio Landini al Cara di Borgo Mezzanone. Il lavoro, il diritto al lavoro, è la leva principale per la legalità e per battere la Quarta Mafia e la cultura mafiosa e omertosa.

Antonio Fortarezza

“Mi interessava indagare nel disagio e nelle diseguaglianze, in quel brodo di coltura che produce il reclutamento illegale. Le mani nella città è una citazione aggiornata da Le mani sulle città. C’è una differenza tra l’affrontare chi sono i mandanti e qual è invece la cultura mafiosa che si vive in città. Ho voluto anche ascoltare i protagonisti della lotta alla mafia, chi da anni lavora a Foggia su questi temi. Penso di far dire loro cose che non direbbero in forma comiziale o giornalistica”, conclude il regista.

Il documentario è un grande pugno nello stomaco per la politica, per la classe imprenditoriale, per la società civile, perché, sebbene i fatti siano noti, illumina diversamente, in modo lirico,  il sacco edilizio e l’assuefazione alla mafia e ripercorre i metri verso la morte dell’auto, dove viaggiava Giovanni Panunzio.  

Il sole, l’azzurro pugliese che tutti conosciamo apre e chiude il lungometraggio a Masseria Pantano e a San Lorenzo in Carmignano, il manufatto federiciano abbandonato e circondato da palazzine e quartieri che attendono da anni un nuovo Pug, con le riflessioni del professor Pasquale Favia, docente di Archeologia Medievale all’Università di Foggia.

Il bene culturale, che non deve essere la “barricata conservatoristica”, ma un ragionamento moderno sulla valorizzazione della storia delle periferie e delle campagne, può ancora salvare Foggia, secondo il professore.

Nelle ultime immagini Fortarezza, citando la prospettiva rinascimentale, inocula un desiderio: la bellezza, custodita e vilipesa nella Villa, che ancora si irradia dal pronao neoclassico verso la Fontana del Sele, può ancora contaminare la città ideale. Basta solo immettere aria, aprire, scalfire la cultura mafiosa.

“La Città ideale. Le mani nella città” si avvale delle seguenti collaborazioni.

Patrocini

Fondazione Apulia felix; 

con

Fondazione antiusura “Buon Samaritano”; 

Centro antiviolenza “Il Filo di Arianna” cooperativa sociale; 

Associazione “Giovanni Panunzio” Legalità Eguaglianza Diritti; 

Associazione ”Fratelli della Stazione”; 

Auser provincia di Foggia; 

CGIL Foggia; 

Con la collaborazione del 

Coordinamento provinciale di LIBERA Foggia

Promosso da 

Cinema Felix 

Lettere Meridiane

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