La fase due e la sufficienza al Governo: parla Corrado Augias

by Felice Sblendorio

Da pochi giorni l’Italia è entrata nella seconda fase dell’emergenza coronavirus. Dopo un rigido lockdown, che ha imposto una lunga quarantena per il Paese, per i cittadini e per molte attività economiche, questa nuova fase sarà caratterizzata da una convivenza particolare con il virus. Con i dati sanitari sotto controllo, più o meno in tutte le macro-aree italiane, e un piano tecnico di contenimento non ancora ben delineato, molte delle responsabilità sono affidate al comportamento dei cittadini.

Ma è giusto, dopo mesi di emergenza, affidarsi solamente al buon senso della popolazione? E il Governo guidato da Giuseppe Conte, alle prese con una delle pagine più complesse e tragiche dal dopoguerra, ha fatto tutto il possibile per avviare al meglio questa fase di transizione?

bonculture l’ha chiesto a Corrado Augias, giornalista, scrittore, conduttore televisivo e una delle più autorevoli voci del dibattito pubblico italiano.  

Come ha trascorso questo tempo di pandemia Corrado Augias?

La quarantena per una persona che fa il mio mestiere non ha cambiato un granché. Io per la maggior parte del tempo leggo e scrivo a casa, e ho continuato e continuerò a farlo.

Come andrà, secondo lei, questa fase due?

Questa è una domanda difficile perché, in realtà, non sappiamo cosa succederà: non lo sa nessuno. Credo sia importantissimo verificare se il senso di responsabilità prevarrà, e dunque se la fase due potrà continuare così com’è cominciata.

Ha dichiarato che il Governo italiano ha gestito, e dovrà gestire ancora, una delle emergenze più complesse dal 1948: finora è stato all’altezza del compito?

Tutto sommato sì. Ovviamente, se volessimo fare la lista degli errori, dei ritardi e delle inadempienze potremmo andare avanti a lungo. Questa impreparazione è stata comune a tutti: agli Stati Uniti d’America, all’Inghilterra, alla Francia. Era inevitabile che accadesse. Se facessimo un ragionamento in termini assoluti, gli errori sono stati molti. Se lo facessimo in termini relativi, invece, guardando più in generale a quello che è successo nel mondo, direi ampia sufficienza.

Anche i più favorevoli e attendisti sull’operato di Conte ora sottolineano una mancanza di strategia immediata per la fase due. Non c’è nulla di certo sull’app “Immuni”, sul tracciamento, sul potenziamento dei tamponi. Non crede che questa convivenza con il virus parta con l’addossare sui cittadini le responsabilità di quello che avverrà?

Sì, ci sono troppe cose incerte. Del resto, però, nessuno addossa delle responsabilità – nel senso della colpa – sui cittadini. Si è addossata la responsabilità in termini di consapevolezza di quello che si fa. Questo credo sia giusto. Non si può andare in un supermercato se non si prendono le dovute precauzioni, se non si indossano mascherine e guanti, se non si rispettano le giuste distanze dagli altri. Non si può, come ho visto, fare una passeggiata in centro sfiorando altre persone spensieratamente. La nostra responsabilità, oltre quelle del governo che dovrà al più presto presentare un piano tecnico puntuale, è quella di mantenere tutte le cautele. Il virus ci chiama in causa direttamente. La questione, alla fine, è molto semplice: noi siamo il pranzo del virus. Se ci sottraiamo, lui muore di fame. Dobbiamo fare in modo, partendo dall’impegno di tutti, di evitare che si sbagli.

In tanti hanno sollevato polemiche su una gestione del potere solitaria simile a quella di una “democrazia sospesa”. Si discute sul risicato coinvolgimento del Parlamento e sull’utilizzo dei DPCM per normare limitazioni così importanti per le nostre libertà. La Costituzione è stata violata, come denunciano le opposizioni?

Ma no, ma che cosa diciamo! A parte che l’articolo 16 della Costituzione prevede delle limitazioni alla libertà di movimento dei cittadini e una delle ragioni, chiarita esplicitamente, è per motivi sanitari. Poi, è chiaro che si tratta di provvedimenti temporanei dovuti a una situazione di gravità eccezionale. Non ci dimentichiamo che nel momento in cui l’epidemia è partita ci siamo trovati molto impreparati: qui il discorso si farebbe lungo perché negli anni scorsi per far quadrare i conti, dato che l’evasione fiscale è quella che è, si sono fatti molti tagli alla sanità. Poi, però, si è rimediato, e mi pare che si sia rimediato con uno sforzo notevole da parte di tutti, in primo luogo di medici e personale sanitario e poi, nella grande maggioranza dei casi, del senso di disciplina di molti cittadini italiani. Francamente, in questo momento così delicato, la cosa che mi scoraggia sono le critiche e le polemiche strumentali fatte per guadagnare voti e consensi sulla paura delle persone. Una vera forza di opposizione non dovrebbe farlo.

Non solo l’opposizione, però. Forti critiche sono state mosse anche da Matteo Renzi, leader di un partito di maggioranza.

Guardi: Renzi, che anche io all’inizio ho molto apprezzato al punto di votare “sì” al referendum del 2016, ha perso la testa. Sarebbe disposto a tutto, o a quasi tutto. Insomma, a molte cose pur di farsi notare e strappare un titolo sui giornali. È arrivato a dire, in un discorso più ampio, che i morti di Bergamo chiederebbero di ripartire. È una frase dissennata: ma a lui, chi gliel’ha detto? A parte che è inverosimile comunque, ma chi gliel’ha detto che i morti di Bergamo chiederebbero quello? Si sono superati parecchi limiti.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri Conte ha preso su di sé una responsabilità istituzionale e mediatica notevole. Molti lo considerano l’erede di Moro, altri un trasformista. Domenica Scalfari l’ha paragonato a Cavour, mentre a Massimo Giannini lo stesso Conte si è descritto come un cittadino di buone letture, cresciuto al cattolicesimo democratico. Chi è questa personalità politica che sta guidando il Paese in un momento così complesso?

Il paragone del mio amato maestro Eugenio Scalfari con Cavour mi è sembrato un po’ fuori misura. Credo sia condivisibile quello che ha detto a Massimo Giannini: Giuseppe Conte è cresciuto con il cattolicesimo democratico. La sua esperienza politica è cominciata in maniera imbarazzante perché stava stretto fra i due gendarmi Salvini e Di Maio, come pinocchio fra i carabinieri. Nel passaggio dal Conte uno al Conte due, invece, è riuscito ad acquisire una personalità politica degna del mio massimo rispetto.

Lunedì l’ISTAT ha certificato che in Italia, dal 20 febbraio al 31 marzo di quest’anno, ci sono stati 25mila decessi in più rispetto alla media 2015-2019. Lei ha scritto che la morte provocata dal virus ha colpito alcune famiglie e ha diminuito tutti noi. Come ha vissuto questo aspetto così doloroso?

Non c’è stato solamente il problema enorme del lutto delle famiglie che si sono viste sottrarre una persona cara: c’è stata la sottrazione, il furto, lo strappo collettivo per aver mandato al forno crematorio e al seppellimento questi defunti senza un congedo, un saluto, una lacrima, una parola di conforto delle persone amate. Il culto dei morti è una delle caratteristiche della civilizzazione umana: non c’è stata cultura – fin dai tempi più remoti – che non abbia istituito delle specifiche cerimonie per il congedo. Aver dovuto privarsi anche di questi riti è stata una delle conseguenze peggiori di questo periodo. Ho proposto, proprio per salutare queste morti solitarie, che venga istituita una giornata del ricordo per tutti i defunti.

In questa prima fase della pandemia, considerando le sofferenze per i lutti e le tante problematiche economiche e sociali che sono già emerse e che emergeranno con forza nei prossimi mesi, abbiamo molto utilizzato e, forse, abusato della metafora della guerra, del conflitto. Ma è un paragone giusto?

Guerra effettivamente è una parola forte, sproporzionata. Io l’ho vissuta la guerra. In Italia, in particolare, la guerra voleva dire da una parte essere bombardati dagli anglo-americani, e dall’altra essere soggetti a un’occupazione spietata da parte dei nazisti assistiti dai loro camerieri fascisti. La guerra è un’esperienza che lascerei da parte.

L’isolamento, però, è un punto in comune.

Questo è un punto di contatto forte fra la guerra e la situazione che abbiamo vissuto fino a pochi giorni fa. L’isolamento e la limitazione delle uscite mi hanno ricordato quel periodo. A Roma, durante l’occupazione, c’era il coprifuoco e non si poteva uscire di casa. Nella prima fase del virus abbiamo provato su di noi un vero confinamento sociale, quello che si chiama con un termine inglese lockdown. Poi in guerra c’era il razionamento alimentare, una cosa che oggi miracolosamente non è successa perché non sono mai mancati gli approvvigionamenti nei mercati e nei supermercati. Questo è stato un privilegio importante.

Il Covid19 sembra aver colpito un mondo già esausto, amplificando molte fragilità e fratture delle nostre democrazie. Inoltre, sembra aver ricordato a noi, che ci consideriamo uomini dalle possibilità sempre in espansione capaci di governare fenomeni complessi, quante poche cose siano sotto il nostro controllo. Cambierà qualcosa?

Non lo so. È possibile che cambierà qualcosa quando questa curva sarà del tutto finita, che non sarà domani e non sarà nemmeno a settembre. Servirà del tempo. Bill Gates, che è una persona formata, ha addirittura parlato di un anno e mezzo. Quando questa convivenza con il virus finirà, noi probabilmente qualche cattiva abitudine l’avremo anche perduta, ma le distorsioni delle nostre democrazie torneranno. Il sistema economico e la distribuzione della ricchezza nel mondo sono così potenti che tutte le storture pre-virus torneranno a vivere. La forza di mercato, con la sua società dei consumi che ha depredato il pianeta terra, vincerà ancora.

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