Lo scudetto e l’altra Napoli, più proiettata al futuro che legata al passato

by Claudio Botta

Napule è mille culure.

E’ bastata questa strofa a Pino Daniele per raccontare nel 1977 la sua città, in maniera definitiva, sincera, vera. Lo scudetto a distanza di 33 anni dal precedente ha segnato l’ennesima riscoperta e celebrazione di Napoli nel mondo, ma di quella nostalgica, sospesa tra orgoglio, commozione e retorica: la Napoli di Diego Armando Maradona, la divinità laica ormai sparring partner di San Gennaro, di Massimo Troisi, di Pino Daniele, gli eroici protagonisti – prematuramente scomparsi – di una stagione incredibile che si tramanda di generazione in generazione con venerazione e rispetto. L’azzurro della bandiera, della maglia, del cielo, del mare è il colore dominante, ma non è l’unico. La letteratura, il cinema, la musica, l’architettura, l’arte, la televisione ne hanno proposti e addirittura imposti altri, in questo arco temporale che non è trascorso invano, e sono quei colori a raccontare la Napoli di oggi, così vivace, che dalla tavolozza del passato ha cercato e trovato combinazioni per disegnare un presente proiettato nel futuro.

La stazione ferroviaria di Afragola, a nord ovest dal centro abitato e sulla linea alta velocità Roma-Napoli, strategica per i collegamenti con la Puglia e la Calabria, è un gioiello di design e tecnologia firmato dall’archistar anglo-irachena Zaha Hadid (una delle ultime opere da lei progettate). La stazione Toledo della linea 1 della metropolitana, meraviglia del progettista spagnolo Oscar Tusquets nel quartiere San Giuseppe, è stata definita dall’autorevole quotidiano inglese The Daily Telegraph la più bella del mondo, e continua a fare incetta di premi. Non una cattedrale nel deserto, ma una delle tante attrazioni di un sistema museale diffuso (“metro dell’Arte di Napoli”) che ha ridefinito la fruizione di spazi e luoghi, il rapporto tra sottosuolo e superficie, attraverso felici intuizioni e contaminazioni, il contributo di archistar come Gae Aulenti (le fermate Dante e Museo), Karim Rashid, Massimiliano e Doriana Fuksas (la fermata Duomo) e la visione prospettata da prestigiosi studi come Roger Stirk Harbour + Partners: un’altra Napoli sotterranea, altrettanto attrattiva e affascinante, che merita di essere vista, studiata e vissuta.

Così come meritano di essere lette e rilette le pagine della nutrita e variegata schiera di scrittori partenopei. Impossibile prescindere dal fenomeno Elena Ferrante, oltre 10 milioni di copie vendute in tutto il mondo dei quattro romanzi della saga de L’amica geniale, gli Stati Uniti travolti dal legame speciale tra Elena ‘Lenù’ Greco e Raffaella ‘Lila’ Cerullo, nato quando erano ragazzine. La prima opera pubblicata nel 2011, il successo decretato da un passaparola convinto e trasversale, consolidato da una trasposizione televisiva in divenire di profilo altrettanto elevato e un avvicendarsi di registi e attori di notevole spessore (comprese ovviamente le giovanissime Elisa Del Genio, Margherita Mazzucco, Ludovica Nasti, Gaia Girace: un esordio folgorante, il loro). Tra i tanti, l’identikit che sembra corrispondere alla vera identità della scrittrice è quello di Anita Raja, moglie di Domenico Starnone, lo scrittore classe 1942 a lungo insegnante e redattore di pagine culturali per importanti testate, punto di riferimento della nouvelle vague partenopea, premio Strega nel 2001 con il romanzo Via Gemito. In inarrestabile ascesa anche Diego de Silva, oggi 59enne, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore (tra gli altri, I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza, Dobbiamo parlare e Il grande spirito di e con Sergio Rubini), arrivato al pubblico televisivo di Rai 1 per l’adattamento della serie su Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso goffo con le donne e i clienti, ma irresistibile (interprete il figlio d’arte Massimiliano Gallo). L’evergreen Maurizio de Giovanni, 65enne infallibile giallista, i cui maggiori successi hanno dato vita a tre serie televisive: I bastardi di Pizzofalcone, Mina Settembre e Il commissario Ricciardi. E Roberto Saviano è sempre un opinion leader autorevole, temuto e discusso, e la sua produzione saggistica e giornalistica non si è certo fermata all’exploit di Gomorra, il romanzo (tradotto in 52 lingue, dal 2007 venduto in oltre 10 milioni di copie in tutto il mondo, 2 milioni 250mila copie in Italia), il film (46 milioni e 700mila dollari di incasso nel mondo, 10 milioni e 200mila euro in Italia) e la serie, esportata in 190 paesi e che articolata in cinque stagioni (il debutto su Sky nel 2014) ha rivoluzionato standard e paradigmi diventati di colpo obsoleti, e ha acceso i riflettori su una nuova generazione di attori diventati immediatamente degli idoli.

Il calcio è il collante più potente di tutti questi vari mondi. Ed era quindi inevitabile che fosse Paolo Sorrentino il cantore e l’ideale figura di contatto tra il Napoli di Maradona e Ferlaino e quello di Osimhen e De Laurentiis, lui che ha fatto i conti con il passato attraverso il delicato e toccante E’ stata la mano di Dio. Il regista (53 anni il 31 maggio) premio Oscar nel 2014 che ha raccolto il testimone dal suo maestro Antonio Capuano. Solidamente ancorato alle proprie radici anche Mario Martone, emblematici gli ultimi due lavori di una robusta carriera: Nostalgia, adattamento cinematografico del romanzo di Ermanno Rea (presentato a Cannes, ha rappresentato l’Italia negli ultimi Academy Awards senza riuscire ad entrare nella cinquina finale in nomination per l’Oscar come miglior film straniero) e Massimo Troisi. Laggiù qualcuno mi ama, scritto con Anna Pavignano.

Ulteriore fenomeno – non solo televisivo, ma di costume – degli ultimi anni è Mare fuori, la serie prodotta da Rai Fiction e Picomedia sbarcata su Netflix, ispirata al carcere minorile di Nisida (diventato Istituto Penale per Minorenni), e il cui enorme successo verrà sfruttato con uno spin-off al cinema e probabilmente anche con un musical, per il parallelo exploit della colonna sonora e in particolare della sigla scritta da Stefano Lentini e da Matteo Paolillo, che la canta insieme a Raiz (lo storico frontman degli Almamegretta): entrambi compaiono anche come attori, così come altri.

Rap e hip hop coniugati alla lingua napoletana, un percorso che dalla nicchia arriva dritto al mainstream, avviato da Clementino e Rocco Hunt agli albori,esploso col misterioso Liberato, consolidato dai vari Capo Plaza, Co’ Sang, Luchè, Geolier (che ha pubblicato su youtube il suo primo freestyle a 11 anni), J Lord, Paki, La Nina (nome d’arte di Carola Moccia). Altro che Gigi D’Alessio e Nino D’Angelo, insomma, e lontane appaiono anche le sonorità dei musicisti legati a Pino Daniele; più evidente invece il legame alla felice stagione dei 99 Posse.

Musica e recitazione regalano quindi colori e sfumature davvero contemporanee. E mostri sacri come Toni Servillo, Fortunato Cerlino (senza dimenticare la crew di Vincenzo Salemme) ed emergenti (Marco D’Amore, Salvatore Esposito, rispettivamente Ciro e Genny Savastano in Gomorra, Carmine Recano, cinque film conFerzan Ozpetek nel suo bagaglio attoriale) hanno già un potenziale ricambio, con i teen idol Massimiliano Caiazzo, Maria Esposito, Giacomo Giorgio.  Sì, Napule è proprio mille culure.

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