Luciano Canfora: “Il conflitto tra le due Italie non si è mai sopito ed è durato anche dopo il 25 aprile”

by Anna Maria Giannone

Non ci saranno manifestazioni di piazza né cortei, ma l’Italia, o meglio una parte di essa, non rinuncia a inventare modi virtuali di celebrare la ricorrenza della Liberazione dal nazifascismo. Tante sono infatti le iniziative che nella giornata del 25 aprile uniranno schermi e balconi, come in questi mesi di reclusione abbiamo imparato a fare. Eppure su questa data sono ancora tante le divisioni e le controversie, segno di una lettura ancora non condivisa di quella pagina di storia su cui si fonda la nostra Repubblica.

Ne abbiamo parlato con il Professore Luciano Canfora, filologo e studioso del mondo antico, professore emerito dell’Università di Bari, ma sguardo critico fra i più autorevoli sulla politica del nostro paese.

Professore, sul 25 aprile manca ancora una memoria condivisa della nazione. Questa ricorrenza non è ancora una celebrazione di tutti ma di una sola parte del paese?

Sul 25 aprile una vera riunificazione del paese non c’è stata e dubito possa esserci in futuro. È stata una grossa conquista il fatto che, a un certo momento nella primavera del 1949, questa data sia stata inserita fra le festività civili, non era affatto ovvio. La festa della Repubblica è il 2 giugno, di fatto abbiamo due feste nazionali, cosa singolare rispetto ad altri paesi.

In realtà questa divisione si spiega benissimo: quel conflitto durato 18 mesi, fra l’8 settembre del ’43 e l’aprile del ’45, era l’ultima fase di una ostilità iniziata all’indomani della prima guerra mondiale, che si era sviluppata in una guerra civile già negli anni ’20 ed era sfociata nell’avvento al potere del fascismo, con l’appoggio della corona e di un ampio schieramento di espressioni conservatrici e liberali del nostro paese. Quel conflitto non si è mai sopito. Le due Italie si sono ancora contrapposte, nei limiti in cui era possibile farlo sotto la dittatura. Con il tracollo bellico le parti sono riemerse in pieno e il conflitto ha avuto l’esito che sappiamo. D’altra parte le forme in cui il fascismo storico riemerge le conosciamo, non sono soltanto in Forza Nuova e in altre espressioni oltranziste, ci sono radici più profonde.

#iorestolibero è l’iniziativa a firma di molti esponenti del mondo della cultura che tenta l’allargamento massimo consentito dalla matrice antifascista. Nel loro appello si legge “Occorre porre fine a tutte le guerre fratricide per unirci tutti nell’unica lotta contro i tre nemici comuni: il virus, il riscaldamento del pianeta e le disuguaglianze socio-economiche”. Non si rischia di andare ancora una volta fuori strada?

Lo trovo parecchio retorico, allargare troppo vuol dire diluire e parlare di altro. Ma – vede – è sempre lo stesso discorso: sicuramente il pianeta è stato ferito gravemente da un trattamento che genericamente viene definito industrialismo, ma è altrettanto vero che questa corsa a malmenare la natura ha una radice ancora una volta politica. Il profitto come valore assoluto, la tecnologia al suo servizio, alla fine ferisce la madre terra. Un’ottica pericolosissima che appartiene però ad una parte politica e non a tutti. Si può essere anche ostili a questa etica del profitto sopra ogni cosa, su questo terreno si possono incontrare visioni intellettuali morali molto diverse fra loro, di diversa provenienza.

Nel suo ultimo libro “Fermare l’odio” (Laterza) lei riprende il concetto di “Fascismo eterno” di Eco, un fascismo profondo e sempre desto.

Un concetto molto serio formulato tanti anni fa. Ancora ieri sera ascoltavo l’inizio della trasmissione Atlantide, Andrea Purgatori interloquiva con Paolo Mieli a partire dal famoso film di Carlo Lizzani“Mussolini ultimo atto”. Mieli ha detto una cosa a mio avviso molto giusta, che il fascismo non è mai morto ma può manifestarsi anche con parvenze non propriamente totalitarie. Si possono fare elezioni, più o meno condizionate, e ugualmente dar vita a forme di potere di tipo fascistico. Il fatto che l’abbia detto un uomo equilibrato e moderato come Mieli mi ha molto soddisfatto.

La cultura rimane l’unico strumento a nostra disposizione per arginare le nuove forme di fascismo?

Per lo meno è l’unico strumento che nessuno può toglierci. Cultura è una parla ampia, onnicomprensiva. Io penso che lo strumento più importante sia il conoscere critico, la critica storica, la scelta delle fonti: tutto quello che ci aiuta a non accettare versioni di comodo. Lo spirito critico dovrebbe essere l’architrave, ad esempio, dell’insegnamento scolastico, lo strumento principale per sgomberare la mente dai pregiudizi e renderla capace di comprendere, prendere posizione.

Il suo ultimo libro “Fermare l’odio”(Laterza) è stato scritto mentre “imperversava la disumana chiusura dei porti”. Guardando al mondo antico lei ci ricorda come l’impero romano per molto tempo abbia adottato un’idea di cittadinanza aperta.

So che è facile venire fraintesi, alcuni banalizzano, come se considerassi l’impero romano il paradiso in terra, non lo era per niente. Solo che, diversamente da altri sistemi imperiali, aveva una caratteristica molto intelligente dal punto di vista dei dominatori, quella di coinvolgere il più possibile almeno le élite e, via via, anche strati più larghi dei paesi dominati. È una tecnica imperiale intelligente a fronte delle tecniche imperiali ottuse. Questa considerazione si presta anche a contrastare l’immagine, assolutamente sbagliata, che il fascismo aveva dato del mondo romano imperiale, ritenendolo dominato dal prestigio della razza. Così non era affatto, anzi era un mondo mescolato.

Guardando al momento che stiamo attraversando, lei crede che le misure adottate per il contenimento mettano a rischio le libertà personali dei cittadini?

Per ora direi che i provvedimenti presi siano stati quanto mai saggi, gli effetti clinici lo dimostrano. Non vedo un pericolo liberticida. Se un domani comincerà a diffondersi l’uso della tecnologia come strumento di controllo allora le cose cambieranno. La finalità nobile di prevenzione rischia di prestarsi a fini meno nobili di controllo. I provvedimenti attuali mi sembrano del tutto condivisibili, quello di cui si parla per il futuro molto meno.

Su cosa sta concentrando la sua ricerca in questo momento?

Il lavoro di ricerca non si interrompe mai. Ci sono tanti progetti in corso che mi auguro di portare a termine. Da vari mesi mi sto occupando di una fase molto remota della lotta del mondo romano contro gli ebrei, in particolare dell’aggressione a Gerusalemme del 63 a.c.: la prima volta che i romani depredarono il tempio. Un episodio su cui c’è tantissima letteratura antica, sia di parte greco romana sia di parte ebraica. È un tema che mi pare degno di essere ancora dissodato.

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