“L’università è l’amplificatore del futuro”. Intervista a Pierpaolo Limone, l’umanista in corsa per il rettorato

by Daniela Tonti

Il recupero e la riqualificazione dei due plessi del centro storico all’inizio di Via Arpi, un tempo adibiti ai servizi territoriali di igiene mentale, è uno risultati più evidenti portati a casa dall’Università di Foggia.  Pur avendo solo vent’anni, l’ateneo gode di ottimi rating nelle classifiche nazionali, un dato che diventa ancora più incoraggiante nel paragone con altri atenei di analoghe dimensioni. In Via Arpi ci sono i locali afferenti le materie umanistiche: Beni culturali, Archeologia, Pedagogia e Lettere. Un piccolo labirinto che ha beneficiato di una ristrutturazione che non ne ha scalfito l’identità e che proprio come altri storici esempi come Villa Mirafiori a Roma dove ha sede la facoltà di Filosofia (ma ce ne sono tantissimi altri) nella ri-conversione a spazio di alta formazione ha acquisito un valore in più, non solo architettonico, ma di non trascurabile fascinazione.

È qui che incontriamo quello che potrebbe essere il nuovo Rettore e riconsegnare la guida dell’Ateneo a un umanista, Pierpaolo Limone. Giovane, salentino di nascita ma foggiano di adozione, già Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici, Lettere, Beni Culturali e Scienze della formazione è in corsa per il rettorato in una terna di candidati, ha un lunghissimo curriculum scientifico fatto di esperienze in Italia, ma soprattutto all’estero. Al centro del suo ragionamento ci sono gli studenti e il personale: opportunità attraverso rete con le imprese del territorio, svecchiamento del sistema burocratico, oltre all’apertura verso i nuovi linguaggi e il digitale di cui è un grande conoscitore. E da un umanista un po’ neoplatonico non ci si poteva aspettare (fortunatamente) nulla di diverso. Basta farsi un giro per la facoltà e scambiare due chiacchiere con i tanti studenti che la frequentano per comprendere che l’affezione è sinceramente reciproca.

Noi di bonculture l’abbiamo intervistato.

C’è una percezione anche abbastanza forte che l’Università non abbia inciso come avrebbe potuto nello sviluppo della città, che non sia stata in grado di dare una “spinta giusta” alla crescita culturale e che sia avvertita come un mondo chiuso rispetto alla società. Lei che ne pensa?

L’Università di Foggia è una piccola realtà accademica che in questi venti anni ha fatto cose straordinarie considerando dove sta crescendo e cioè in un territorio che vive una pesante crisi economica, che non è solo economica, ma anche crisi sociale e culturale, in una delle zone del Mezzogiorno e d’Europa più difficili. Nonostante questo l’Università ha raggiunto traguardi notevoli, eppure ricordiamoci che venti anni sono pochissimi nello sviluppo di un Ateneo. Bologna, ad esempio, è universalmente riconosciuta come una città universitaria, ma il suo ateneo è millenario. Quindi, a mio avviso, Unifg sta già profondamente trasformando Foggia, attraverso un processo lento, carsico, difficile da cogliere nel quotidiano, perché le tradizioni si costruiscono in tempi lunghi.

Anche in città come la nostra?

Basta guardare questo Dipartimento. E’ un edificio storico, recuperato con un intervento lungo e complesso che ha coinvolto diversi rettori e che oggi continuiamo a migliorare con piccole manutenzioni. È una struttura straordinaria, ma ci è voluta pazienza e ci vorranno generazioni per coglierne appieno il valore per questa parte della città. Per farle un esempio ancora più preciso le suggerisco di visitare la nostra biblioteca dove, oltre ad una struttura molto bella, troverà poi professionisti competenti che offrono un ottimo servizio e un catalogo solido. Gli effetti del lavoro di una biblioteca non si possono vedere in pochi anni, ma sono profondi e duraturi. Il nostro è inoltre un Dipartimento che ha un piccolo primato, cioè ha il numero più alto di studenti di tutto l’Ateneo e anche questo è un dato che non si aspetterebbe forse da una città come la nostra, perché le lauree umanistiche non sono la prima scelta che le verrebbe in mente in un territorio a bassa occupazione. Invece, la cultura umanistica e sociale serve eccome. 

Come sta l’Università Italiana?

L’università italiana non sta affatto bene, perché è stata ridotta alla fame. Tutti gli indicatori internazionali ci dicono che abbiamo studiosi eccellenti, ma anche una sistematica riduzione dei finanziamenti che ci impedisce di competere come potremmo. I Governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni hanno sistematicamente ridotto i fondi alle università, generando peraltro un’improduttiva competizione tra Nord e Sud. Abbiamo perso un quinto della nostra capacità produttiva, perché c’è stata una compressione della spesa pubblica che non ha eguali in Europa. Le università del Sud hanno ovviamente perso più risorse, più personale e più studenti. Eppure il Paese ha il numero più basso di laureati del continente e sappiamo bene che l’economia cresce nei territori dove ci sono risorse umane qualificate. Quindi de-finanziare la ricerca è una scelta suicida per l’Italia. L’Università di Foggia, tuttavia, in questo quadro fosco è in controtendenza perché negli ultimi tre anni, grazie a buone scelte sui corsi di studio e a un orientamento capillare, ha aumentato gli iscritti, mantenendo un’immatricolazione stabile sui 3200 studenti.

E state per aprire un nuovo corso di laurea, quello di lingue. Giusto?

Vogliamo aprire una laurea triennale di lingua e letterature, pensiamo infatti che si debba reagire alla crisi e ai tagli imposti anche differenziando l’offerta formativa, dobbiamo investire in nuovi corsi di studio e aprirci di più al territorio. Lingue può essere un nuovo asset al servizio di tutto territorio perché risponde ad una esigenza diffusa di internazionalizzazione. Durante la fase di progettazione del corso stiamo ricevendo reazioni molto positive del sistema delle imprese, delle associazioni industriali e dalle associazioni professionali.

Che tempi ci sono?

Per attivare un corso di studio ci sono delle procedure molto complesse che prevedono circa un anno mezzo di progettazione a braccetto con il Ministero e con l’ANVUR, cioè l’agenzia indipendente che si occupa della valutazione e dell’accreditamento della proposta. Siamo a metà del percorso, quindi se tutto va bene dovremmo partire con le immatricolazione nell’agosto 2020. 

Tornando alla sua candidatura a Rettore, cosa immagina per l’Università?

Immagino che la nostra università in sei anni possa fare un grande salto in avanti: accogliere le sfide del digitale, costruire una macchina amministrativa snella ed efficiente, investire in ricerche di rilievo europeo, raddoppiare i posti di dottorato, innovare i metodi di insegnamento. Dobbiamo sicuramente partire da una governance partecipativa, realmente interessata al merito, meno verticistica e capace di riconoscere il talento. Il lavoro del Rettore dovrebbe essere quello di creare le condizioni migliori (regole, fondi, infrastrutture) per permettere ai docenti di fare una buona didattica e una buona ricerca, offrire agli studenti servizi di qualità e permettere al personale tecnico e amministrativo di essere giustamente valorizzato. Dobbiamo creare un clima di diffuso benessere organizzativo per poter lavorare tutti meglio. Per intenderci, le faccio un esempio concreto che riguarda gli studenti. Vorrei un’università nella quale non sia più necessario andare nelle segreterie, se non per problemi complessi o per attività consulenziali, vorrei aule e laboratori didattici all’avanguardia, un’università con un career service che affianchi lo studente dall’immatricolazione alla scelta del lavoro. Si può fare, abbiamo i mezzi e le competenze, serve però la giusta visione. In pochi anni possiamo semplificare e dematerializzare le procedure, rendendo tutti i servizi accessibili online. 

Lei è molto amato dai suoi studenti. E l’affezione sembra reciproca visto come parla di loro. Come sono queste generazioni di studenti? Lei come li vede?

Gli studenti che entrano da noi sono assetati di opportunità. Noi siamo l’agenzia del territorio più vicina alle aspettative dei giovani. L’università per definizione è giovane e guarda al futuro. Siamo una complessa macchina amministrativa, ma siamo anche una sorta di amplificatore di futuro, permettiamo agli studenti di vedere lontano, di immaginare come e dove saranno tra qualche anno, entrando in contatto con studenti senior e professionisti affermati. In altri termini siamo un incubatore delle loro aspettative professionali e personali. Gli studenti vengono da noi con la speranza di acquisire alcune competenze per svolgere la loro futura professione, ma nel frattempo crescono, diventano anche cittadini, donne e uomini liberi nelle nostre aule. Abbiamo quindi una grossa responsabilità sociale e se smettiamo di credere in questa utopia trasformativa tutta la magia si spezza. Grazie a loro ci ricordiamo ogni giorno che abbiamo una missione più ampia, altrimenti la tentazione di restare chiusi nei nostri laboratori e in biblioteca avrebbe il sopravvento. Siamo certamente studiosi e scienziati, ma siamo anche educatori ed è questo il tratto identitario di una buona università. Banalizzando, possiamo dire che dipende sempre da come si vede il famigerato mezzo bicchiere. Io scelgo di vederlo pieno, vedo cioè gli studenti come resilienti in un territorio difficile e per questo vanno aiutati con i mezzi migliori. Detesto la narrazione che li vede apatici, demotivati, bamboccioni. Se l’Italia non è il Paese che vorremmo, non è certo colpa dei diciottenni, ma delle generazioni che sono venute prima. Francamente è paradossale attribuire a loro delle responsabilità. Io mi candido a guidare questa università anche per questo motivo. Perché ho realmente rispetto degli studenti e intendo spendere tutte le mie energie per creare un ambiente formativo su misura. 

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.