Non una di meno. Con voi e per voi, sorelle. Ma soprattutto per me. Detestandovi e benedicendovi

by Enrico Ciccarelli

Di qui a poche ore parteciperò a una manifestazione contro la violenza sulle donne in una piazza della mia città. Ieri ho assistito a una bella manifestazione, a Palazzo Dogana, promossa dall’associazione Impegno Donna, dove un buon numero di persone ammirevoli, dalla sindaca Maria Aida Episcopo al presidente della Provincia Giuseppe Nobiletti, da Franca Dente ad Alfredo Traiano, il mio concittadino di cui vado più fiero, dal delicato e talentuoso regista Lorenzo Sepalone al mio antico compagno di recitazione Claudio Mione, da Alessio Tortorella dell’Arci alla magistrale conduttrice Lisa Graziano, hanno detto cose giuste e condivisibili, proiettando cortometraggi esemplari, presentando il libro «Voci dell’anima», (meritoriamente sponsorizzato dalla Princes, industria alimentare di Foggia) che raccoglie storie di donne violate e delle operatrici dei centri antiviolenza che le hanno aiutate.

Nella serata di stasera sarò idealmente presente al Teatro della Polvere, dove Marianna Bonghi e la sua associazione ospiteranno la cooperativa «Il filo d’Arianna» (una splendida realtà di presenza e di lotta sul campo), presieduta dalla grintosa Barbara Patetta e animata dalla mia indomita amica e collega Daniela Eronia, per uno spettacolo sul tema della violenza allestito da Mariangela Conte. Per non parlare dei numerosi flash mob nelle scuole. Questa non è che una piccola selezione delle iniziative che anche a Foggia celebrano questo 25 novembre come in tutto il mondo. Nel ricordo di tre farfalle, las Mariposas: le tre sorelle Mirabal, dominicane, torturate e trucidate dai sicari del dittatore Rafael Trujilo in questa data sessantatré anni fa. Tre intrepide combattenti per la libertà le cui eredi oggi combattono contro la polizia morale a Teheran, contro i signori della guerra e dello stupro nella regione dei Grandi Laghi in Africa, e formano la trista contabilità delle più di cento donne morte ammazzate in Italia nel 2023.

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Siccome ogni verità ha i suoi negazionisti, non manca chi sostiene che non esista il problema. Si rileva, non senza fondamento, che i femminicidi sono in calo in termini assoluti, come d’altronde gli omicidi; che l’Occidente cristiano ha un’idea del valore e della dignità della donna ampiamente superiore a quello vigente in altre zone del mondo e presso altre fedi; che alcuni bastioni del patriarcato e le più vistose discriminazioni di genere sono ormai un ricordo del passato. Stupisce come non si comprenda che proprio questi risultati conquistati e raggiunti a carissimo prezzo (divorzio, aborto, diritto di famiglia, fine del delitto d’onore, stupro divenuto reato contro la persona e non contro la morale) rendono intollerabile che si continui a morire perché donne, che si possa essere uccise per avere rifiutato di restare con un uomo, che si possa essere violate, picchiate, discriminate impunemente.

Perché ci vado io? Certo, per Giulia Cecchettin, per l’ultima atroce storia troppo brutta per essere vera; e per l’altra Giulia, avvelenata e poi massacrata da un verme originario di queste parti; e per Giovanna Stellabotte, uccisa per la sua dedizione agli altri; e per quella di cui non ricordo neanche il nome, ammazzata come un cane davanti al portone di casa da un assassino che non è mai stato preso. E per le mie splendide e sfortunate amiche di cui ho raccolto le confidenze (credetemi, Foggia è anche da questo punto di vista un autentico letamaio), per le picchiate, le terrorizzate, le vessate, per le loro storie di denunce inutili e di silenzio umiliato e sconfitto. Ma ci vado anche e soprattutto per me.

Ci vado perché sono un giornalista, e detesto i tic nefasti che la mia professione manifesta sul tema. Quel linguaggio sottilmente e inconsciamente colpevolizzante («non sopportava la fine del loro rapporto», sottotesto «Cretina, se non lo lasciavi eri ancora viva»), quelle espressioni da brivido («La amava troppo», «era ossessionato dalla gelosia», come se si trattasse di una misteriosa minaccia proveniente dall’esterno), quell’oscena mancanza di pudore nella ricostruzione delle personalità coinvolte, quella ipocrisia di fondo, alla Giambruno, per cui, essendo il lupo un dato dell’esperienza, spetta a Cappuccetto Rosso farsi furba.

Ci vado soprattutto perché sono un maschio, e benché non mi senta colpevole di alcunché, mi sento corresponsabile di una subcultura ripugnante e perversa, e perché, come diceva il mio Martin Lutero preferito, «Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla» E –a dirla tutta- ci vado perché ce l’ho con voi, dannate e sublimi sorelle. Ce l’ho con la vostra sterminata capacità di esserci superiori. L’avete sentito, l’audio di Giulia alle amiche? Voleva lasciare Filippo e aveva paura di farlo, ma non per sé. Era preoccupata per lui, temeva che il suo abbandono potesse indurlo a comportamenti autolesionisti. Perché siete così, sciocche crocerossine dei miei stivali: prendete per mano le nostre fragilità, ci difendete, ci proteggete. Vi stupisce che crolliamo quando pretendete di dimettervi?

Lo sapete, per molti di noi (di sicuro è sempre stato così per me) ciascuna di voi è la ricerca dello stesso amore assoluto che abbiamo ricevuto (o che ci è mancato, ed è il caso peggiore) da nostra madre. Inconsciamente prima del parto e consapevolmente poi, quando per mesi o per anni abbiamo avuto un altro essere umano a nostra completa disposizione. Ci guida l’impossibile ricerca di quel nirvana, di quella beatitudine senza spiegazioni, di quell’affidamento totale. E voi, temerarie ribelli, pretendete invece di scegliere, di costringerci a sudarcelo, quell’affetto, di renderci adulti, di farci uomini? Perché la verità, maledette donne, è che la vita ce la date due volte: la prima quando ci mettete al mondo e la seconda quando ci costringete a guardarlo. E a volte questo vi costringe a spezzarci il cuore; ma i cuori che non si siano infranti almeno una volta non sanno cos’è la vita. La attraversano in stato di semicoscienza, proiettati più o meno narcisisticamente sul proprio sé, senza ordine o metodo o scopo. Da maschi, appunto.

Sarò in piazza con voi e per voi, detestandovi e benedicendovi con tutte le mie forze. Ma sarò in piazza anche e soprattutto per me. Perché solo attraverso la vostra insopportabile forza, il vostro urtante splendore, la vostra fragile invincibilità, solo insieme a voi, sorelle, amiche, spose, amanti, figlie e madri, posso coltivare la speranza di diventare qualcosa, qualcuno„       di migliore. Almeno da vecchio. Buon 25 novembre.

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