Astenersi è sbagliato, ma comprensibile. Voterò per il polo riformista, ma questa politica è insopportabile

by Enrico Ciccarelli

Domenica 25 settembre mi recherò disciplinatamente al seggio e deporrò la mia scheda nell’urna. Non svelo un segreto dicendo che il mio voto andrà alla coalizione “Italia sul serio” e ai suoi candidati nei collegi uninominali e plurinominali. Devo  confessare, però, che mai come questa volta comprendo le ragioni di un astensionismo che si annuncia di proporzioni ciclopiche. Lo spettacolo offerto dalla classe politica nella composizione delle liste è stato francamente inverecondo, sia per quanto riguarda i collegi plurinominali (nei quali ciascuna lista fa corsa a sé) sia per quelli uninominali, nei quali i candidati sono espressione di una coalizione.

Sarà opportuno precisare che non vedo in questo campo significative eccezioni, né tra le diverse forze politiche né tra questo appuntamento e quelli trascorsi. Non mi piacciono le scelte di Enrico Letta, ad esempio, ma mi parrebbe disonestà intellettuale dimenticare che i criteri sono grosso modo quelli seguiti da Matteo Renzi nel 2018 e da Pierluigi Bersani nel 2013. Dall’eliminazione delle preferenze (sistema non privo di tare) in poi si è consegnata nelle mani delle oligarchie di partito un’arma micidiale, e se ne sono servite a piene mani. Né le ridicole primarie pd del 2013 né la foNlkloristica pagliacciata delle “parlamentarie” Cinquestelle hanno sanato o possono sanare questo vulnus.

Allo stesso modo, inutile levare alti lai sulle multicandidature dei big o sui collegi sicuri nei quali sono paracadutati i prediletti e predestinati. Dovremmo ricordarci che la Costituzione stabilisce all’art. 67 che il parlamentare rappresenta la Nazione: una previsione che, in collegamento non casuale con il divieto di vincolo di mandato, stabilisce la totale infondatezza delle pretese di appartenenza o di legame territoriale (legittimo preferire deputati e buoi dei paesi tuoi; sciocco credere che sia un diritto).

Va inoltre dato credito al vituperato Rosatellum (insisto: una legge equilibrata) di avere evitato almeno lo sconcio maggiore della normativa precedente: l’arbitrio del plurieletto nello scegliere il collegio, che determinava processioni e suppliche dei primi dei non eletti dalle Alpi al Lilibeo. Oggi chi è eletto in più collegi plurinominali (in caso di elezione anche nell’uninominale, prevale quest’ultimo) viene automaticamente eletto nella circoscrizione dove la lista ha ottenuto il risultato peggiore.

Allora perché questa volta farò più fatica a recarmi al seggio? Perché questa volta lo scellerato taglio dei parlamentari, che impedirà definitivamente al nostro sgangherato ordinamento di funzionare, per banali questioni aritmetiche, insieme alla demenziale scelta di affondare il Governo Draghi in piena estate, ha definitivamente mandato in tilt la capacità di comprensione e di azione delle forze politiche, mostratesi come consorterie  intente in via prevalente o esclusiva a preservare il potere degli oligarchi o dei loro nuclei familiari.

L’assortito caravanserraglio di consorti, fratelli, braccidestri dei parlamentari pentastellati non ricandidati per esaurito limite di mandato è in questo senso esemplare. Ma il vizio è diffuso anche altrove. E lasciamo perdere le finte indignazioni: sono convinto e persuaso che Elisabetta Piccolotti in Fratoianni non sia riducibile al suo stato civile; ma sono parimenti convinto che non avrebbe ottenuto un collegio sicuro se fosse convolata a giuste nozze con il signor Frappàmpina. Né posso applicare alla coppia di Sinistra Italiana gli esempi illustri delle coppie che si formavano nel vecchio Pci, quando il partito era la dimensione totalizzante e assorbente alla quale si sacrificavano studi, vita professionale e spesso anche privata.

Io continuo a pensare che si debba essere grati a chi si dedica all’interesse pubblico e lo antepone alla propria convenienza personale (sono anche per questo uno strenuo ammiratore di Mario Draghi). Rispetto le passioni e le ambizioni, e non moraleggio su chi si affeziona agli appannaggi, al prestigio, alle commodities legate a certi ruoli. Ma se viene deciso che dopo sedici anni in Parlamento Michele Bordo (persona contro cui non ho nulla) non va ricandidato, è concepibile che Michele Emiliano si affretti a promettergli pubblicamente un incarico regionale, magari in Giunta?

Si può contemplare, almeno in linea teorica, la possibilità che chi ha svolto con dignità e onore un incarico al servizio della Repubblica, possa, terminato l’incarico, tornare (o  cominciare) a fare un lavoro normale, come fa la mia amica Colomba Mongiello? Capisco che non sia facile, e non trovo sbagliato che alcune assemblee elettive prevedano una sorta di indennità di reinserimento per chi smette di esserne membro. Ma direi che c’è di peggio.

Voterò per “Italia sul serio”, consapevole che la maggioranza dei miei lettori farà scelte diverse (scelte che naturalmente rispetto) anche perché, malgrado limiti e difetti (ho trovato abbastanza incomprensibile la scelta che ha lasciato fuori dalle liste pugliesi il professor Nunzio Angiola, per esempio) mi pare che da quelle parti ci sia anche altro. Una certa chiarezza di idee e di propositi, una certa disponibilità a mettersi in gioco, la persistenza di un orizzonte ideale, ma non ideologico.

Io non so con quanta gioia Matteo Renzi abbia scelto di tenere nel simbolo il nome di Carlo Calenda e non il suo. Non so con quanta letizia il mio amico Ivan Scalfarotto abbia scelto di rinunciare alla seconda posizione nel listino plurinominale per il Senato in Lombardia per abbracciare la mission impossibile del collegio uninominale di Milano. Entrambi avrebbero avuto ottime ragioni per fare scelte diverse o chiedere posizioni meno scomode. Ma hanno invece fatto così. E in questo panorama così desolante, caratterizzato da iperboli e millanterie, miopie ed egoismi, a me basta. Anche se rispetto chi farà altre scelte e per la prima volta rispetto chi scriverà una parolaccia sulla scheda.

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