Elezioni comunali: i danni dell’orda. L’assalto dei candidati e delle preferenze mina in radice le speranze per il riscatto di Foggia

by Enrico Ciccarelli

Immagino che molti dei miei lettori, almeno tra i Foggiani, conoscano Gianfranco Consiglio: è una figura di spicco della cittadinanza attiva, impegnato nel Comitato «Gino Lisa» dopo essere stato un punto di riferimento del volontariato targato Avis e un motore di molta attività dello sport dilettantistico. Lo cito però soprattutto come bravo ingegnere, che di numeri se ne intende. Mi fido quindi dei suoi calcoli quando scrive, in un recente post su Facebook che dividendo 6il numero di voti validi espressi dai cittadini del capoluogo alle ultime comunali per il numero dei candidati in lizza nel 2023 si ottiene circa 180.

Cosa significa questo numeretto? Che il «bacino di utenza» di ciascun candidato, il suo elettorato potenziale è grossomodo corrispondente al suo network parentale e alla cerchia più ristretta delle sue amicizie. Intendiamo: è una semplice proiezione statistica: in realtà ci saranno candidati che faranno fatica a prendere diciotto preferenze ed altri che ne prenderanno mille. Ma questa pletora affollata spiega plasticamente la totale assenza di piattaforme progettuali degne di questo nome-

La democrazia rappresentativa, per funzionare, ha infatti bisogno di un rapporto fra rappresentanti e rappresentati assai più consistente: i nomi dei candidati e degli eletti dovrebbero avere in filigrana gli interessi consolidati o in formazione che ad essi fanno riferimento. Le liste dovrebbero caratterizzarsi per schierare non diciamo una falange ideologica, ma una panoplia rappresentativa delle attese, delle istanze (al limite dei timori) di fasce più o meno rilevanti della popolazione. Con candidati più vicini alle ragioni del lavoro autonomo e del commercio o a quelle del lavoro dipendente e del pubblico impiego, con altri che si facciano portatori delle necessità del centro storico, delle periferie o delle borgate; quelli più attenti alle ragioni dell’ambiente e quelli più sensibili ai temi della mobilità, e così via.

Nella pesca a strascico del 2023 non si intravvede nulla di tutto ciò: qualche simulacro di lista vagamente imparentata alle forze politiche nazional e il mare magno delle liste civiche, delle quali si potrebbe dire, con Wislawa Szymborska «l’appartenenza a un che, ma senza perché». Ed è tragicomico constatare che le 21 liste presentate in questa occasione rappresentano un record almeno per gli ultimi quattordici anni: erano 17 nel 2019 e 16 nel 2014, benché i candidati sindaci fossero più dei cinque attuali. Non è bizzarro? I cittadini diminuiscono per lenta erosione, la partecipazione al voto cala a grande velocità (sarà ben difficile che si mantenga quel 66% di affluenza del primo turno di quattro anni fa), ma le liste si moltiplicano.

Ma questa «bizzarria contabile» non è l’unica cosa di cui occuparsi, e nemmeno l’ovvia chiosa che un voto così frantumato impedisce quei flussi di opinione che soli potrebbero garantire il seggio alle molte degnissime persone presenti in lista (nel mio piccolo ne conto fra venti e trenta, e sarei felice come una Pasqua se ne venissero elette/i due o tre). L’incognita vera è che la riduzione ai minimi termini della rappresentatività degli eletti del popolo, già minata dalla diserzione delle urne, farà dell’assemblea un confuso coacervo di microinteressi, estremamenyr permeabile ad ogni tipo di pressione, comprese quelle della zona grigia fra bisogno e illegalità, quella di cui la retorica dell’antimafia di comodo evita costantemente di parlare. Si inganna, temo, chi crede che la perdita di peso, di autorevolezza e di senso del Consiglio sia uno di quei mali che non vengono per nuocere: la legge 81 ha sì permesso ai cittadini di eleggere direttamente il proprio sindaco, ma ha lasciato un inutile e dannoso cordone ombelicale fra lui e l’assemblea. Da quasi trent’anni i primi cittadini di Foggia hanno dovuto fronteggiare una rissosità permanente che non ha risparmiato un hombre vertical come Paolo Agostinacchio e un attento tattico come Franco Landella, per non parlare di Orazio Ciliberti e Gianni Mongelli. Qualsiasi sindaca o sindaco rischia di fare la fine di Laocoonte&family sulla spiaggia d’Ilio. E con loro le speranze di riscatto della città.

Se un tempo i destini delle Giunte e dei loro capi erano decisi dai sommovimenti interpartitici e infrapartitici, oggi la navigazione è resa procellosa da petulanze assortite, ripicche minimali, cause ben poco commendevoli o memorabili.

Si vedrà. Per il momento, anche se non do alcun credito ai sondaggi venuti agli onori della cronaca («Mi fido solo delle statistiche che ho provveduto personalmente a falsificare» ebbe a dire Winston Churchill), non c’è alcun dubbio che il «campo largo progressista» (o il «campo giusto» come preferisce chiamarlo quella macchietta di Giuseppe Conte) abbia il vento in poppa. Significa che Maria Aida Episcopo (che giustamente non è in questo periodo fra le principali fan dei miei articoli) sarà incoronata prima cittafdina fin da subito? Non ci giurerei; credo dipenda dal dato dell’affluenza (più gente va alle urne, meno è probabile che la partita si chiuda subito).

Non lo credo perché a pelle si ha la sensazione che De Sabato e Angiola avranno un risultato superiore alle previsioni e che il campo del centrodestra abbia soglie fisiologiche sotto le quali non scenderà. Secondo me i motivi di interesse più stuzzicanti sono due: il Partito Democratico riuscirà, con la discesa in campo dei pezzi da novanta, a essere il primo partito della coalizione o la buona lista allestita dai Cinquestelle gli darà la paga? Secondo: è davvero scontato il risultato del derby di destra tra Raffaele Di Mauro e il corsaro Giuseppe Mainiero (parliamo solo dei candidati sindaco; fra le coalizioni non se ne parla nemmeno)? Il murmure costante che circola in città, i numeri impressionanti delle iniziative di Mainiero sui social (migliaia di visualizzazioni e decine di condivisioni su facebook), lo stesso indizio che Episcopo e Di Mauro indirizzino verso di lui un buon novanta per cento delle loro polemiche, creano più di una suggestione. Forse è soltanto schiuma, forse è anche o soprattutto birra. Giudicheremo il contenuto del boccale fra due settimane abbondanti. Per il momento segnalo la rara avis di un mio amico che ha ceduto alle pressioni di chi voleva candidarlo (e a Palazzo di Città farebbe davvero bene, credetemi) che però considera talmente lunare la prospettiva da essersi rifiutato di dirmi in quale lista è candidato.A la prochaine.

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