#FoggiaLiberaFoggia, in 20mila per le strade, la libertà dalla mafia “si sente nella pelle”

by Antonella Soccio

Non erano altro che persone che se ne stavano per conto loro. Anche se erano accoppiate, anche quando si accoppiavano, non erano altro che persone che se ne stavano per conto loro. Ma quando erano tutte insieme diventavano il cuore, i muscoli e il cervello di qualcosa di pericoloso e di nuovo, qualcosa di strano che stava crescendo, qualcosa di grande. Insieme, tutti insieme, erano gli strumenti di un cambiamento.

Keri Hulme, The Bone People

 “Tocca a noi andare incontro al futuro, non attendiamolo. Impariamo tutti a guardare un metro oltre l’orizzonte”.

Don Luigi Ciotti

Il 5 gennaio scorso, dopo la serie di attentati, l’omicidio e la bomba che ha distrutto l’auto aziendale del testimone di giustizia Cristian Vigilante e molte altre parcheggiate nel cortile del condominio, la città di Foggia, dopo il godimento delle feste, era tornata morta, piena di silenzio lugubre e di paure. La mafia non ama la città che vive e sale. Le 20mila persone mobilitate da Libera, con l’appello di don Luigi Ciotti, Daniela Marcone, Federica Bianchi, Sasy Spinelli, il presidio di Libera, la rete dei sindaci, con Antonio Decaro in testa, il gruppo neonato social Ebbasta con i suoi oltre 7mila iscritti e le 300 associazioni e organizzazioni che hanno aderito hanno dato vita ad un nuovo Natale, nel pomeriggio per le strade e i quartieri difficili della città. La costruzione di pratiche comuni ha tracciato l’orizzonte di una crescita della potenza e della gioia. Le singolarità, scevre dal lamento e pure dalla rabbia, hanno finalmente composto una moltitudine.

Come si fa a ricomporre o reinventare una concezione politica della felicità, della gioia, dell’amore adeguata ad un tempo di lotta? Sì di lotta, perché contro la mafia, che corrompe il bene comune col controllo e l’assoggettamento, bisogna lottare.

Di fronte all’inaudita arroganza del potere mafioso, invece di lamentarsi per il triste destino di declino o di macerarsi nella depressione, la risposta più adeguata è esserci e ridere. Ed è quello che si sentiva al Candelaro, a Via San Severo, a Borgo Croci: non tutti si sono lasciati contaminare, in quei quartieri la partecipazione è stata bassa, è vero, alcuni guardavano il corteo ancora con le spalle chine, qualcuno sorseggiava strafottente aperitivi a Corso Cairoli, ma tanti hanno percepito la gioia della bellezza. È un primo passo.

“Non immaginate che si debba essere tristi per essere militanti, anche se quello che si combatte è abominevole. È il legame del desiderio con la realtà e non la fuga nelle forme della rappresentazione a possedere una forma rivoluzionaria”, ci ricorda Foucalt.

“Sono convinto che il senso della vita, dell’amicizia, della giustizia non si trova in fondo ai nostri ragionamenti ma sempre in fondo al nostro impegno”, ha detto don Luigi Ciotti citando don Tonino Bello.

Nel dopo manifestazione, Libera ha subito sancito il prossimo passo. “Foggia ci mette la faccia e con #Libera e #DonCiotti dice no a tutte le mafie. Lo Stato è presente con la passione coinvolgente della ministra Teresa Bellanova. Bella la risposta della città e della provincia, tanti giovani e tanto cedo medio, poche le persone che vivono la Foggia del disagio e dei quartieri. Questo deve essere un elemento di riflessione, se non creiamo   un’antimafia sociale con progetti di inclusione, se non sperimentiamo zone di vantaggio per un minimo di occupazione nei quartieri, sarà dura sradicare la mafia”.

Ma occorre anche non dimenticare le parole pronunciate contro la mafia. Come hanno detto sul palco i giovani Giorgia, Maja, Francesco ed Edoardo il disfattismo scoraggiante ha ceduto il passo alla “esplosione di umanità”.

“Noi abbiamo perso un padre, ma lui non ha visto più nulla della nostra vita. Ci siamo detti: non è possibile che sta accadendo questo alla nostra città. Io lo sento che il ricordo si sta perdendo per la violenza dell’oggi. Il nostro è un Progetto Foggia, abbiamo bisogno di essere visti”, ha detto Daniela Marcone. Arcangela Luciani, una delle due vedove dei fratelli uccisi dalla mafia il 9 agosto del 2017 nelle campagne tra San Marco in Lamis e Apricena, ha commosso i 20mila. “Luigi e Aurelio erano dei bravi ragazzi semplici ma con una grande umanità. Buongiorno papino, gli ho detto quella mattina da parte di mio figlio che aveva allora 11 mesi. Avevo paura ma non permetto più alle mie paure di abbassare la testa e di accettare tutto l’orrore che ci circonda. Questo potrebbe essere il grande cambiamento che tutti quanti aspettiamo da tanto tempo. Io prima del 9 agosto del 2017 non ho fatto niente. Mi limitavo a dire: poverini, sono sempre tornata nel mio piccolo mondo. Tanto ci facciamo gli affari nostri, eppure il 9 agosto la mafia è entrata in casa nostra”.

“C’è uno spirito nuovo, bisogna disinnescare la miccia della delega. Siamo venuti per riportare umanità- ha detto don Ciotti nel suo generoso intervento intervallato dai suoi OH- È necessario agire tutti insieme. Oh, dobbiamo interrompere la tendenza al lutto prolungato, di quelli che dicono che le cose non cambieranno mai. Le cose cambieranno se anche noi di più di più facciamo la nostra parte. Mi permetto umilmente di dire che non sono ammesse diserzioni perché questa è una scelta tra le vita e la morte. Le mafie, la corruzione sono parassiti che vivono a nostre spese. Quindi sono agenti di morte. Non è ammesso tirarsi indietro, ma neanche dobbiamo ammettere comportamenti ambigui. I neutrali che dicono che sono neutrali e stanno alla finestra a guardare il nostro Paese. State attenti anche alle malelingue, che giudicano, che criticano per partito preso. I neutrali e i mormoranti, che sono quelli che stanno zitti ma che nei salotti giudicano spettegolano e semplificano. La speranza è un diritto e un orizzonte della politica impegnata nel bene comune. Se non fa questo tradisce la sua essenza. Non è politica. Mi ha fatto piacere che siate venuti sindaci, starò dalla vostra parte. Ma se non fate la cosa giusta, sarò contro di voi. Bisogna saper distinguere. La politica si lasci guidare dai bisogni delle persone. Vorrei gridare con voi la sicurezza dei diritti, non solo il diritto di sicurezza. Sono 164 anni che parliamo di mafia in Italia. Non possiamo dimenticare i passi in avanti che sono stati fatti. Abbiamo camminato per la vita, c’è un libro che ci dà le istruzioni sul da farsi e si chiama: COSTITUZIONE, per diventare un Paese demafiosizzato. Mi piacerebbe che nei Comuni si potesse leggere all’ingresso, con le dovute verifiche delle prefetture, Comune demafiosizzato”.

Ci sarà un dopo 10 gennaio? Cosa genererà questa unione politica e umana? Il compito ora è non disperdersi. Ma il coraggio dei singoli appare ora meno isolato.

Nel corteo c’erano anche i due fratelli Vigilante, Luca e Cristian, manager della rssa il Sorriso, tra i principali testimoni del processo DecimAzione. A loro abbiamo rivolto qualche domanda, perché anche loro sono il seme che ha creato, forse, il cambiamento.

Luca, Cristian, vi aspettavate una tale risposta da parte della collettività?

Non ci aspettavamo una tale dimensione della manifestazione, anzitutto perché non si immagina mai di trovarsi in queste situazioni, ma possiamo dire che c’è stata una risposta davvero importante. Forse perché siamo tutti esausti dei comportamenti mafiosi. La mobilitazione però ha superato qualsiasi nostra aspettativa.

Pensate che questo 10 gennaio possa essere il punto di svolta per l’imprenditoria e per tutti quelli che non hanno avuto il vostro stesso coraggio nel denunciare?

Io credo che questo sia forse l’ultima opportunità per vivere in maniera civile, competitiva, per poter generare ricchezza secondo le proprie attitudini imprenditoriali, culturali, sociali. Se nonostante il supporto nazionale che la città ha ricevuto non si riuscisse a cogliere l’occasione, credo che a quel punto ci rimarrebbe ben poco a livello di speranza.

Come gruppo avete attivato una raccolta fondi per risarcire quelle famiglie che sono state colpite dalla deflagrazione del vostro Range Rover aziendale. Vi siete sentiti responsabili. La mafia fa arrivare al punto che dei testimoni di giustizia si debbano sentire in colpa per la propria denuncia e per la propria onestà al cospetto dei vicini, dei conoscenti. È normale?  

Più che un senso di colpa, vogliamo guardare negli occhi quelle persone, che hanno dedicato tutta una vita per acquistare la loro casa, per crearsi un focolare privato dignitoso. Al di là del senso di colpa, sentivamo di dover fare qualcosa rapidamente, quindi ci siamo sentiti di attivarci, posto che ci sono altri strumenti a loro favore. Potrebbero accedere direttamente ai fondi ministeriali per questi episodi, però noi vogliamo fare la nostra parte.

Qual è stato il messaggio più bello che avete ricevuto in questi giorni?

Anzitutto questo di oggi con la manifestazione promossa da Libera, che davvero si sente, si sente nella pelle. Il messaggio di tutti, di tanta gente. E poi quello delle istituzioni, che sono state attente. Il Prefetto è stato attento a tutte le circostanze.

Antonio Decaro
Pippo Cavaliere, presidente Fondazione Antiusura
Franco Landella, il prefetto Grassi e la Ministra Teresa bellanova
Luca e Cristian Vigilante
Angelo Pantaleo con un'amica

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