Giorgia e i suoi fratelli

by Micky De Finis

Il film era già visto. In anteprima, almeno per come leggevo le cose alla vigilia.

Le destre che vincono in Italia e portano nell’Europa un ulteriore tassello di nazionalismo, con Viktor Orbán e Marie Le Pen che esultano e le cancellerie di Francia e Spagna che non riescono a nascondere le perplessità sull’esito di un voto, comunque democraticamente espresso.

E sullo sfondo il tonfo del Pd che paga amaramente lo smacco di Giuseppe Conte che, pur perdendo la ciclopica cifra di sei milioni di voti, rimette in pista il movimento stellato mentre Giorgia Meloni si prepara a salire le scale di Palazzo Chigi.

Fratelli d’Italia svuota la Lega e incamera un consenso tale da rendere quasi irraggiungibile la sua corsa mentre il terzo polo di Calenda e Renzi si difende ottenendo un risultato costruito in pochi giorni che ora potrebbe poggiarsi su un progetto moderato e liberale. 

Questo più o meno il sipario che si apre su un Paese sfiancato da una crisi economica gravissima e dal conflitto ucraino che ha condizionato la sfida in mezzo a forze politiche incapaci di cogliere l’importanza della partita, come conferma il dato dell’astensione, il peggiore della storia.

La prima causa che ha generato questo patologia è il sistema elettorale che i partiti e i suoi leader hanno voluto mantenere perché faceva comodo a tutti gli apparati.  Se non si cambia metodo la storia politica del nostro Paese cadrà nella polvere più di quanto già non lo sia.

Ora toccherà alla nuova compagine di governo darsi da fare per confermare la sua adesione ai principi atlantisti, rassicurare i mercati e fronteggiare la crisi con politiche di bilancio molto caute perché l’Italia, è bene ricordarlo ai nuovi inquilini del Palazzo, ha il peggior debito pubblico del mondo.

Fiutando nella casa dei vincitori l’aria sa già di una molesta pesantezza. Salvini che ha preso una mazzata nelle urne si difende. Partecipare al governo Draghi ha comportato un dazio. Ma Castelli, Maroni e Zaia hanno già aperto una resa di conti, senza contare Bossi, il Senatùr che ha fondato la Lega, silurato nella sua Varese. Ora pensano di proporlo senatore a vita. Stupefacente! 

Forza Italia resiste, ma sono lontani i giorni dell’impero!  E non trova di meglio che incollarsi al petto la medaglia  di garante della coalizione da una deriva populista. Come se Giorgia Meloni, che ha vinto in 98 province su 105, avesse bisogno di una polizza fideiussoria per guidare il governo, firmata  da Silvio Berlusconi. Da non credere!

Nel Pd Enrico Letta taglia corto e recide sul nascere la corda del patibolo. Se ne va tra qualche settimana. E così i Demokrat cambiano nuovamente leader, nel giro di pochi anni. Orfini, Renzi, Martina, Zingaretti e Letta. Prosit ! 

Conte fa sapere ai Dem che per tornare a ragionare assieme necessità far fuori l’attuale gruppo dirigente e cambiare linea. Perbacco !  Poi manda un segnale guerresco a destra e manca : guai toccare il reddito di cittadinanza. 

È vero che quell’elettorato che pesa sulle tasche degli italiani ha fatto la corsa per acclamarlo e sostenerlo, ma solo in parte perché il movimento è riuscito ad entrare nella “terra di mezzo ” del Paese, cogliendone le ansie con una pratica di ascolto che ha ripagato. Ben fatto.

E tuttavia,come si dice, cosa fatta…capo A! Ora il Governo deve prendere in mano il Paese, dimostrare con i fatti di saperlo guidare. 

La Capitanata si è rispecchiata più di altre aree nel voto del 25 settembre.Il Pd non ha retto ed è crollato raggiungendo la peggiore performance regionale. La mancata elezione di Raffaele Piemontese è una cosa che non potrà non aprire una riflessione seria su come il partito ha preparato e gestito un appuntamento così cruciale. È innegabile che il generoso impegno di Valentina Lucianetti e di Teresa Cicolella ha mitigato una sconfitta che rimane troppo pesante per poter  passare come un incidente della storia.

Nel Movimento 5 Stelle lo scenario è diverso perché la rielezione di tutta la squadra dei parlamentari rilancia una partita che piace ad Emiliano, spinto come non mai a serrare le fila con i pentastellati.

E allora  ? Come si continua ? Come si affronterà il prossimo appuntamento di Foggia ? 

Per fortuna Il voto amministrativo è consegnato tutto nelle mani dei cittadini, ma sul campo non è difficile già prefigurare almeno  tre blocchi.

Da un lato il centrodestra, poi il terzo polo, quindi un possibile asse tra il Pd e i Cinque Stelle, obbligati a stare assieme. Il Pd non ha altre scelte,  della serie  bere o affogare.

A destra, dopo lo sfascio degli anni andati, potrebbe aprirsi una nuova fase con Anna Fallucchi e Giandonato La Salandra eletti in Fratelli d’Italia, la componente più in salute del trittico. Fallucchi è arrivata in Senato sul filo di lana, La Salandra, molto strutturato politicamente ed intellettualmente, potrebbe diventare il punto di riferimento per una ripartenza non impossibile soprattutto se affacciata in un cantiere aperto ai movimenti civici e moderati.

Ma tutti dovranno far bene i conti con una città arrabbiata, delusa, umiliata ed offesa. Questo significa individuare bene la persona capace di interpretare il necessario cambiamento che invocano nel capoluogo della Capitanata.

Dovrà farlo il centrodestra che porta la responsabilità di quel Franco Landella, giusto per rinfrescare sempre la memoria. 

Ma dovrà pensarci bene l’area che oggi si riconosce  in Calenda e Renzi, come dovranno approfondire con molta oculatezza le cose anche loro, i Demokrat e i Cinque  Stelle perché le minestre riscaldate non susciterebbero grandi appetiti tra gli elettori, pronti ad impallinare alcune ricomparse.

Servirebbe in pratica uno sforzo da parte di tutti, un po’ di responsabilità per rilanciare un sogno per Foggia e i suoi abitanti, mai così lontani dalla loro storia migliore, sporcata da avventurieri della politica.

Saggezza, competenza e un po’ di visione si impongono.

Come disse Enrico IV di Navarra, ” Parigi val bene una messa”! 

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