I «Fratelli coltelli» d’Italia e la banda dei quattro del centrosinistra. Elezioni comunali a Foggia, forze politiche al di sotto delle parti

by Enrico Ciccarelli

Lo scrittore e giornalista Davide Grittani, nel suo ultimo (in ordine di tempo) fondo sul «Corriere del Mezzogiorno» parlava del diffuso scoraggiamento dell’opinione pubblica foggiana in merito alle elezioni comunali, con molti cittadini che si augurerebbero un proseguimento dell’esperienza commissariale anziché il ritorno della politica. È il sintomo di una inaccettabile rassegnazione, certo; ma guardando le ultime prodezze delle forze politiche di casa nostra, è sinceramente difficile considerare queste posizioni come folli.

E più le coalizioni maggiori giocano all’amico del giaguaro, più cresce la simpatia per i tre candidati attualmente in lizza, che saranno anche autoreferenziali, ma si mettono in gioco, si propongono, avviano un dialogo costruttivo e propositivo con i cittadini. Angiola, Mainiero e Salatto, in rigoroso ordine alfabetico, sembrano gli unici ad avere capito l’importanza dell’appuntamento  di ottobre, gli unici ad averne percepito la drammaticità. Le coalizioni maggiori si muovono con una calma e un ritmo compassato che sarebbero ritenute eccessivamente disinvolte persino se si votasse a Cernusco sul Naviglio, non certo in un Comune sciolto due anni fa per infiltrazioni mafiose e con pezzi rilevanti di ceto politico, a cominciare dal sindaco uscente, sotto processo per reati gravi contro la pubblica amministrazione.

Cominciamo dal centrodestra e dal suo partito largamente maggioritario, quello di Fratelli d’Italia. In realtà –come è noto- in Puglia il partito della premier è la sommatoria di due forze giustapposte: quella guidata dal ministro Raffaele Fitto, che eredita la maggior quota dell’eredità scudocrociata , eredità rinvenibile anche nelle biografie dei suoi esponenti; e quella di più stretta osservanza meloniana, che ha il suo vertice foggiano nel deputato Giandonato Lasalandra. La trattativa fra le due componenti, fra ‘o ministro da un lato e il viceministro Galeazzo Bignami e il sottosegretario Marcello Gemmato dall’altra, è di quelle complesse e all’ultimo sangue, con la casella di Foggia che è destinata ad influenzarne altre, prima fra tutte la corsa alla poltrona di sindaco di Bari, che il centrodestra vorrebbe riaverla per sé dopo il lungo esilio cui lo hanno costretto Michele Emiliano e Antonio De Caro.

In questa partita sembra essere stato bruciato il nome migliore a disposizione del centrodestra, cioè quel Fabio Porreca, a lungo corteggiato anche dal centrosinistra, manager di provata capacità, senza ombra alcuna dal punto di vista giudiziario, con un cursus honorum che lo ha visto a lungo presidente di Confcommercio e poi della Camera di Commercio. Porreca sembra escluso per ragioni di famiglia: essendo il marito della senatrice Annamaria Fallucchi, il combinato disposto di laticlavio senatoriale e fascia tricolore appare a tanti eccessivo. Lui, d’altra parte, non è certo il tipo che sgomita, tanto meno per sedersi su una sedia che minaccia di essere più rovente di quella elettrica in servizio a Sing Sing.

Non muore dalla voglia nemmeno l’altro cavallo di razza dell’ex-scudocrociato Giannicola De Leonardis, che alla Regione sta da Papa e –dipendesse da lui- lascerebbe inascoltato il grido di dolore che sale dalla coalizione. Prende così corpo un’ipotesi che Hitchcock avrebbe scartato come troppo fantasiosa anche per le sue sceneggiature; quella di Leonardo Di Gioia, commercialista di fama e docente universitario, capacissimo assessore al Bilancio della Giunta Pepe alla Provincia e poi clamorosamente capacissimo assessore al Bilancio della Giunta Vendola alla Regione. Quindi la rielezione e l’ingresso nella Giunta Emiliano, una molto negativa e ostacolata esperienza all’Agricoltura, le dimissioni, il rientro nel centrodestra, la candidatura in Forza Italia alla Regione con esiti abbastanza disastrosi.

Le capacità e l’onestà della persona non si discutono: bisognerà vedere se i tre anni di silenzio osservati dopo le regionali avranno sopito i molti rancori nutriti da settori del centrodestra nei suoi confronti e se l’appeal elettorale riuscirà a tornare quello degli anni migliori. Quale che sia il nome, sembra destinato a uscire comunque da un cilindro, e per giunta da un cilindro situato a Roma o a Bari, non a Foggia, Non il massimo, come ha sottolineato nella sua ultima dichiarazione Tito Salatto, per una città che ha bisogno di ritrovare partecipazione, orgoglio e riscatto  civico.

Sull’altro versante, se Atene piange, Sparta non ride: una nutrita serie di incontri del «campo largo» del centrosinistra ha partorito una surreale nota sugli account social del Partito Democratico, che limita il campo a soli quattro nomi. Nomi degnissimi, per carità, con una bandiera dell’antimafia concreta e quotidiana come Pippo Cavaliere, per decenni anima della Fondazione antiusura, un imprenditore visionario che mette insieme idee, impegno e talento come Marcello Salvatori, una bravissima dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale (un tempo l’avremmo chiamata Provveditora) di grande spessore culturale e sensibilità umana come Maria Aida Episcopo, uno stimato amministratore locale come Francesco Montanino.

In trasparenza le appartenenze: Cavaliere e Salvatori indicati dai dem, Episcopo dal Movimento Cinquestelle, Montanino dagli emilianiani di Con e Cusmai. Italia Viva e Azione, che pure partecipano al tavolo, non hanno dato indicazioni, non so se per serietà o per mancanza di nomi spendibili. Come che sia, a una settantina di giorni dalle elezioni comunali più drammatiche del dopoguerra, ci si dice che siamo alle semifinali; e nessuno sembra sapere o voler dire secondo quali regole si assegnerà il titolo: primarie? Sorteggio? Lotta nel fango? Decide Emiliano? Decide Conte con Schlein e Calenda?

Certo, a dar retta alle indiscrezioni giornalistiche il Movimento Cinquestelle, dando prova di encomiabile spirito di coalizione, sarebbe schierato sulla linea «Episcopo o morte», e appare sinceramente un po’ stravagante pensare che i Cinquestelle possano sostenere nel 2023 lo stesso Cavaliere che definirono una specie di malattia grave quattro anni fa. Anche nel fu Terzo Polo c’è qualche voce (fra cui particolarmente netta quella dell’ex-regionale Dino Marino) che invita a smarcarsi Tuttavia, vada come vada, e ribadito che grazie al cielo nessun candidato è sospettato o sospettabile di indulgenze o benemerenze mafiose, l’impressione che le forze politiche nel loro complesso si stiano dimostrando al di sotto delle parti è, più che un dubbio, un convincimento.

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