Il deserto del Coronavirus e la Fortezza Bastiani della sanità pugliese

by Enrico Ciccarelli

Ci siamo. Curve statistiche e previsioni cliniche confermano: la settimana veniente e quella successiva saranno quelle dell’onda di piena, dello sbarco in Puglia della pandemia globale. In questa primavera avara di gioia si teme che si possa passare dalle centinaia di positivi attuali (quelli di cui ci siamo accorti, non gli effettivi) a migliaia o decine di migliaia di contagiati, con duemila possibili casi bisognosi di assistenza e una quantità di persone da ricoverare in terapia intensiva in grado di stressare ai limiti del sopportabile le quantità disponibili.

La sanità pugliese è in questo momento la Fortezza Bastiani, che sulla frontiera con il Regno del Nord attende l’arrivo dei nemici attraverso il Deserto dei Tartari nel capolavoro di Dino Buzzati. Purtroppo, a differenza di quello pressoché mitologico descritto nel romanzo, con l’attesa che finisce per durare l’intero arco della vita del protagonista Giovanni Drogo, l’invasione della pandemia è assai più imminente e probabile.

Il piano allestito dal professor Lopalco, l’epidemiologo di fama mondiale che fa da superconsulente alla Regione Puglia, prevede in dettaglio misure per fare fronte all’emergenza, che hanno comportato già da qualche giorno il blocco dei ricoveri nella maggior parte delle strutture pubbliche e in tutte quelle private, tranne che per i casi “urgenti e indifferibili”.

Nel frattempo sono state sospese tutte le attività di riabilitazione domiciliare. Una misura, quest’ultima, alla quale si rischia di pagare un prezzo altissimo in termini di sofferenza: ci sono patologie, a cominciare dalla demenza senile, per le quali la riabilitazione è fondamentale anche per il mantenimento il più a lungo possibile. L’interruzione può determinare un peggioramento irreversibile.

Ci troviamo così in pieno effetto-paradosso: nel momento della più grave emergenza sanitaria da quasi mezzo secolo (il riferimento è all’epidemia di colera del 1973), l’offerta sanitaria e assistenziale del nostro territorio viene gravemente indebolita e depotenziata. Non perché le patologie e i mali diversi dalla Coronavid-19 siano scomparsi o guariti: solo perché la luce abbacinante del Grande Morbo li nasconde, li svilisce, impedisce di vederli.

Cancelliamo così dal nostro orizzonte visivo i dolori e le fragilità non allineate al momento, per così dire. Con la stessa terribile assenza di dubbi con cui abbiamo cancellato altre cose. Nella prima epidemia social i nostri occhi sono pieni della fila dei camion militari che portano via le bare da Bergamo. Il virus non si limita a contagiarti, a farti star male, a ucciderti: può annichilirti, fare di te un mostruoso focolaio di contagio, sottrarti ai tuoi cari, negarti la pietà, anche quella di un ultimo saluto; lo stesso per dare il quale anche sotto la rocca d’Ilio Teucri ed Achei sospendevano la loro feroce e reciproca strage.

Qualcuno può meravigliarsi che questo orrore indicibile terrorizzi fino al parossismo? Il deserto del Coronavirus diventa così il luogo in cui si smarrisce la lucidità, la civiltà, il senso critico. Un fiume di odio da paura percorre le nostre relazioni sociali. È tutto un fiorire di “ubbidite senza discutere!” di invettive ed esecrazioni per gli “irresponsabili”, di furori contro ciclisti e runners, di reazioni isteriche contro qualunque ricerca o manifestazione di gioia.

Certo, è stato tutto un fiorire di autoelogi: i governanti a ogni livello ci hanno assicurato che eravamo un modello, che “andràtuttobene”, che mani sapienti stavano profondendo scienza e coscienza, che alla fine un’uscita sul balcone e un “siam pronti alla morte” fossero un esorcismo efficace. Vietato obiettare, vietato chiedersi perché ottenere un tampone fosse più difficile che vincere al Superenalotto, trovare una mascherina più complicato che avere un appuntamento da Chiara Ferragni, in quale altro Paese al mondo si fosse concepito il delirio burocratico dell’autocertificazione o l’esilarante e tragicomico provvedimento del ministro Speranza sulle seconde case.

Vietato anche chiedersi a cosa potessero mai servire le grida manzoniane del presidente Emiliano, i suoi moniti a chi osava portare nella santa e vergine terra di Puglia “l’epidemia lombarda e veneta”, le disposizioni smargiasse su isolamenti che nessuno avrebbe controllato. L’importante è additare, si tratti del medico che avrebbe autorizzato i funerali del contagiato a San Marco in Lamis, o del malcapitato dirigente medico dell’Ospedale di Castellaneta sottoposto a linciaggio mediatico con motivazioni pallide e accuse tutt’altro che confermate.

Si può capire: è tutto un sollecitare leggi marziali, invocare interventi dell’esercito, auspicare pene draconiane… Dal demagogo più piccolo al più grande è molto meglio blandire e assecondare la voglia di sangue di un’opinione pubblica terrorizzata che assumersi qualche responsabilità. Non è prudente, perché una volta scatenata la bestia dell’odio è molto difficile riportarla in gabbia. Ma la prudenza è un requisito dell’intelligenza.

A questa opera di travisamento non poteva mancare il deciso contributo della stampa: su Repubblica Bari un collega, come Giuliano Foschini, è in prima linea nel denunciare la quinta colonna degli untori del Nord giunti proditoriamente a infettarci.

Semplicissimo: basta scrivere che il 15% degli arrivati dal Nord (che sui 23mila stimati sarebbero circa 3500 persone) “ha la febbre”, anche se in realtà la percentuale è sul ristretto campione che è stato controllato; o scrivere che “molti” dei ricoverati al Policlinico di Bari sono genitori di figli tornati dal Nord (il Corriere, più pudico, scrive “diversi”), Considerando che (dato Protezione Civile 21 marzo) i ricoverati sono in tutta la Puglia 209 è abbastanza agevole capire che stiamo parlando di quantità assai marginali. Ma l’importante è scatenare allarme e paura.

Non cedete. Restate a casa più che potete e siate responsabili, ma non cedete al terrore, alla follia, alla diffusa cialtronaggine. Pensare non è il nemico; è l’unico nostro alleato. Approfittatene per sorridere, per ascoltare buona musica, per leggere bei libri (fra i quali vi consiglio caldamente il romanzo di Buzzati, che è poi una mirabile metafora del giornalismo e del Corriere della Sera). 

Lo so, “non è questo il momento delle polemiche”. Bisogna credere, obbedire, combattere. E figuratevi se chi scrive, essendo per molte ragioni un soggetto a rischio, non stia pregando con tutte le forze che la Fortezza Bastiani resista e che le previsioni siano errate. Ma, qualunque cosa si faccia o si dica, il Deserto del Coronavirus è destinato a invaderci a lungo. La malattia potrà essere più o meno letale, ma le abbiamo già permesso di modificare i nostri cuori, il nostro modo di vedere le cose, la nostra fraternità. “Se la sofferenza vi ha reso cattivi, l’avete sprecata” ha scritto Ida Bauer. Che Dio ci assista.

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