La biblioteca di Accadia nel ricordo di Osvaldo Sica, cittadino illustre 

by Micky De Finis

Osvaldo Sica era un personaggio inossidabile. Me lo ricordo bene con quella voce roca e lo sguardo fermo in quelle lunghe,interminabili passeggiate della sera nel cuore di Foggia in cui teneva banco un argomento monotematico : la Dc e la sua politica.

Nella Democrazia Cristiana, in cui ha sempre militato con una passione vera e profonda, era come guardato a vista. 

E già, perché parlare con lui era un’impresa diciamo complicata e non poco contorta, tanto immanente era il rischio di perderti in quelle sue analisi che approdavano sempre ad un nuovo ordine logico delle cose.

Eppure, dietro quel profilo rigoroso che sembrava di pietra batteva un cuore generoso, una pulizia d’animo votata sempre verso il prossimo, come il suo percorso di vita ha dimostrato.

Era nato ad Accadia nel ‘26. Secondogenito di cinque figli, Osvaldo Sica dopo la laurea in medicina e chirurgia conseguita a Napoli, iniziò giovanissimo la sua attività come medico di base. 

Poi un lungo,lusinghiero percorso formativo,prima a Torino dove si specializza 

in cardiologia,quindi a Roma, alla Sapienza dove studia le malattie reumatiche per poi fermare l’attenzione in quella che diventerà poi la sua passione medica, la mente dell’individuo, le sue patologie nervose, specializzazione che ottiene nell’Ateneo barese.

E difatti fu la psichiatria il campo che più impegnò la sua tempra e che lo vide protagonista indiscusso di una scienza difficile.

Erano anni bui per la psichiatria. Ma lui, come un vero pioniere,riuscì a mettere nel suo lavoro la pratica di uno studio costante che lo porterà ad esercitare con tenacia altissime funzioni di guida sino a diventare primario coordinatore nelle strutture appena nate per la cura dell’igiene mentale. 

E dire che il tempo di Osvaldo Sica era tridimensionale : la famiglia, il lavoro e la politica. 

La moglie Gemma e i figli, cinque,erano il suo riparo, la sua fortezza. Quando parlava di Eraclio, Edvige, Linda, Carmela e Giulio il suo volto, come d’incanto,

s’inteneriva, salvo poi tornare subito ligneo, austero.

Credo però, avendolo conosciuto bene ed avuto il privilegio di frequentare la sua famiglia, stringendo legami di profonda amicizia con i figli, credo dicevo che la sua vera passione, quella più forte, rimase sempre  la politica.

Con il fratello Ermanno, un demiurgo, figura molto carismatica nonché di acuto ingegno, medico anche lui, condivideva l’impegno nella corrente di Base, un gruppo che dentro la Dc dell’epoca era una specie di mondo a parte, una sorta di categoria morale in cui potevi entrare solo in punta di piedi.

In Capitanata la corrente di Base non era numerosa ma poteva vantare cervelli

sofisticati. Oltre ad Ermanno e Osvaldo Sica, c’erano Ennio Marino, Peppino Vitale, Vittorio Salvatori, Michele Perrone, Antonio Aquilino, Angelo Marseglia.

Il più giovane della congregazione era Biagio Di Muzio, di certo il più aperto e strenuo sostenitore delle strategie di coesione interna al partito, il più delle volte indigeste al gruppo e fu per questo che trovai proprio in Di Muzio un punto di riferimento non da poco in quella fase storica. 

Per me, che provenivo dalla Fuci e che avevo scelto l’area di Forze Nuove di Carlo Donat Cattin, quella frequentazione risultò invece agevole e molto formativa. Del resto, erano due correnti limitrofe nell’universo democristiano, divise appena da un piccolo argine che solo Aldo Moro cercava di calibrare, in vero non sempre con successo. 

Amico di De Mita e di Galloni, Osvaldo Sica era solito coltivare le sue idee come un alchimista in un laboratorio.Devo confessare però che rimase perennemente difficile tradurre quel pensiero in operazioni politiche perché il personaggio mostrava un’ostinata riluttanza per gli unanimismi di facciata.

Insomma, il dottor Osvaldo Sica era uno con la schiena sempre dritta ! 

Con Vincenzo Russo, plenipotenziario del partito, aveva un buon rapporto. Spesso discutevano animatamente, ma l’uno rispettava l’altro benché 

schierati su sponde diverse. 

Ricordo che un giorno, si discuteva sulla possibilità di promuovere una giunta pentapartito che tenesse fuori il Pci dal governo di Palazzo Dogana, Vincenzo Russo mi chiese di cercare di convincere Osvaldo Sica ad assumere posizioni meno ostili a quell’operazione. 

Il tentativo andò a vuoto. “ Ma secondo te cosa posso condividere io con chi al posto del Crocifisso tiene Andreotti ?”, più o meno fu questa la stroncatura che dovetti incassare senza risparmiarmi, ricordo bene anche questo, il suggestivo rimprovero dell’onorevole quando gli riportai  l’esito negativo della missione.

Vero è che Osvaldo Sica scelse di rimanere quasi sempre in posizione critica nel partito, un ruolo che non abbandonò mai, neanche quando le circostanze, come dire, suggerivano un approccio più accomodante. 

Il punto è che lui era fatto così, tutto d’un pezzo. 

Saranno stati, desumo, anche i suoi studi professionali a rivelare quel suo tratto iracondo con il quale mi sono spesso imbattuto tutte le volte che tentavo di attrarlo in una strategia che lo accomunasse in un progetto di condivisione nel partito. 

Lui mi ascoltava, sorrideva, ma puntualmente demoliva le mie argomentazioni, bollandole come “architetture farlocche” come chiamava i teoremi del ceto dominante democristiano del tempo.

Detto con franchezza, Osvaldo Sica non era un uomo da compromessi!

E con la sua fierezza ha condotto tutta la sua vita di padre, medico e politico, una vita piena di altruismo, fatta di piccole cose e di un grande amore verso il prossimo, anche  dei suoi malati che seguiva ogni giorno con uno slancio emotivo impressionante.

Ad Accadia, eremo meraviglioso del Subappennino Dauno Meridionale, la città dei Sassi, tornava sempre con la gioia nel cuore. 

A volte mi chiedeva di accompagnarlo dove ancora oggi c’è la sua casa. E di lì 

andavamo al Rione Fossi dove il tempo sembrava fermo. “ qui sorse la città dedicata alla dea Eca” mi raccontava. E poi la Piazza dell’Orologio in una terra di confine di una bellezza unica ed irripetibile. Gli brillavano gli occhi.

Amministrò quel paese che portava nel cuore per cinque lunghi anni, dal 1978  all’83. 

Una stagione intensa, forse la prima in cui quella realtà dimenticata riusciva a far parlare di se. 

Oggi, tra i sassi di quelle vestigia che preannunciano una nuova vita, quella comunità si è ricordata di questo suo concittadino, un  galantuomo, signore d’altri tempi.

E  per ricordarne le virtù ha scelto di intitolare la biblioteca civica al suo nome. Un gesto nobile che la sensibilità politica di Agostino De Paolis, sindaco di quella comunità, è riuscita a portare a segno perché la memoria trovi il giusto spazio nel tessuto collettivo. 

Perché la memoria è un presente che non finisce mai di passare. 

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