La doppia preferenza finalmente scardinerà il ritornello secondo cui “una donna se vale si impone comunque”

by Andrea Tedeschi

“Grazie, non siamo panda e non abbiamo bisogno di quote”. Sarà, ma l’impressione è che a dirlo, come nel caso di Giorgia Meloni, in Parlamento ininterrottamente da quattordici anni e quattro legislature, sia solo chi il posto ce l’ha già. Per il resto, le donne solo negli ultimi anni hanno riguadagnato posizioni nelle assemblee legislative nazionali e comunali, a ripianare un gap da sempre ingiusto ma ormai anacronistico nel 2020. Eppure nel Consiglio regionale pugliese la componente femminile è irrisoria: solo cinque su 50 componenti, 51 se si conta anche il presidente Emiliano.

Una storia ormai vecchia, che sul finire della scorsa legislatura visse una pagina quanto mai vergognosa con la bocciatura, con voto segreto, di una norma che avrebbe consentito di introdurre in tempo per le elezioni regionali del 2015 la doppuna donna se vale si impone comunqueia preferenza di genere. Una modifica a parole varata dalla maggioranza vendoliana che si andò a infrangere contro le ipocrisie personali di chi, nel segreto dell’urna, votò contro. Appena eletto presidente, Michele Emiliano dichiarò che avrebbe posto rimedio a quell’ingiustizia, ma di fatto cinque anni dopo siamo al punto di partenza. La proposta di modifica giace in Settima Commissione consiliare da mesi, e solo un intervento (annunciato) del presidente del Consiglio Mario Loizzo potrebbe portarla direttamente in aula per la votazione, forzando la prassi per provare ad approvarla in zona Cesarini.

Tutto questo grazie al lavoro che tante associazioni delle donne di Puglia, e soprattutto la Commissione Pari Opportunità della Regione, stanno portando avanti da tempo, ottenendo nelle ultime settimane anche un atto di indirizzo del Governo che tramite il Ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia ha imposto alle Regioni che ancora non hanno introdotto nella legislazione strumenti per il riequilibrio della rappresentanza di genere (in particolare Puglia e Liguria) di adeguarsi entro le elezioni, pena il subentro della competenza in materia da parte dello Stato. In pratica, se non lo faranno le Regioni, interverrà il Governo, anche in forza della legge Delrio (la 10/2016) che impone la parità della rappresentanza di genere nelle assemblee elettive di amministrazione centrale ed enti locali.

Imposizione legislativa a parte, c’è da dire che sul tema le posizioni sono discordanti. E l’opinione di Giorgia Meloni, ancorché donna, è emblematica di come vaste aree, non solo nel centrodestra, soprattutto di ispirazione cattolica, siano refrattarie a introdurre strumenti di questo tipo ritenendoli superflui, dal momento che “una donna se vale si impone comunque”.

Nei fatti, i numeri dicono il contrario. In Italia solo l’introduzione della doppia preferenza di genere nei Comuni, come per esempio a Bari, ha permesso una effettiva parità nei consigli e anche nelle giunte. In Parlamento le donne presenti alla Camera e al Senato in entrambe le assemblee sono intorno al 35%, comunque ben lontane dalla parità nonostante un buon recupero negli ultimi anni. Percentuale ancora più bassa per quanto riguarda il Governo Conte, dove le donne ministro sono 7 su 21.

Poi ci sono i paradossi, che nell’ottica del risparmio per le casse pubbliche creano veri e propri mostri. Può sembrare un dettaglio, ma per quanto riguarda la Regione Puglia, dove per statuto 8 assessori su 10 complessivi devono essere anche consiglieri eletti, allo stato attuale nella giunta di Michele Emiliano c’è una sola donna, Loredana Capone, affiancata all’inizio della legislatura da Angela Barbanente poi sacrificata agli equilibri di partito.

Tutto questo per dire che la questione, come del resto dicono molte donne (e ultimamente anche qualche uomo “di peso”) non è di tipo politico, ma culturale. Però la cultura si cambia nei decenni, e se servono strumenti come la doppia preferenza di genere nelle leggi elettorali, ben vengano se vanno a sanare ingiustizie palesi che di certo non si aggiustano da sole. E se anche fosse una legge “inutile”, di certo in questo Paese sarà in buona compagnia.

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