La politica italiana all’esame di maturità

by Enrico Ciccarelli

Osservo con un certo interesse e con molto divertimento l’agitarsi di alcune forze politiche o esponenti politici che vorrebbero porre condizioni e veti in ordine al nascente Governo Draghi.

Divertimento perché non pare abbiano realizzato che il mandato a Draghi scaturisce proprio dalla loro comprovata incapacità di dare soluzioni convincenti in termini programmatici e politici alla situazione del Paese. Partiti, movimenti e gruppi parlamentari non sono nella condizione di dare le carte, ma di riceverle e scegliere se prendere o lasciare. E prenderanno.

Dice Gad Lerner che si tratta del commissariamento della democrazia parlamentare. È vero, ed è un commissariamento cominciato da quasi trent’anni, quando la Repubblica venne messa sotto tutela giudiziaria. Un commissariamento che non sembra avere stroncato o ridotto la corruzione, e ha creato problemi molto gravi alla nostra vita democratica.

Ma non è solo per questo che la nostra vita politica ha sempre dato l’impressione di valere meno di quella dei nostri vicini europei. Non per una questione di uomini: a parte i celebrati De Gasperi e Moro, Ingrao e Berlinguer, Almirante e La Malfa, basta ascoltare oggi Claudio Martelli per rendersi conto che abbiamo avuto ingegni e personalità di prim’ordine nel nostro agone politico.

Il fatto è che dopo la rottura dell’unità antifascista operata nel 1947 da Alcide De Gasperi in conseguenza della guerra fredda e della cortina di ferro, il bipolarismo italiano si è incentrato su due forze politiche particolari: da un lato la Democrazia Cristiana, legata ai valori e all’organizzazione di una istituzione extrastatuale come la Chiesa Cattolica; dall’altro il Partito Comunista, che non solo aveva come orizzonte ideale la rivoluzione proletaria, ma conservava strettissimi e concreti legami con una potenza imperiale ostile come l’Unione Sovietica.

Rappresentavano mondi opposti e inconciliabili, essendo l’uno per l’altro l’eresia, il male, il caos. Perché rappresentavano fedi, e le fedi sono per loro natura totalitarie; postulano e pretendono di conoscere tutta la verità. Mentre nelle democrazie liberali nessuno possiede tutta la verità, ma soltanto una parte.

Quando queste grandi realtà politiche si sono estinte hanno lasciato in eredità al costume nazionale questo meccanismo per cui l’altro è il nemico, e ogni contatto con lui va considerato impuro, contagioso, contaminatore. Il compromesso, che è il fondamento di ogni democrazia liberale, degrada a inciucio, abiura tradimento.

Così abbiamo avuto il bipolarismo alla sudamericana, con l’antiberlusconismo militante che portava a riunire Mastella e Bertinotti e l’anticomunismo senza comunisti dello stesso Berlusconi che buttava in un unico calderone nazionalisti e secessionisti, liberali e postfascisti. Poi l’avvento del populismo ha portato alla politica come circo permanente, passatempo puerile, corrotto o triviale.

In questa incerta aurora che forse il Governo di salvezza nazionale può rappresentare, considero buone notizie sia l’appoggio a Draghi di Matteo Salvini e della Lega sia quello del Movimento Cinquestelle. Non perché ritenga questo appoggio sincero o dettato da amor patrio; perché lo ritengo intelligente e realistico.

Senza detrarre la legittima scelta di opposizione di Giorgia Meloni, che mi auguro trovi un contraltare a sinistra, in pezzi dei Cinquestelle e di Leu, perché un Paese senza opposizione è un Paese che non sta bene, mi pare che con questi esami di maturità la politica italiana possa finalmente conseguire un diploma di credibilità, di pragmatismo, di intelligenza del reale che le manca da sempre.

Prendendo questo diploma di maturità, potrebbe aspirare a non essere più commissariata: né dai giudici, né dalla burocrazia, né dal Grande Italiano del momento. Il giorno in cui accadesse, che resta comunque ancora lontano, sarebbe un gran bel giorno. Alla prossima

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