Le Zes e un piano per i giovani per una nuova centralità geopolitica della Puglia, cerniera tra mare e Aree Interne. Il programma da candidata della prof Laura Marchetti

by Antonella Soccio

Con “Le strade della Fiaba”, la professoressa Laura Machetti, docente di Didattica generale e di Didattica delle culture all’Università degli Studi di Foggia, coordinatrice del Centro della Complessità ed autrice di numerosi volumi di taglio antropologico e filosofico e collaboratrice de Il Manifesto, ha contribuito in Puglia con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo a strutturare 1600 chilometri di valorizzazione antropologica e turistica di territori interni di grandi narrazioni e grande bellezza.

Chi la conosce sa che ha con gli studenti un rapporto appassionato.

Capolista alle politiche per i Verdi nel 1994, è stata coordinatrice nazionale dei Verdi contro la guerra, e poi nella direzione nazionale di Rifondazione Comunista. Nel 1996 Romano Prodi l’ha nominata nel Comitato Nazionale dei Sette Saggi per coordinare la parte ambientale del primo programma dell’Ulivo.

Oggi si candida al consiglio regionale con la lista Senso Civico, un nuovo Ulivo per la Puglia in sostegno a Michele Emiliano, nel collegio di Bari, per “scongiurare una deriva sovranista” ed evitare che la regione sia riconsegnata a Raffaele Fitto. Il suo Mezzogiorno non è un “Sud vetrina di finzione, che dalla Taranta arriva a delle indossatrici vestite da finto povere per le strade di Lecce”.

La sua Puglia è cerniera, come spesso ama ripetere. Una cerniera che però va ancora messa a valore. “Chi va in Europa deve passare dalla Puglia e viceversa, provenendo dal Maghreb, dai Balcani, dalla Grecia o dalla Croazia. Un passaggio che, in passato, è stato accompagnato da idee, valori, tradizioni, e anche merci e ricchezza”, scrive nel suo programma.

Di questo e tanto altro noi di bonculture abbiamo chiacchierato con lei in questa intervista.

Professoressa Marchetti, lei parla sempre di una Puglia cerniera, ha lavorato in questi anni alla mappatura dei fari, delle torri e di tutti quei luoghi di confine che dalla Puglia aprono all’Est e al Mediterraneo. In questo rapporto però tra il mare e l’alterità le Aree Interne rischiano di essere dimenticate, proprio oggi che col Covid i piccoli borghi rappresentano una possibilità straordinaria per il distanziamento e per una vita lenta, senza i ritmi della movida e dei trasporti frenetici.

Come far sì che le Aree Interne non siano solo delle bomboniere turistiche finte?

Vorrei fare una premessa sulla particolarità della situazione, non solo della competizione elettorale, ma della nazione. È una situazione particolare in cui ci vuole senso civico, che non è solo il nome della lista in cui mi candido, ma è proprio il valore che deve avere sia la società civile e sia le classi dirigenti, le quali devono usare la campagna elettorale non solo per auto promuoversi, ma per chiarire e dire con chiarezza qual è la prospettiva, qual è la visione di futuro che loro hanno.

E quando parlo della particolarità della situazione non parlo solo della crisi sanitaria, ma sopratutto dei fondi nazionali ed europei, che sono stati previsti per il superamento della crisi sanitaria e anche alcuni problemi atavici di sviluppo e sottosviluppo, che coinvolgono il Sud. Questi fondi per essere spesi ed essere acquisiti, come si sta chiarendo in questi giorni, dallo Stato e dalle Regioni devono avere dei progetti di larga veduta. Allora prima di definire il ruolo delle Aree Interne io parteciperò a questa campagna elettorale, che mi piace perché ha anche un valore pedagogico ed educativo, per cercare di intenderci su quale ruolo deve avere la Puglia nella spesa di questi fondi. Un ruolo che può essere connesso alla collocazione geopolitica della Puglia. Viene dalla comunità europea questo progetto sulle Zone speciali, sulle Zes. 12 zone dell’Italia meridionale, 4 sono state già definite, Taranto e Manfredonia per la Puglia e Gioia Tauro. Si tratta di un progetto interessante, di geopolitica, perché ha il merito di risolvere in maniera nuova la questione meridionale, collocandola nella questione del Mediterraneo, che nel progetto delle Zes diventa di nuovo come prima di Carlo V, per intenderci. Questa idea regge sul fatto che dal Canale di Suez la via più breve per portare le merci non è Rotterdam in Olanda, ma è il basso Mediterraneo con un potenziamento attraverso dei contributi speciali, le Zes e le zone franche, per i porti del Mediterraneo. Con le Zes riavremmo la centralità di quell’asse.

I porti principali sono Taranto e Gioia Tauro, vero?

Sì, ma anche Napoli e Reggio Calabria. Tutto il basso Mediterraneo con una centralità del Meridione d’Italia economica. Avere una centralità economica significa anche avere una centralità politica e culturale. Si legge sui libri di storia del quarto anno di liceo che il Rinascimento italiano è finito quando le Repubbliche olandesi quando hanno ottenuto l’indipendenza dal regno di Carlo V, perché l’asse si è spostato dall’Italia al Nord Europa.

E alle Americhe.

L’asse si è spostato sugli Oceani. Adesso invece con le Zes si ripontenzierebbe il basso Mediterraneo con una ricaduta complessiva, per cui il Mediterraneo non è più solo il cimitero dei cadaveri da cui arrivano i poveri del mondo, che devono arrivare e devono essere accolti, ma ridiventa quello che era ossia un luogo di scambio di merci, di idee, di costumi, di religioni e di lingue.

Faccio un po’ l’avvocato del diavolo, professoressa. Cosa le fa pensare che le Zes non siano gestite come il Contratto d’Area di Manfredonia o tante altre aree industriali del Sud, ormai rinsecchite e con pochi scambi come ad esempio la zona del Calaggio? Il rischio è di far arrivare, attraverso gli incentivi e la defiscalizzazione, imprese già decotte.

Giustissimo, ma a questo serve la classe politica di alto livello, serve una classe politica che non usi questi contributi per fare delle nuove cattedrali nel deserto o per dare un po’ di contributi qua e la, ma che le usi all0interno di una programmazione del prossimo ventennio, in cui il punto centrale è la rivitalizzazione del Mediterraneo e non solo quella delle imprese. Per fare questo bisogna mantenere strettissimo il rapporto tra il porto, cioè il mare, e le aree interne. E il discorso delle Aree interne va collocato dentro questa strategia complessiva.

Se ne parlò per il porto di Taranto e della Puglia come una grande zona retroportuale.

Certo però mantenendo alcune identità culturali che sono sempre legate ad identità economiche.

Oggi cosa sono le Aree Interne secondo lei?

Osso, uso la metafora Rossi Doria. Anche la città metropolitana ha contribuito a creare il divario tra la polpa e l’osso: tutto è diventato baricentrico, marcatamente più ancora delle province, la città metropolitana estende la centralità metropolitana e rischia di periferizzare ancora di più le aree interne. Questa metafora della Polpa e dell’Osso, che Rossi Doria ha usato in maniera così straordinaria è un altro dei punti chiave della questione meridionale e lo dice un bel saggio di Insolera: Cavour quando fece le due ferrovie, le realizzò sulle due dorsali, l’Adriatica e la Tirrenica. Il solo fatto di aver messo i trasporti sulle due dorsali rese ricche le dorsali e svuotò le aree interne. Sia nel Meridione d’Italia, sia nel Settentrione, perché c’è anche un Meridione nel Settentrione. Sempre legandosi alle Zes, un esempio di valorizzazione potrebbe arrivare da un incremento di tutta la mobilità Bari Napoli, non solo per l’Alta Velocità, ma per tutte le forme di mobilità. Oppure col il potenziamento delle ferrovie locali, che mettano in comunicazione Foggia con Potenza, Potenza con Napoli, Potenza con Taranto. Occorre potenziare una rete di mobilità diversificata che possa collegare le zone dell’interno. Oggi le Aree Interne o sono svuotate- e il destino delle Aree Interne è il destino dell’agricoltura e di un sistema di conoscenza a dei valori antropologici che mi sono molto cari, è nelle aree interne che c’è il Sud magico, la narrazione, è nelle Aree Interne che c’è la biodiversità, qui si può sperimentare una forma di economia circolare e di sviluppo sostenibile, è dalle aree interne passa il problema dell’acqua. Dalle aree interne passano anche le grandi questioni del dissesto.

Purtroppo nelle aree interne passa anche la questione dei rifiuti

Certo, veniamo alla nostra Murgia. Quali sono stati i progetti che il capitalismo nazionale ha messo in campo per la Murgia? La discarica del mansviluppo del Nord, chi aveva pensato di allocare la centrale nucleare. C’è un progetto secretato dai vari Governi: è finito il contratto per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi con la Francia e si devono riallocare dei siti per i rifiuti pericolosi e la Murgia è sempre al primo posto nelle candidature per prendere i costi dello sviluppo, non i vantaggi dello sviluppo. E invece serve un grande progetto di rivitalizzazione delle Aree interne, che passi per una agricoltura sostenibile di qualità, l’economia circolare legata alla sovranità alimentare, che recuperi i concetti di sostenibilità, di acqua bene comune e sopratutto che riprenda l’identità culturale non finta legata al mondo agricoltura. È questo un altro tema accanto a quello della centralità del mare su cui mi appassionerò.

Questo però è anche un tema molto battuto dal centrodestra e in particolare dalla Lega. Salvini fa una battaglia molto forte sul made in Italy e sul prezzo equo agli agricoltori. Molti di loro sono affascinati dalla sua propaganda e dal suo messaggio. La sinistra come deve differenziarsi?

Io sono uno eco-marxista, che è un ossimoro perché mette insieme due opposti. Il marxismo è la modernità e l’internazionalismo, il cosmopolitismo e l’ecologia è invece, che può apparire come una ideologia conservatrice, lavora molto sul radicamento alla terra e sulla conservazione delle identità. La Lega, ma non solo la Lega, i sovranisti d’Europa hanno rubato questo tema dell’identità e lo coniugano in maniera egoista. L’identità non è egoista. Con l’assessorato alla Rigenerazione Urbana abbiamo lavorato alla Legge sulla Bellezza, che questa legislatura non è riuscita ad approvare, ma sarà la prima cosa che porteremo in aula. La novità di questa legge regionale è proprio nella identità nel senso che la legge prevede non solo la tutela dei beni naturali o dei beni culturali, per i quali ci sono leggi nazionali, ma prevede la tutela della bellezza legata alle comunità cioè di quella bellezza che le comunità percepiscono come identitaria e legata al proprio sistema di vita e di valori. Può apparire un argomento leghista, ma non lo è perché la comunità, accanto allo Stato nazionale, intesa in senso aperto e democratico, è quella che garantisce il miglior presidio del territorio.

Lo si dice da tutte le parti: ci vuole più sicurezza. Ma sicurezza significa non un controllo di polizia, ma sicurezza vuol dire un controllo delle comunità sul territorio e di tutte quelle invenzioni che le comunità possono usare per controllare meglio il territorio. Per esempio Renzo Piano aveva fatto una proposta secondo me bellissima, quella dell’architetto condotto, cioè un architetto che come il medico condotto, con lo sguardo della comunità, su mandato della comunità individuasse i disastri, ripristinando e restaurando. Lo stesso può fare il medico scolastico, anche questa figura è legata ad un sentimento di comunità. Sono le comunità scolastiche che in qualche modo si autogestiscono.

Oggi c’è anche lo psicologo di base.

Lo psicologo di base è una delle leggi che Senso Civico ha portato ed ha approvato in Consiglio regionale. Anche tutto il discorso sulla sanità, si è detto che la causa di tante morti è stata aver privilegiato un sistema centralizzato a scapito di un sistema di controllo e sicurezza sanitaria territoriale.

Anche se poi nelle aree interne la sicurezza sanitaria è stata coniugata con la mera realizzazione delle rsa e delle rssa. Ogni paese ha la propria, privata. E col Covid i piccoli centri sono stati investiti di tutte le problematiche relative al contagio.

Noi, il gruppo del Manifesto, con Bevilacqua e Tonino Perna, abbiamo scritto al Ministro per il Mezzogiorno chiedendogli di intervenire su un piano sui giovani. Lo abbiamo fatto da meridionalisti e da persone che vedono che le aree interne stanno morendo, perché la popolazione è anziana, i giovani vanno via in cerca di una vita migliore, di studi più professionalizzanti, vanno via per fatalismo. Accanto ai giovani che hanno il coraggio di rimanere, un governo nazionale, ma anche regionale, perché noi abbiamo visto durante la pandemia 80mila ragazzi che son tornati a casa così smarriti, segno che la vita di lavoro che pure avevano o di studio non era così felice. Alcuni di loro vorrebbero anche rimare qui al Sud. Una classe dirigente che avrà i denari per la prima volta e questo è il fatto nuovo- ha il dovere di dare a questi giovani di dare la possibilità di continuare a fare i cittadini del mondo se vogliono, ma anche di ritornare a casa e di ritornare alle loro comunità. Occorre un un grande piano per la gioventù, che è rimasta e vuole ritornare, con lavori qualificanti di ricerca, di tecnologia, di riparazione ambientale, di sviluppo sostenibile, di terzo settore, di volontariato. Una volta Legambiente stilò un piano con tutti i lavori possibili nel campo ambientale e arrivò ad 1 milione di posti di lavoro. Non spariamo cifre, però un piano nella tutela, nella valorizzazione del settore primario pesca e agricoltura, nella valorizzazione culturale e nella sostenibilità, nella ricerca e innovazione potrebbe senz’altro una strada per far ritornare i giovani.

Taranto e l’Ilva. Qui si è consumato per alcuni il grande inganno che ha condotto al famoso cappotto dei 5 Stelle alle scorse Politiche. Ormai tutti sembrano allineati a quello che Emiliano diceva già qualche anno fa sulla decarbonizzazione di Taranto. Lei che ne pensa? È questa la strada o è per una chiusura dell’Ilva e per una riconversione totale di Taranto?

Voglio dare due risposte. La prima riguarda Taranto e la Puglia, la seconda Taranto e l’Italia.

La Puglia è una cerniera e deve tornare ad essere cerniera. Di merci, di idee. Oggi invece la Puglia nello scacchiere mondiale è uno cerniera energetica, dalla Puglia passa il peggio in una nuova forma di ecocolonialismo che dalle Trivelle al gas, all’acciaio, al carbone, fa delle azioni che non hanno ricadute sulla Puglia, che è una semplice colonia. Il problema di Taranto si risolve uscendo da questa logica energetica coloniale. A questo deve contribuire la Regione, ma anche lo Stato, che deve fare ciò che non hai mai fatto: un piano energetico nazionale, in cui si individuino le energie alternative, ma si rispetti anche la sovranità nazionale.

Il secondo punto è più romantico. Sono stata a Taranto in vacanza, non potendo andare in Grecia dove vado ogni anno sono stata in Magna Grecia. Taranto è una città bellissima, di una bellezza strepitosa con le colonne doriche che spuntano nel centro storico, con il mare straordinario lì vicino. Ha un centro storico lasciato al degrado e quel mostro, l’Ilva, che continua a mietere vite umane e ad ipotecare qualsiasi speranza nel futuro. Naturalmente condivido la proposta della decarbonizzazione, ma vado più avanti. Ma insomma, vogliamo fare un tavolo nazionale, in cui davvero ci dimostrino se è vero che dalla produzione di acciaio di Taranto dipende l’acciaio nazionale? O possiamo ipotizzare che quel mostro vada chiuso? Possiamo fare i conti? Mi dicono che 1500 sono le persone impegnate direttamente nell’Ilva o comunque un indotto che non supera le12mil. Non so se queste cifre sono giuste.

12mila persone non si possono riqualificare in un turismo di qualità, in una pesca di qualità, in una cultura altissima, perchè il Museo di Taranto è uno dei più belli d’Europa? Questo ragionamento che ricostruisce il destino di Taranto, come nel film di Winspeare, Il Miracolo, va perseguito. Serve un miracolo, ma è un miracolo facile da realizzare, si tratta di di poche migliaia di posti di lavoro. Perché non potenziare la ricerca nella medicina di avanguardia e nell’Università? Perché non investire in un altro mondo possibile per il rilancio di Taranto e continuare a discutere su una cosa che uccide le persone? Sono andata al quartiere Tamburi, non ne avevo mai avuto il coraggio: non avevo mai visto l’ombra della morte dei bambini. Ma che città è quella che ha tanta bellezza consegnata ad un destino di morte? Taranto è il problema chiave della Puglia, perché è il problema del modello energetico. Gli ultimi governi, da Berlusconi in poi, hanno secretato la questione dell’energia cioè hanno detto che la localizzazione degli impianti e tutto il loro iter era segreto di Stato. Vale anche per i rifiuti. Questo significa che le comunità non hanno alcuna possibilità di decidere e progettare il proprio territorio, perché il loro territorio diventa un passaggio rispetto a quello che poche multinazionali dell’energia hanno deciso.

Ma il destino di Taranto non è tragicamente connesso a quello della Val d’Agri in Basilicata? Lì è tutto secretato, le poche associazioni che si battevano come l’Ola sono state disperse e intimidite.

Pasolini aveva ragione: tutto quello che è accaduto in Italia è legato ai segreti dell’energia. Il tema che noi avevamo posto e che ha posto il presidente Emiliano sul referendum delle trivelle, per il quale la Puglia è stata capofila per un pronunciamento delle regioni e delle comunità su quello che accadeva nei loro mari. Il mare delle comunità non può essere trivellato dalla prima multinazionale che ne fa richiesta e vuole distruggere all’ambiente. Questo è legato al destino di Taranto, su cui va fatta la domanda di quale orientamento culturale vogliamo dare al nostro territorio.

Non crede che sia Fitto sia per certi versi Scalfarotto sui temi energetici dicano la stessa cosa?

Certo. Il Governo che mi è amico ma che tante volte non capisco nel decreto di agosto per il sostegno alle 29 città d’arte ha inserito Verbania, pittoresca città sul lago Maggiore, ma non ha messo Taranto. In realtà non c’è il Meridione d’Italia, perché sono solo 9 le città tutelate, di cui 5 della Sicilia, non c’è Reggio Calabria. C’è Napoli, ci sono Matera e Bari, unica città pugliese, ma non c’è Taranto. E quindi non c’è un modello culturale sulla Magna Grecia, che può far capo a Taranto.

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