Municipia, Tito Salatto e la «nostalgia» per la politica. «Per Foggia serve il più ampio consenso possibile»

by Antonella Soccio

Dallo scioglimento del Comune per infiltrazioni ad oggi, in ben due anni, la comunità di Foggia, tranne che per rarissimi esempi di discussione da parte di Libera o di altre realtà legalitarie, non ha mai analizzato con cura i motivi che hanno indotto lo Stato a sospendere l’azione amministrativa. La presenza della ferocissima Quarta Mafia dentro i gangli della cosa pubblica viene ancora messa in dubbio, persino nelle aule dell’Università cittadina.

Pochissimi i dibattiti sulla documentata relazione prefettizia, che ha accompagnato l’atto di scioglimento, sparute le proposte per il futuro, pur dentro tante battaglie da parte di qualche ex consigliere per far luce sull’azione amministrativa della vecchia giunta.

Nasce da questa consapevolezza il tentativo del 73enne imprenditore Tito Salatto di aprire una finestra sulla città, con l’evento Municipia, previsto per il prossimo 26 maggio all’Altrocinema.

«Siamo in un momento storico in cui i tempi delle attese e delle speranze, devono lasciare il passo alla costruzione, alla programmazione. È da troppo tempo che Foggia è in uno stato agonizzante e i foggiani sono stanchi di dover subire una storia di deriva e rassegnazione. Municipia – punta a offrire una svolta; quella svolta imprenditoriale che è già la sua impronta in ambito sanitario/ editoriale/culturale/ fiore all’occhiello delle offerte locali , mostrando in tutti i settori una lungimiranza premiante. La città merita un Riscatto!», si legge nella nota di Municipia, “Un’idea che diventa città”.

Noi di Bonculture ne abbiamo intervistato il protagonista.

Dottor Salatto, come mai prende parola adesso? Ha forse atteso i partiti che sonnecchiano e quindi ha deciso di far da sé a pochi mesi dalle amministrative del Comune di Foggia?

Ho combattuto molto per non farlo. Ma di questa mia passione sociale mi occupo sin da quando ero un giovane chirurgo e avevo una sola clinica. Con papà finanziavamo la pallavolo, la pallacanestro, la Croce Rossa. C’è sempre stato da parte mia un forte interessamento sociale, un mio retaggio. Per me le aziende che andavano bene dovevano dare qualcosa nel sociale, per la città. Sono stato presidente del Centro Velico per far vincere qualche coppa a Manfredonia, dove non se ne vinceva una. Con la barca nuova che acquistai finalmente vincemmo. Fui poi editore. Mi innamorai di Teleblu, la compro negli anni di Mani Pulite quando i politici dovevano disfarsene e divento in un sol colpo un soggetto politico. Mani Pulite fu una svolta, Teleblu, non so neppure spiegarne motivi, divenne una emittente partner di magistrati, senza volerlo. Seguivamo le indagini ed esse portavano subito alla interruzione di certe pratiche borderline, anche grazie alla forza della tv. Avevo contatti con varie associazioni e la Teleblu divenne fondamentale per le elezioni a sindaco tra Paolo Agostinacchio e Vittorio Gentile. In quella battaglia io cercai in qualche modo che quanto meno non tornasse al Comune la Democrazia Cristiana.

Ero presidente dell’Aiop già a 40 anni, il presidente Fitto mi chiamò e mi disse: tu ti devi candidare. Non mi ha messo la pistola contro o mi ha dato una clinica in più perché mi candidassi. Io tentati di scappare, ma alla fine mi candidai, vivendo il tradimento di Lucio Tarquinio, che mi sottrasse 5mila voti. Suo figlio aveva avuto un appalto da 8miliardi con Agostinacchio sindaco. Mi son trovato solo perché la destra non mi voleva, la sinistra neanche e mi dimisi.

Qui inizia la mia storia politica, cominciai ad approfondire le materie amministrative. Prima di allora avevo fatto sempre e solo il chirurgo con impegni nell’associazionismo e nel sociale.

Lei fu uno dei primissimi uomini nuovi di Forza Italia, molti dimenticano questo passaggio…

Sì, ero amico di Viceconte, insieme proponemmo Enrico Santaniello, che era un avversario di Lucio Tarquinio. Nessuno di noi pensava che Forza Italia potesse fare quel boom che ebbe.

Come arriva a diventare vicesindaco di Orazio Ciliberti nel 2006?

Lo appoggiai in campagna elettorale, dopo che mi fu presentato da Sabino Colangelo. Venne un amico caro, di cui non svelo il nome, che mi disse: hai chiesto qualcosa a questa amministrazione? Perché se non chiedi niente non si fideranno di te. Devi chiedere qualcosa.

E io chiesi un assessorato, quello della Cultura. In modo da togliermi dal bilancio e da altre caselle più pericolose. Chiesi tutto dalla a alla zeta, senza spacchettare le deleghe. Non mi diedero solo l’Università, perché Ciliberti la tenne per sé, per suoi interessi accademici.

All’assessorato misi a frutto tutte le mie esperienze e i tanti viaggi culturali che feci grazie ad una mia compagna tedesca coltissima. Smontai tutto l’apparato impiegatizio della cultura che faceva capo alla dirigente Gloria Fazia, una insegnante perfetta ma certo non una manager culturale, smontai quegli uffici dove non si faceva niente e misi a coordinare la struttura Dino De Palma e Gianna Fratta.

Che allora erano molto giovani…

Sì, diedi a Dino Palma le direzioni artistiche e insieme a Gianna Fratta cominciammo a interrogarci su chi far venire a Foggia. Abbiamo salvato la Tomba della Medusa, ci fu il restauro dei Tre Archi. Facemmo tantissimo per Foggia.

Ci furono moltissime iniziative, anche all’avanguardia, con artisti ed intellettuali che oggi sono mainstream per il centrosinistra ma che in quegli anni erano di rottura, non facevano ancora parte del “circo” culturale di massa. Proponeste anche la Via della Seta, ben prima di Giuseppe Conte…

Sì, portammo Piergiorgio Odifreddi, Massimo Cacciari, Cesária Évora, che a Foggia nessuno la conosceva, Daniele Luttazzi, Goran Bregović, che io amavo e amo. Nessuno allora conosceva la sua musica balcanica funeraria.

La Via della Seta fu un’idea mia e di Gianna, ma come sempre accade tutti volevano sapere, siccome l’avevo organizzata io, quanti viaggi avrei fatto a spese del Comune. Per mettere a tacere le malelingue, feci prima iscrivere tutti, ma io non andai.

Chi la consigliava in assessorato? Dino De Palma e Gianna Fratta?

In realtà, per il 70% erano idee mie, loro erano ottimi esecutori, sono cresciuti poi negli anni, perché hanno avuto scambi con altri direttori artistici. E oggi si meritano tutto il successo che hanno avuto e che adesso hanno.

Quell’amministrazione fu poi rovinata anche da piccoli infortuni. L’amante, il peculato con la macchina del Comune, la figlia di un politico assunta. Ciliberti, che non ha mai avuto grande coraggio, decise di dimettersi. Io ero nella vasca, perché la mattina leggo i giornali nella vasca per pensare, quando seppi la notizia. Andai a casa sua e gli propose di nominarmi direttore generale, per pulirgli tutte le scorie. Lui non riusciva a liberarsi di chi stava ai Lavori Pubblici e operava con le somme urgenze, chi stava alla Tomba della Medusa senza far nulla, chi aveva chiuso il teatro. Non riusciva ad andare avanti. Chiesi tutte le deleghe per cambiarle quasi tutte. Lasciai solo l’assessore al Bilancio, Angelo Benvenuto.

Che avrebbe forse pure dovuto cambiare, considerando gli eventi successivi…

Sì, ma sarebbe scoppiato un caos politico. La mia fu un’amministrazione monacale in tutti i sensi. Misi ordine. All’epoca tutti i dirigenti mi seguirono, anche alcune ciofeche che mi ritrovai riuscirono a motivarsi.

Per molti questa sua esperienza amministrativa appare però un vulnus insuperabile, è così?

Per essere stato in Giunta con Ciliberti? Può essere, ma quello che ho fatto l’ho sempre fatto bene. E ne ho nostalgia. Una nostalgia che non mi ha mai abbandonato. Quello che realizzai alla Cultura lo feci con lo stesso budget di Agostinacchio, solo che lui non fece nulla, io portai nomi importanti. Ma non voglio autocelebrarmi.

Però, Bob Dylan a Foggia al Teatro Mediterrano, prima che diventasse Premio Nobel, va citato.

Sapevo che Dylan sarebbe andato a Bari per una data, io ho lavorato a Bari al Policlinico per 8 anni, conoscevo qualche politico barese e qualche imprenditore barese. Mi intrufolai e parlai con Bob Dylan, gli spiegai che il suo concerto avrebbe dato uno slancio alla città. Così, Dylan, per quale motivo mi è ignoto, lasciò Bari e venne da noi a Foggia.

Negli ultimi mesi cominciai a capire che si manovrava per le assunzioni. Chiesi telecamere, telecamere e telecamere. Che non si misero perché qualcuno chiese soldi anche per verificare la staticità dei pali della luce.

Mi dimisi.

Nel frattempo Ciliberti era diventato impresentabile e incandidabile per un secondo mandato.

Mi son dimesso e tutti mi hanno guardato storto e me ne hanno voluto.

Intende il Pd?

Tutti i partiti, hanno pensato che fossi ingrato e che mi stessi preparando per farmi eleggere in regione.

Come ha nutrito la sua nostalgia per la politica?

Finita questa avventura e mancando la droga della cultura, mi avvicinai all’Ariston e provai a farne un cinema d’essai con un cabaret. Ma vennero 24 ispezioni e capii che il Comune mi avrebbero messo i bastoni tra le ruote. Ci rimisi anche 100mila euro di progettazione e scoprimmo che non c’era nessun impianto a norma. Capii l’antifona e mi ritirai.

La sanità l’ha assorbita moltissimo negli ultimi anni, vero?

Sì, ma anche la mia separazione con la mia seconda compagna con cui ho rotto anche per la politica. In questi anni mi sono dedicato ai viaggi.

E il peso e il nodo di Teleblu, che oggi non ha frequenze?

Senza offesa per la vostra categoria, a Teleblu non c’erano più giornalisti. Era diventato impossibile gestirla, era andata via tanta gente che aveva passione. Ho resistito fino all’anno scorso, ma in maniera penosa.

Municipia, con la conduzione di Giovanna Greco, è stato il format che ha decretato il successo di Franco Landella nel 2014 contro Augusto Marasco. Se ne pente?

Sì, ma con Landella io non ho mai avuto nulla a che fare.

Lei prima ha accennato all’installazione delle telecamere sempre invise in Comune. La videosorveglianza è un fattore determinante della relazione prefettizia. Data la sua lunga esperienza, come ha vissuto lo scioglimento per mafia dell’Ente?

Come un atto tardivo. La giustizia o arriva troppo tardi o troppo presto. A Foggia è arrivata troppo tardi.

Troppo tardi significa che la relazione di scioglimento è anche incompleta?

Se ho interpretato bene la decisione della sospensione della democrazia al Comune di Foggia, le motivazioni esistevano già dopo 5 mesi di amministrazione Landella, checché ne pensino i giornalisti che lo difendono. Possiamo dire che la mafia non esiste? O ci crediamo sempre ai giudici o non ci crediamo, per i giudici esiste. Io che so molte cose, non provabili, so che i nostri dirigenti dell’epoca prendevano a latere qualcosa per ogni progetto. Dicono che non si viveva di solo gettone.

Sono emerse delle indagini che hanno cristallizzato la percentuale della tangente…

Certo, ci sono stati poi degli acquisti della parte della Asl, tante situazioni di compravendita di suoli, ma io non posso esprimere un giudizio negativo. Ho capito solo che c’è stata una accelerazione dell’espansione della città.

Lei aveva partecipato al bando renziano “da periferia a periferia” per la realizzazione di una foresteria, che ne è stato?

Mi hanno escluso, tutto bloccato.

Perché allora ritornare nella mischia?

Perché mi sveglio ora? Mi sveglio perché siamo al nono anno che sono presidente Aiop e anche lì ho capito tante cose. La democrazia è tale se c’è trasparenza negli atti, se gli obiettivi decisi vengono perseguiti con i giusti mezzi e con una visione. C’è un problema, qual è la causa? Invece si parte sempre dai soldi che ci sono e si distribuiscono a seconda di chi si debba darli.

Inutile che ci diciamo in cosa si sia ridotta Foggia negli ultimi 15 anni. Il povero Gianni Mongelli lo hanno fatto fuori inopinatamente perché il Pd è specializzato a far vincere il centrodestra.

Lei è stato iscritto al Pd?

No, mai, sono un uomo d’area, liberale. Sono un riformista, per carattere non sono un democristiano, se non quando la moderazione e i compromessi sono utili.

Siamo arrivati alle elezioni e sento dire a tanti: io mi candido a sindaco. E quattro persone decidono all’ultimo chi sarà il candidato. Vogliamo capire che il prossimo quinquennio sarà determinante per il futuro di Foggia e servono altri metodi?

Lei nel 2019 però sostenne il candidato del centrosinistra, l’ingegner Pippo Cavaliere, che fu selezionato e la cui campagna cominciò solo tre mesi prima dell’elezione, con il metodo che oggi lei contesta.

Il dibattito in un certo tipo d’area poneva la domanda: che ne pensi tu? Porreca o Cavaliere? È una domanda abbastanza balzana.

Gliel’hanno proprio posto in questi termini?

Girava questa domanda, a cui io ho risposto: voi volete uno che lavori con la propria testa o che sappia fare compromessi?

È difficile rispondere a questa domanda, se il compromesso è utile.

Loro hanno scelto il compromesso. Oggi Foggia sembra Kiev e non solo per la mancata bellezza. Per me la bellezza è il presupposto della buona amministrazione, se una cosa è brutta è difficile che sia anche buona. Mi son ricordato allora che nel 2012 fondammo, io, i miei figli, Fatima Bronci e Micky de’ Finis, Municipia, un’associazione, che forse diverrà una fondazione.

Abbiamo realizzato diverse iniziative benefiche. Ho deciso di ripescarla. Municipia invita tutti ad aprire un dibattito, il primo punto della democrazia è l’andare al votare. E il rischio che la gente non vada a votare è elevatissimo. Perché se si presenteranno sempre i loschi figuri in questi centri di aggregazioni dobbiamo solo preoccuparci. Io apro una finestra sulla città.

Ma a chi si rivolge Municipia? Al Pd? Ai Fratelli d’Italia? Al civismo? Cerca sponde nel Governo?

A me del governo non interessa nulla né voglio sapere chi è il colpevole della mafia a Foggia, altrimenti non riusciamo a proporre nulla di nuovo. Io voglio essere propositivo. Rivolgo delle domande ai cittadini: vi va di vivere così? Ho invitato tutti, gli assessori, i parlamentari. Chi potrà venire, verrà. Chi non vorrà venire, non verrà.

Perché si dovrebbero fidare di lei?

Devono solo parlare, non fidarsi di me.

Tanti si chiedono se sarà lei il candidato sindaco, sarà cosi?

Senza dibattito su una coesione sociale, in cui si comprenda che il Comune ha bisogno di servizi che non sono né di destra né di sinistra, non creiamo nulla. Non sono Draghi, ma la mia idea è che questo uomo o donna che si candidi abbia il più ampio consenso possibile.

Ma quindi dal palco fornirà dei suggerimenti? Presenterà dei programmi?

No, perché non sono il candidato sindaco. Secondo me servono: una dedizione totale, esperienza manageriale e qualcuno che dichiari sin d’ora che non si ricandida nel secondo quinquennio. Questo distrugge le amministrazioni: appena entrano in Comune pensano già a come farsi le clientele per il prossimo quinquennio. Il prossimo sindaco deve essere laico, un termine che coinvolge tutta la questione dell’omofobia e dei diritti civili. Noi siamo laici. Il prossimo sindaco deve comprendere che per le nostre imprese gli immigrati sono importanti.

La nostra è una prima riunione, seguiranno degli altri eventi.

Saranno eventi di caratura nazionale?

Sì, verranno anche dei costituzionalisti. Verrà Massimo Cacciari.

Ma se non si dovesse aggregare nessuno?

Andrò avanti da solo.

Ma è anche disposto a sostenere qualcun altro se i partiti dovessero proporre un nome che non è il suo?

Se c’è il consenso, sì. Per esempio io non credo all’alleanza tra Pd e M5S.

Ma se dovesse concretizzarsi la convergenza cara a Michele Emiliano su Rosa Barone lei la sosterrebbe?

Ecco, Rosa Barone è una persona che io stimo. Ha un suo stile, un parlare non a vuoto. Non so se ha la forza per sostenere una ristrutturazione dell’ente, ma con una squadra giusta potrebbe farcela. Nessuno può parlar male di lei, né io posso mettere dei veti. Se fosse Rosa Barone, perché no!?

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