Sindaco di Foggia: il silenzio degli azionisti di maggioranza. Il centrodestra e Landella come Ovidio. I cinquestelle che non usano la carta Furore

by Enrico Ciccarelli

Mancano poco meno di novanta giorni alle elezioni che ridaranno a Foggia un sindaco dopo due anni di ignominioso commissariamento, ma la schizofrenia e il tatticismo senza strategie sembrano dominare sovrani. Certo, ci sono le candidature-selfie: quelle esplicite di Giuseppe Mainiero e di Nunzio Angiola, quella implicita di Tito Salatto. Tutte e tre persone degne di ogni considerazione, accomunate da una salutare distanza rispetto agli ultimi deplorevoli scorci della vita civica. Le mie personali simpatie, senza nulla togliere agli altri, vanno a Salatto, non solo per antico affetto e stima, ma anche perché mi pare sia quello con la migliore esperienza in campo amministrativo e la migliore conoscenza delle luci e delle ombre della politica. Queste persone hanno comunque il merito di avere aperto una discussione pubblica, e la stessa benemerenza va attribuita alle diverse espressioni del civismo, che si sforzano di supplire alla desolante afasia della politica.

Su quest’ultimo fronte, dalle parti del possibile «campo largo» grillino-dem circolano nomi di assoluto prestigio, come quello di Marcello Salvatori o di Maria Aida Episcopo. Ma è difficile capire se si tratti di candidature vere e proprie o di semplici ballon d’essai. Ha provato a muoversi anche la coalizione di centrodestra, che al Samì a inizio luglio ha ottenuto in insperato successo di pubblico e di critica con una riunione costruttiva e partecipata (anche e soprattutto grazie al «gran veglio» Paolo Agostinacchio). Ma rimane un ostinato silenzio da parte di quelli che, numeri alla mano, sono gli azionisti di maggioranza del voto in città.

Il favore degli elettori del capoluogo è da sempre orientato a destra, con periodiche evasioni verso i Cinquestelle alle consultazioni politiche. Il Partito Democratico ha spesso svolto un ruolo da king maker grazie alle capacità manovriera e alla spregiudicatezza dei suoi dirigenti, ma la sua consistenza non è mai stata straordinaria.

Che il centrodestra sia in imbarazzo lo si capisce bene: è mancata un’operazione verità su Franco Landella e la sua amministrazione. Non si tratta, naturalmente, di impancarsi a giudici e pronunciare sentenze che spettano ad altri fori: si tratta di dare un giudizio politico su un ceto di dirigenti e amministratori che non ha brillato per trasparenza. E non giova alla chiarezza del dibattito la più o meno interessata confusione sul fenomeno mafioso in città, sulla profondità e la gravità dell’infiltrazione dei clan e della criminalità organizzata nelle istituzioni.

Chi scrive ha profonde perplessità sui meccanismi e le procedure che governano lo scioglimento per mafia dei Comuni e sulle cosiddette interdittive antimafia. Che il destino di imprese e comunità sia sottratto alla giurisdizione e affidato all’amministrazione è indice dello scasso dello Stato di diritto compiuto in questi decenni di legislazione emergenziale. Ma l’idea pericolosa ed esiziale che quella delle amministrative possa essere una battaglia contro la Magistratura e contro lo Stato è inaccettabile. È inutile sperticarsi in elogi per le retate contro il narcotraffico per poi fare i tarantolati quando si affonda il colpo nelle zone grige della connivenza.

La mancanza di questa necessaria resa dei conti fa sì che il centrodestra si trovi nella situazione della celebre sentenza di Ovidio negli Amores: «Nec tecum, nec sine te vivere possum», non posso vivere né con te né senza di te. Ostracizzato, Landella ha ancora forza elettorale sufficiente a far perdere il centrodestra; tenuto a bordo per interposta persona, anche di più. Né sembra possibile per un partito rampante come Fratelli d’Italia (da noi saldamente commisto alla vecchia tradizione democristiana) incoraggiare tentazioni «no logo» come quelle viste a Manfredonia, con i simboli nazionali messi in naftalina.

Sull’altro fronte, i Cinquestelle sembrano finalmente pronti a diventare grandi, consegnando all’archivio i pittoreschi rituali dei meet-up e del voto online. Dimenticato in fretta il conducator Di Maio, accantonati i furori antisistema e accomodatisi alla greppia regionale offerta da Emiliano, gli stellati sono compattamente controllati da Giuseppe Conte. Ma per quale politica? L’alchimia con i dem ha rappresentato sinora una buona notizia solo per le destre, perché i due «popoli» fanno fatica a mischiarsi.

Potrebbe attuarsi, auspice il presidente della Regione, un appoggio a Giuseppe Mainiero? Probabilmente all’interessato farebbe molto piacere, ma è una strada impervia; e ad onta dei rumorsdi queste ore la proposta di una personalità indipendente non sembra in linea con il modo di essere del Movimento. Ma perché non puntare su una risorsa interna? Certo, Rosa Barone, che per motivi diversi sarebbe gradita a tanti, non può piantare a metà la legislatura regionale (sono già state negate altre deroghe a questo principio), e questo vale a maggior ragione per Marco Pellegrini e Giorgio Lovecchio, freschi di riconferma al Parlamento.

Ma perché non puntare su uno come Mario Furore? Un giovane dalla faccia e dai comportamenti puliti, con una biografia interamente grillina, ma caratterizzata dall’assenza di qualsiasi violenza verbale o intolleranza. Una persona di chiara matrice progressista, che ha fatto il parlamentare europeo con quei requisiti di disciplina e onore che la Costituzione chiede a chi svolge funzioni pubbliche, incompatibile con qualsiasi maneggio affaristico. Uno che non fa mai mancare la sua presenza quando si tratta di difendere diritti civili e sociali, che ha un rapporto di grande attenzione e disponibilità nei confronti dell’associazionismo e della cittadinanza attiva.

La ragione per non indicarlo sono i pochi mesi che separano le Comunali di Foggia dal rinnovo del Parlamento Europeo (giugno 2024)? Troppo fiscale anche per le abitudini pentastellate. Certo, a molti dem sta simpatico come un foruncolo ascellare, ma un bravo professionista della politica come Raffaele Piemontese non si fa certo fermare dalle antipatie; e tra primo e secondo turno gli arriverebbe probabilmente un sostegno di una certa ampiezza. Come dite? Fra i Cinquestelle non tutti lo amano? Possibile, anzi probabile; ma al ragazzo non manca equilibrio, e a parte l’amicizia di antica data con Barone e la piena stima di Conte (ma anche David Sassoli gli ha manifestato considerazione e stima), si è sempre tenuto lontano dalle faide e dai dossieraggi che accompagnano d’abitudine la vita dei movimenti populisti.

Vincerebbe sicuramente? Chi può dirlo? Di sicuro, pur considerando –per antico pregiudizio da vecchio inacidito- il Movimento Cinquestelle una calamità pari alle catastrofi bibliche, non lo vedrei affatto male con la fascia tricolore. Ma naturalmente potrebbe entrare a far parte dei tanti biglietti vincenti della lotteria buttati nella spazzatura di cui, da Antonio Pellegrino in poi, la storia delle amministrative di Foggia è piena. Si vedrà.

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