«Sogno una città diversa». A pochi mesi dalla fine del commissariamento per mafia la società civile foggiana si scuote

by Antonella Soccio

A pochi mesi dalla fine del commissariamento del Comune di Foggia sciolto per mafia nell’agosto del 2021 e del tentativo di bonifica della macchina pubblica, il commissario Vincenzo Cardellicchio ha parlato in un lunghissimo comunicato inerente il fabbisogno del personale dell’Ente di credibilità dell’Apparato tecnocratico.

«Al Commissario straordinario spetta il compito di far trovare minimamente in ordine la struttura burocratica che ha trovato come spesso accade “disastrosa”. Un termine certamente molto forte ma che non utilizzo io per la prima volta. Ad usarlo è stato recentemente il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo nel corso di un convegno nazionale che definisce così le condizioni in cui quasi sempre le amministrazioni sciolte per mafia si trovano. E questo nonostante ci siano, come nel caso di Foggia, al suo interno professionalità mature, dipendenti affezionati ed un diffuso spirito di sacrificio presente ovviamente non in pari misura in tutti, ma certamente patrimonio di molti», ha rimarcato.

In questi due anni è stato quasi del tutto assente il dibattito sulle infiltrazioni nella società civile foggiana. Partiti e associazioni, in una città dove un voto costa dai 30 euro ai 50 euro e dove centinaia di alloggi popolari erano assegnati agli affiliati dei clan, hanno perso l’occasione per riflettere su connivenze, omertà, intimidazioni, concorrenza sleale, racket, usura. Come se la mafia fosse solo una piovra sovraordinata, lontana e dedita ad uno spaccio altro e diverso e non il fiume di denaro che scorre negli appalti pubblici (per anni il settore della segnaletica è stato in mano alle batterie, solo per citare le evidenze della relazione di scioglimento prefettizia), il posto di lavoro dato a questo o a quel moschillo nelle cooperative di servizi, la compravendita di case popolari in mano alle famiglie mafiose, le tante attività usate come “lavanderie” per riciclare, le forniture imposte alle aziende legali.

Ci stanno provando ad aprire una discussione i promotori della Comunità Politica, che ha come portavoce il prof Luciano Beneduce e che vede tra i suoi animatori Mario Nobile, Fedele Cannerozzi, la vicepresidente di Libera Daniela Marcone, Sasy Spinelli, Michele Gramazio, Pilù Bevilacqua.

I maligni sostengono che il gruppo sia solo una operazione di facciata per dare peso alla sinistra radicale al tavolo delle trattative per l’indicazione del candidato sindaco nel centrosinistra emilianista, che probabilmente sarà allargato al M5S.

Dal basso però emerge forte, a sinistra, la voglia di avere per leader Daniela Marcone, figlia di Francesco Marcone direttore dell’Ufficio del Registro ucciso dalla mafia il 31 marzo del 1995. Lei più di ogni altro/a conosce il tessuto cittadino, il cancro che avvolge la comunità.

Nel secondo incontro della Comunità Politica ha destato interesse l’intervento di Pino Tucci operatore sociale, che pubblichiamo integralmente.

Eccolo.

Sogno…

Sogno, come tutti noi, una città diversa

dove i luoghi comuni e gli stereotipi del “fuggi da Foggia” siano sconfessati dal sorriso di tanti volti di questa città, dall’accoglienza di chi sa condividere un pasto, dall’operosità di tanti “invisibili” che si mettono al servizio delle fragilità, dalla vivacità delle menti pensanti, contro la manipolazione del pensiero unico.

Sogno una città diversa,

dove lo scempio delle immondizie per strada trovino la reazione forte e determinata dei cittadini, perché chiedano conto sempre dell’operato dei loro amministratori; dove le “immondizie ripulite” di alcuni tecnocrati dai guanti bianchi trovi l’indignazione forte e decisa dei cittadini, capaci di rivendicare i loro diritti non barattandoli più per favori.

Sogno una città diversa,

dove i “lei non sa chi sono io” siano una razza sempre più in estinzione, dove i poteri forti, il clientelismo e la malversazione trovino una ostinata e ferma opposizione della tanta gente per il bene di Foggia; dove i venditori di fumo e i donatori di panettoni, pranzi, cene e altro ancora trovino il vuoto intorno.

Sogno una città dove il teatrino della politica fino oggi intesa come cosa sporca, salvo poi servirsene anche per piccoli interessi personali, non trovi più clienti, ma cittadini sempre più sovrani capaci di ribellarsi e autodeterminarsi; dove invece i teatri tornino ad essere spazi fruibili e non più solo promesse elettorali; dove le piazze tornino a riprendere il significato di spazi di incontro, di confronto, di gioiosa convivenza.

Sogno una città diversa, dove il rispetto per la legalità non sia solo un soave proclama né una categoria vuota e inflazionata, ma si declini in fatti a partire da piccoli segnali e dalle più piccole azioni quotidiane, rinsaldando vincoli di solidarietà e di legami di appartenenza.

Sogno una città diversa dove le donne, gli uomini e soprattutto i giovani non debbano fuggire al Nord e in ogni dove, rincorrendo il sogno di un futuro lontano da una terra che li ha delusi, che li ha esclusi.

Sogno una città dove con una marcia in più e con un modulo 4 3 3 di zemaniana memoria, le persone “giochino” non più solo in difesa ma all’attacco, abbattendo il morbo nefasto della rassegnazione.

Sogno una città diversa, dove le persone non sono numeri, non sono elettori, dove anche i minori e gli adolescenti siano considerate persone anche se non votano e dunque per questo portatori di diritti; dove i ragazzi e i giovani possano dire la loro, possano trovare spazi di positivo protagonismo, spazi vitali di rinnovamento e dove gli adulti sappiano ascoltare le loro istanze e soprattutto sappiano sempre mettersi in discussione.

Sogno una città diversa, dove le politiche sociali siano politiche di comunità e non più politiche personali o di casta.

Sogno ancora una città dove la legalità sia coniughi col termine trasparenza, dove i mezzi e i fini siano congruenti, perché non ci possono essere fini buoni se i mezzi sono cattivi e viceversa. Perché tra mezzi e fini c’è lo stesso legame, di gandhiana memoria, come tra i rami e l’albero.

Dunque sogno una città, dove anche il metodo assuma una sacralità, perché senza una partecipazione e un coinvolgimento vero la gente non si appropria dei processi di cambiamento, ma diffonde il pericoloso morbo della delega.

Sogno una città altra, dove la vera cortina di ferro sta nelle scelte tra ciò che è buono e utile per la comunità e ciò che è egoisticamente “buono” per se stesso.

Sogno di poter realizzare tutto questo e per questo non perdo occasione di incontrare le tante belle persone di questa città per progettare insieme una Foggia diversa, più informata e consapevole dei propri mezzi e delle proprie inascoltate potenzialità.

Con affetto alla mia martoriata Foggia.

Pino Tucci

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