Verso il voto. Sull’orlo dell’incertezza

by Micky De Finis

Chissà che alla fine della giostra non abbia ragione Gianfranco Nappi, con la sua formidabile penna del sottile ed acuto scrittore che è nel dire  “meglio perdere bene che vincere male”. 

A conti fatti Lo penso anche io, forse condizionato da vecchi geni riformisti che porto nella pelle da inguaribile assertore di un sistema proporzionale la cui mancanza è nella radice del disordine italiano.

Ma il richiamo di Nappi coglie nel segno perché nell’incerto presente quel che dovrebbe preoccupare i più è l’incerto futuro,visto il tempo di tempesta e di fuoco che circonda l’orizzonte.

E così, mentre la navigazione sembra spingere a tutta destra, mi chiedo che fine abbia fatto la sinistra che non è riuscita in questo tempo a creare un nuovo spazio dei democratici per cambiare l’Italia, mentre riaffiorano una dopo l’altra le visioni diseducative di un berlusconismo di ritorno con quella scelta scellerata di chiudere l’esperienza governativa di Mario Draghi.

Laici, socialisti, cattolici, liberali, post comunisti non sono riusciti a costruire un campo unitario, largo, mobile al suo interno, privo di steccati ideologici, collaborativo e solidale e così le destre, vecchie e nuove, hanno buttato a mare un governo  per non lasciarsi scappare la più ghiotta occasione di rimettere le mani sul Paese, cosa ben diversa dall’idea di governarlo.

Ecco quindi le sorti di un’Italia spampanata appese non tanto e non solo ad una sconfitta elettorale molto probabile ma di una rotta politica che avrà ricadute incredibilmente negative sul piano sociale e culturale, oltre che economico.

Una vicenda triste quella che va in scena in questi giorni d’estate che ha messo  l’Italia e gli italiani spalle al muro per tornare alle urne, portando insieme sinistri segnali, come “quell’insalata russa” che fa intravedere Putin dietro la crisi italiana ed uno scontro politico trasferito sul fronte ucraino, con tutti i sospetti,le accuse piovute su Salvini e Forza Italia che lo difende e con Giorgia Meloni che si impadronisce, “incredibili dictu “, della bandiera atlantista.

Vogliamo dire altro ?

Vero è che le modalità con cui è terminata la legislatura hanno messo a nudo la fragilità del nostro quadro politico. Quel gesto di non votare la fiducia a Draghi, nel quale esprimevano importanti ministri Lega , Forza Italia e il movimento Cinque Stelle manifesta il vuoto preoccupante di cultura politica nella classe dirigente di un Paese che denota l’assenza di una visione del ruolo dell’Italia e del suo futuro, come Marco Iasevoli ammette con lucidità disarmante su Avvenire parlando della cattiva politica in voga, impreparata ora ad affrontare i decisivi interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 

Si sa che la destra, ieri conservatorice e populista, oggi sovranista, ha segnato un periodo lungo della storia italiana, difficile metterlo in dubbio.

Adesso quest’allegra compagnia si prepara ad incalzare gli avversari con buone chances di chiudere i conti e vincere la partita, riportando quel suo squadrone a Palazzo Chigi.

 Tutto questo eviterà l’autocombustione di un Paese piegato su stesso ? 

Io penso di no, perché è la storia a ricordarci  che Berlusconi, per quattro volte premier, il politico rimasto in carica il più a lungo nel ruolo di presidente del Consiglio, superato solo da Mussolini e Giolitti, porta la responsabilità di questo sfascio, con il sostegno esterno di un Giuseppe Conte, improbabile figurante della politica. 

D’altro canto l’attuale sistema elettorale non permette vie d’uscita dal culo di sacco in cui ci siamo cacciati.

E tuttavia, queste elezioni segneranno anche una vera corsa ad ostacoli per chi ancora crede di non dover gettare la spugna per la speranza di un’Italia migliore.

Le alleanze limiteranno i danni, salveranno pure qualche protagonista di una sfida già segnata. Ci proveranno da sponde diverse Bruno Tabacci, Carlo Calenda, Matteo Renzi e in Puglia Michele Emiliano, Raffaele Piemontese e Massimo Cassano con il suo coriaceo esercito di  popolari. 

Ma sarà tutto in una salita ripida, insidiosa.

Perché è mancata  una proposta culturale di ampio respiro con la quale riprendere in mano le sorti del Paese dove serviva un solo campo largo dei democratici che andasse  oltre i partiti per puntare su forme innovative di democrazia integrale. 

Giusto quel che Giuseppe Conte non ha capito e forse non poteva capire.

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