Povertà educativa e assenza di una dimensione civica, prof Fanizza: “Dobbiamo mettere tutti gli attori sociali sullo stesso piano”

by Germana Zappatore

I numeri del ‘X Atlante dell’infanzia a rischio’ di Save the Children fotografano una situazione allarmante. In Italia quasi un minore su 2 non legge un libro diverso da quelli scolastici, mentre 7 su 10 non svolgono sufficienti attività culturali. La causa è spesso da ricercare nelle condizioni di indigenza della famiglia di appartenenza che (neanche a dirlo) sono maggiormente concentrate nel Mezzogiorno del Paese.

Si tratta di un qualcosa che va ben al di là del diritto allo studio: si chiama povertà educativa e riguarda più in generale la mancanza di opportunità che riguardano non soltanto l’apprendimento e la formazione, ma anche la coltivazione delle proprie aspirazioni e del proprio talento. Mancanze che inevitabilmente si tramandano di padre in figlio. Mancanze che sono diretta espressione non soltanto di un disagio economico, ma anche di mancanze strutturali (risorse culturali e educative).

Questo in linea di massima, ma da un punto di vista strettamente sociologico il problema è più articolato e non riguarda soltanto i minori che sono da sempre l’oggetto delle osservazioni in quanto più facilmente esaminabile. La povertà educativa è uno spettro che coinvolge l’intera società.

Noi di bonculture ne abbiamo parlato con la professoressa Fiammetta Fanizza, docente in Sociologia generale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia.

Professoressa, facciamo un po’ di chiarezza: cosa si intende per povertà educativa?

È una questione che riguarda parecchi ambiti. Quando trattiamo il tema della povertà educativa tendiamo a parlare di deficit del sistema educativo tradizionale. Si tratta, invece, di un concetto molto più ampio che è legato a della socializzazione. La povertà educativa è, in realtà, l’assenza di una dimensione civica che coinvolge diversi piani: dal senso civico all’etica pubblica fino alla responsabilità. Ed è questa assenza che crea poi delle forme di diseducazione.

Dunque la povertà educativa non riguarda soltanto i bambini, ma anche gli adulti?

Se non c’è un trasferimento del problema al piano degli adulti, la povertà educativa resta un problema tecnico. Cioè come se si potesse somministrare l’educazione al pari di un medicinale, ma non è così. Noi pensiamo sempre che l’educazione sia una attività che occupa una specifica fase della nostra vita, ma si tratta di un modo di ragionare sbagliato. La povertà educativa è, invece, il prodotto della diseducazione morale, di quella etica, ma anche di quella politica e di quella civica. Questo implica che se un adulto è diseducato o misero in questo senso, non potrà produrre l’output finale, ovvero il capitale sociale.

Oggi si tende a mettere in relazione la ‘diseducazione’ con la rete: ad un aumento di ‘disconnessi culturali’ corrisponde un aumento degli ‘iperconnessi’ alla rete. La Rete è davvero una delle cause della povertà educativa e culturale di oggi?

Connessione, non connessione… è un problema superato. Basta incolpare la rete di tutto. Assegnare alla rete una dimensione ontologica per cui è responsabile di tutto è falso e ridicolo. Questa è la classica maniera di trovare un capro espiatorio alla quale si ricorre quando si manifesta ai massimi livelli l’ottusità degli adulti indisponibili a fare critica e autocritica. Si tratta di una soluzione troppo sbrigativa che scaturisce anche dalla tanta cattiva letteratura che è stata prodotta a riguardo. La rete – è bene ricordarlo – riguarda tutti indistintamente, sia grandi che piccoli, tutti rimaniamo più o meno impigliati in questo meccanismo. Dare la colpa alla rete è un modo per non farsi delle domande e soprattutto per assolversi.

Qual è, quindi, la soluzione?

Noi adulti abbiamo rinunciato all’idea di educazione come processo che dura per tutta la vita e che ha approcci e strumenti che non sono gli stessi che abbiamo appreso quando eravamo piccoli o quando abbiamo imparato a fare qualcosa perché si adatta a quelli che sono i cambiamenti della società. E questa non consapevolezza si ripercuote anche sulle soluzioni che vengono proposte ogni volta e che, proprio per questo, risultano essere sempre poco efficaci. Se non si affronta il problema a livello sistemico, qualsiasi buona idea rischia di infrangersi contro muri quali possono essere l’assenza di finanziamenti o i cambiamenti di scenari politici e istituzionali. Dobbiamo mettere tutti gli attori sociali su uno stesso piano. Se cominciamo con le distinzioni continueranno disparità, discriminazioni e disuguaglianze.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.