«Accedere all’IVG in alcune province è difficilissimo.» Staffette per l’aborto, la denuncia degli Ospedali Riuniti e il diritto delle donne pugliesi

by Anna Maria Giannone

Qualche settimana fa Obiezione Respinta ha pubblicato la storia di una giovane donna e della negazione del diritto all’aborto subita agli Ospedali Riuniti di Foggia. Prima rifiutata, poi accolta con tanto di preparazione clinica propedeutica all’intervento e infine mandata a casa. La denuncia è stata ripresa da una serie di associazioni femministe pronte a dare battaglia. “Ribelleremo tutte le donne di Puglia”, così hanno tuonato le chat per giorni. La donna, grazie al prezioso aiuto delle Staffette per l’aborto, è stata indirizzata a una struttura di Bari dove il suo diritto all’interruzione di gravidanza è stato riconosciuto.

Quella che comincia come una delle tante ordinarie storie di come vengono trattate le donne che decidono di abortire diventa presto la storia di un diritto negato e che racconta di una prassi consolidata nelle corsie degli ospedali, fatta di atteggiamenti giudicanti, offese e insulti legati a uno stigma inestirpabile sull’aborto e che abbonda purtroppo anche tra i camici bianchi. A completare il quadro va aggiunta una comunicazione praticamente inesistente e  il numero bassissimo di medici non obiettori. In Italia i medici obiettori in alcune regioni superano l’80%, in Germania sono il 3% e in paesi come la Svezia e la Finlandia semplicemente queste figure non esistono.

Esiste in Puglia il diritto della donna all’interruzione di gravidanza?  Ne abbiamo parlato con le Staffette.

Partiamo dal caso di diritto negato a Foggia. E’ la prima volta che si rivolgono a voi per segnalazioni su questo ospedale?

Sì, è la prima volta che qualcunə ci contatta in merito a questo ospedale, ma ci è capitato di cercare un ospedale in provincia di Foggia per una donna della zona, che voleva interrompere la sua gravidanza con la RU486. In quella occasione abbiamo contattato alcune strutture, fra le quali l’ospedale di Manfredonia, scoprendo così che non offre il servizio di aborto farmacologico, ma solo quello chirurgico.

Eppure l’aborto farmacologico è una procedura prevista dal Ministero della Salute e per cui sono state aggiornate le linee guida lo scorso agosto, portando il suo utilizzo da 49 a 63 giorni di gestazione, come avveniva già in altri paesi. È la procedura meno dispendiosa per la struttura ospedaliera, e soprattutto in questo periodo, è quella che permetterebbe di risparmiare il coinvolgimento di anestesisti, così impegnati nelle terapie intensive.
Abbiamo contattato anche l’ospedale Riuniti di Foggia, chiedendo se praticassero l’aborto farmacologico. La persona con cui abbiamo parlato ci ha risposto che sì, praticano sia il farmacologico che il chirurgico, ma che al momento di prendere l’appuntamento in ospedale bisogna avere oltre alla impegnativa del medico, anche l’ecografia. In genere l’ecografia è fra gli esami compresi nella procedura di aborto e non è a carico della persona che deve abortire. Ci chiediamo a questo punto cosa succeda se una persona non abbia la possibilità di pagare l’ecografia o di prendere più giorni di permesso dal lavoro.

Voi come vi spiegate quello che è successo?

Quanto è accaduto, succede molto più spesso di quanto si pensi e in molte strutture in Italia. Lo stigma sull’aborto e l’obiezione di coscienza del personale ospedaliero rendono l’accesso all’aborto difficile e complesso per chi ne fa esperienza. Inoltre c’è l’idea misogina che una donna che abbia fatto sesso e resti incinta debba portare a termine la gravidanza, debba assumersi “la propria responsabilità” perché altrimenti non assolve all’ideale materno, alla sua funzione sociale. La questione dell’aborto si intreccia fortemente alla sessualità femminile e al quadro moralistico e cattolico – tradizionalista, entro cui viene posta. 

Inoltre, non si tiene in conto del fatto che molte persone non hanno basi di educazione sessuale, non sanno come avviene la fecondazione, non hanno accesso ai contraccettivi, e anche quando questo ci fosse, bisogna tenere presente il fatto che non esiste contraccezione sicura al 100%. Si ignora il fatto che chi abortisce possa essere statǝ vittima di violenza, potrebbe vivere con un partner violento e abusante, potrebbe essere vittima di coercizione riproduttiva e di stealthing (l’atto di sfilarsi il preservativo durante la penetrazione), potrebbe avere già dellз figliз e non si possa permettere emotivamente e fattualmente di averne altrз. E ancora, soprattutto, possa vivere la propria sessualità e non desiderare diventare genitore.

Come siete venute a conoscenza di questa storia?

Siamo state contattate da una parente della ragazza (la stessa che ha poi deciso di condividere l’esperienza tramite la pagina Facebook di Obiezione Respinta) che ci chiedeva in che modo si potesse accedere all’IVG superate le 12 settimane. In Italia si può decidere di abortire entro 90 giorni, superati i quali l’aborto è consentito solo in seguito a certificazione medica che accerti malformazione e anomalie del feto o un grave pericolo di vita per la donna.

Entrate direttamente in contatto con la ragazza siamo venute a conoscenza del fatto che, pur avendo tale certificazione rilasciata da uno psichiatra e dal suo ginecologo, le era stato di fatto negato l’aborto. In seguito al ricovero e ad una serie di analisi che le erano state fatte era stata poi mandata a casa senza alcuna spiegazione. La vicenda era talmente assurda che eravamo sicure di non aver capito bene la situazione.

Ci siamo subito messe in contatto con il Centro di Pianificazione familiare del San Paolo di Bari. La ginecologa, visti documenti di cui era in possesso la ragazza, ha richiesto che la certificazione psichiatrica provenisse da una struttura pubblica e che comprendesse la dicitura “ai sensi dell’art. 6 della L.194/78”. Superato questo ostacolo ha dato appuntamento alla ragazza prima per un tampone Covid e poi per il ricovero. Nel giro di qualche giorno dal primo contatto con la ginecologa dell’ospedale, la ragazza è riuscita ad abortire ed è tornata a casa, rasserenata e alleggerita dal senso di impotenza che aveva provato fino a quel momento.

Durante tutto il percorso che abbiamo fatto insieme, la ragazza ci ha più volte ringraziate. Siamo molto contente di poter aiutare una donna a far valere le sue scelte ed i suoi diritti; ma insieme alla gioia c’è anche tantissima rabbia e frustrazione perché accedere all’IVG, specie in alcune province, è difficilissimo. Le comunicazioni istituzionali sono scarse, di difficile reperibilità e comprensione.

Se una donna o una persona incinta (non tutte le persone con un utero si riconoscono come donne) cerca informazioni su internet deve scorrere molte pagine di pro-vita (che noi preferiamo chiamare anti-scelta) che la colpevolizzano, che le mostrano immagini cruente di feti abortiti e di donne con espressione angosciata, prima di trovare ciò che cerca. Spesso le donne e persone incinte, per motivi di privacy, non vogliono rivolgersi ai propri medici di base e consultori, e gli ospedali cercano di indirizzare le donne verso ginecologi privati, che non possono effettuare IVG e che svolgono analisi che sarebbero totalmente gratuite in strutture pubbliche.

Quanto è importante condividere le proprie esperienze?

Dopo la pubblicazione del post un’altra persona che ha avuto un’esperienza terribile di aborto terapeutico all’ospedale Riuniti di Foggia, ci ha scritto per condividere la sua esperienza attraverso la nostra pagina. La condivisione di esperienze è davvero preziosa e importante, come rivelano anche i progetti “Obiezione Respinta” e “IVG, ho abortito e sto benissimo”. Leggendo quello che scrivono lз altrз, possiamo prendere consapevolezza di quello che può accadere e prepararci affinché questo non avvenga, di nuovo. E possiamo attivarci affinché le cose cambino.

La ragazza ha denunciato non solo un diritto negato e un trattamento superficiale ma anche una sequenza di controlli propedeutici all’interruzione di gravidanza. In ospedale non si arriva già con un certificato di un consultorio che attesta che tutti i passaggi previsti dalla 194 siano stati esplicati? visite psicologiche, alternative, aiuti etc.? Perché invece da questo racconto sembra quasi che bisogna ricominciare tutto daccapo?

È auspicabile prendere un appuntamento presso il consultorio, ma non è strettamente necessario per legge. In ospedale è importante arrivare con una impegnativa del medico di base o del ginecologo.

Superate le 12 settimane di gestazione è necessario avere anche un referto psichiatrico che attesti la condizione di particolare fragilità della persona gestante. (Un tentativo del legislatore di patologizzare la scelta di abortire?) È importante ribadire che anche lǝ psichiatra potrebbe fare obiezione e non rilasciare il certificato, complicando e allungando i tempi.

Qual è la situazione in Puglia per una donna che vuole abortire? I diritti delle donne sono riconosciuti? O su questo diritto influisce il numero basso di medici non obiettori?

Secondo gli ultimi dati disponibili pubblicati dal Ministero della Salute (https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?id=2924), nel 2018 in Puglia l’82,3% dei ginecologi era obiettore, un valore superiore sia alla media italiana che del Mezzogiorno (69,0% e 80,1%, rispettivamente). E’ anche obiettore il 59,8% degli anestesisti e il 68,3% del personale non medico (46,3% e 42,2% le medie italiane).

Non stupisce quindi che spesso risulti difficile accedere all’ivg e che molte donne e persone incinte si trovino costrette a rivolgersi a strutture fuori regione per esercitare il proprio diritto di scelta.

C’è anche molta eterogeneità all’interno del territorio pugliese, per cui la “mobilità per abortire” si verifica anche intra-regione. A Bari vige una situazione piuttosto virtuosa rispetto alle altre province pugliesi, grazie alla presenza di due centri di pianificazione familiare che lavorano a fianco dei consultori laici, assicurando l’IVG, sia farmacologica che chirurgica. Inoltre questi centri, in cui lavora solo personale non obiettore, forniscono le informazioni e le cure necessarie anche nella fase successiva all’aborto, mentre i consultori della ASL Bari forniscono a chi ha effettuato l’IVG la contraccezione gratuita per tutto il resto della vita fertile. Ma esistono anche realtà come quella foggiana.

C’è una mappatura delle strutture?

Tra le nostre priorità c’è proprio la mappatura capillare sul territorio delle strutture che garantiscono l’accesso all’IVG: a questo proposito l’8 marzo scorso è partita una campagna a livello nazionale, tuttora in corso,  che ha come obiettivo la mappatura dell’obiezione tramite l’accesso agli atti di ciascuna struttura ospedaliera.

In Puglia quasi tutte le strutture che abbiamo contattato ci hanno negato l’accesso agli atti, adducendo motivazioni come la tutela della privacy, anche se la nostra richiesta non si riferisce a nomi e cognomi, ma al numero degli obiettori presenti nelle strutture.


Solo l’ASL di Bari invece ci ha risposto regolarmente, dimostrando come la legge sulla trasparenza dovrebbe poterci far accedere a questo tipo di informazioni.

Inoltre, come emerge chiaramente dall’esperienza di questa donna foggiana, alla corsa contro il tempo per usufruire di un diritto garantito dalla legge si aggiungono i maltrattamenti derivanti da atteggiamenti giudicanti che chi intende abortire spesso subisce quando si interfaccia con personale medico obiettore. Atteggiamenti che alimentano la stigmatizzazione dell’aborto, contribuendo a renderlo qualcosa di cui vergognarsi, per cui sentirsi in colpa e di cui non parlare.

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