Coppie e Covid: «La pandemia ha destabilizzato l’equilibrio tra distanza e vicinanza», intervista alla psicoterapeuta Maria Chiara Marconi

by Marianna Dell'Aquila

“Io mi nascosi in te poi ti ho nascosto/ Da tutto e tutti per non farmi più trovare/ E adesso che torniamo ognuno al proprio posto/ Liberi finalmente e non saper che fare/ Non ti lasciai un motivo né una colpa/ Ti ho fatto male per non farlo alla tua vita/ Tu eri in piedi contro il cielo e io così/ Dolente mi levai, imputato alzatevi” cantava Claudio Baglioni in Mille giorni di te e di me nel 1990.

Non so perché mi è venuta in mente questa canzone quando, settimane fa, ho incominciato a leggere alcuni articoli riguardanti i postumi della pandemia (come se poi fosse già finita), in particolare sulle coppie. Certo è che, quando Baglioni cantava questa canzone, nelle case ancora non c’era internet, molte coppie ancora in vita avevano superato indenni (forse perché all’epoca in Italia il divorzio ancora non c’era?) ben due Guerre Mondiali e due pandemie, quella Spagnola e quella Asiatica. Dai versi di Mille Giorni di te e di me però sono passati più di 30 anni e le cose sicuramente sono cambiate nel tempo, figuriamoci con il Covid-19. Sarà stato infatti il richiamo canoro all’immagine di due persone che si dicono addio a farmi vivere un collegamento mentale con quello che stavo leggendo in quei giorni: più richieste di separazioni rispetto al 2019, più tradimenti anche virtuali, più coppie in crisi e più lavoro per gli psicoterapeuti.

Certo è che le limitazioni di spostamento, lo smartworking e qualche figlio in Dad sono tutti fattori che non hanno sicuramente aiutato molte coppie a sopravvivere a cotanta vicinanza (o lontananza) non prevista e calcolata. Tuttavia, io avrei quasi scommesso il contrario, cioè che una condizione di crisi generale potesse rafforzare la condizione privata di tante persone. Perché questo accade? Cos’è che va in corto circuito in una coppia e che non riusciamo a gestire?

L’abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Chiara Marconi, psicologa e psicoterapeuta di Roma, specializzata in psicoterapia di coppia e familiare.

La pandemia ha cambiato davvero qualcosa nelle coppie oppure ha fatto emergere qualcosa che già c’era?

 Io vedo la pandemia come una specie di catalizzatore, cioè ha amplificato e ha fatto emergere tutta una serie di cose il cui seme era già presente. Questo tendenzialmente in modo trasversale non solo sulle coppie, ma in generale nelle persone. Per quanto riguarda le coppie, alcune nuove nate da poco le ha costrette a decidere se stare a distanza o se velocizzare l’avvicinamento. Altre, invece, abituate ad avere una quotidianità molto più distante (ad esempio per motivi di lavoro) si sono trovate estremamente vicine. Quindi la pandemia ha destabilizzato l’equilibrio tra distanza e vicinanza.

Di fatto, cosa è cambiato per le coppie nel modo di affrontare i problemi durante la pandemia?

 Io credo che abbia prevalso la crisi e in quanto tale l’esito è stato estremamente soggettivo. In alcuni casi c’è stato rafforzamento del rapporto in altri invece si è arrivati alla separazione. In base alla mia esperienza, relativa quindi alle persone che vengono in terapia, devo dire che non ho notato un aumento di separazioni rispetto a prima della pandemia. Semmai, c’è stato un chiaro aumento di coloro che hanno riconosciuto la presenza di una crisi all’interno di una coppia e che hanno deciso di affrontarla. Anche per questo motivo, la crisi in tantissimi casi ha rappresentato per le coppie uno strumento da cui ripartire.

C’è stato un aumento del numero di coppie che sono venute in terapia?

Sì, ma bisogna anche dire che con questa pandemia siamo stati sensibilizzati maggiormente a chiedere aiuto, anche psicologico, quindi mi sembra che si sia aperta maggiormente la strada in questo senso, come se la coppia sia stata un po’ più autorizzata ad andare in crisi in questo periodo: sono caduti tanti tabù, si dice più chiaramente “la coppia va in crisi” e quindi ognuno si sente più libero di ammetterlo e di riconoscerlo, soprattutto in quelle coppie che stavano in crisi già prima, ma non avevano  l’esigenza o gli strumenti per affrontarla.

Per molte coppie la pandemia ha rappresentato una sorta di dilatazione, cioè di sovraccarico del tempo e dello spazio vissuti insieme. In questo senso, si potrebbe parlare anche di dilatazione delle emozioni?

Io credo che questo abbia portato principalmente a due processi. Il primo ha fatto saltare i meccanismi di difesa e di adattamento (in senso più ampio): ogni coppia ha il suo modo di affrontare le emozioni, le situazioni, la sessualità ecc ecc., ma quando qualcosa dall’esterno cambia le carte in tavola, tu sei costretto a rivedere tutto questo. La pandemia, in quanto fattore esterno, ha fatto saltare questi equilibri e ha portato inevitabilmente ognuno di noi ad avere a che fare di più con se stesso e con il partner, per di più in un contesto di stress in cui già normalmente saltano le normali strategie di adattamento. Questo ha creato una miscela esplosiva che in alcuni casi ha portato ad una maggiore disponibilità anche di emozioni nelle quali andare a pescare, mentre in altri casi ha portato ad una totale disorganizzazione perché è come una bomba che scoppia. In altri casi ancora, invece, ha provocato una distorsione, perché la pandemia ci ha portati ad avere un incontro maggiore con l’altro, un incontro a cui però non siamo abituati, perché siamo in una società che ci ha abituati a correre.

Che tipo di coppie oggi scelgono di affrontare un percorso di psicoterapia?

Non credo ci sia un tipo di coppia in particolare, credo che siano coppie in qualche modo in una fase di cambiamento, che il più delle volte si presenta nella forma di una crisi. Spesso infatti chi si rivolge ad uno psicoterapeuta mira a voler cambiare a qualche livello il partner,  ma il lavoro va fatto partendo dai singoli in modo tale che possano ritrovarsi  e riappropriarsi del proprio pezzo e rincontrarsi nella coppia. Oggi vengono sempre più coppie non conviventi o di età più bassa e questo secondo me manifesta una maggiore consapevolezza dell’utilità della terapia.

Qual è il problema più frequente che riscontra nelle coppie che si rivolgono a lei?

Uno dei problemi più frequenti è la relazione con le emozioni che non siamo abituati a contenere e ad elaborare, con il quale non abbiamo dimestichezza e per questo abbiamo un’estrema difficoltà a gestirlo nella relazione. Quindi il problema più frequente è: sento una cosa grande dentro di me che non so dove mettere e vado a ritirarmi o ad agirla sull’altro, cerco di risolverla o colpevolizzo l’altro. Le persone che vivono una condizione di coppia e sentono di avere una crisi dovrebbero parlarne tra di loro, assumersi la responsabilità del proprio bisogno, ammettere di stare male e chiedere all’altro di affrontarlo insieme. Io credo che la pandemia, nella drammaticità della situazione, sia una grande opportunità perché comunque ci fa ritornare ad aspetti estremamente umani e ci richiede inevitabilmente di averci a che fare, di riconoscerli e di affrontarli.

Può subentrare la paura del rifiuto da parte del partner nell’intraprendere questa strada?

Sicuramente. In questo caso aiuterebbe tanto anche una grande sensibilizzazione a livello sociale e culturale. Capire a cosa serve veramente la terapia di coppia e pensare che è un’opportunità per entrambi. Nel riappropriarsi ognuno dei propri pezzi, si può sentire che non ha più senso stare insieme senza però giungere ad uno strappo netto, perché hai la possibilità di lavorare e relazionarti a tutto quello che hai messo in gioco nella relazione e questo non può che essere un arricchimento per il singolo e per entrambi. Nelle coppie sarebbe importante domandarsi sempre cosa si vuole e fare in modo di lavorare sui processi che ci portano a quello che desideriamo per noi e per l’altro e capire che le cose possono cambiare. Dobbiamo però evitare che la coppia diventi il calderone in cui buttare tutto dentro. Dobbiamo prima essere consapevoli di noi stessi come individui, altrimenti rischiamo di gettare tutto sull’altro.

I social network sono stati spesso “accusati” di essere causa e strumento di rottura per le coppie. Addirittura si è parlato di aumento di separazioni a causa di tradimenti virtuali avvenuti tra persone che si sono conosciute grazie alle app d’incontri durante la quarantena. Perché questo accade? Qual è il meccanismo che si innesca?

Tutto questo rientra nella difficoltà di instaurare relazioni e di stare nella relazione, è difficile incontrarsi davvero. Internet risponde all’illusione che puoi sempre andare oltre, ma in realtà se non incontri te stesso non potrai mai incontrare nessun altro e starai sempre in fuga.

Come se internet fosse un mezzo per “evadere”, anche se solo virtualmente?

Dal mio punto di vista è come se avessi qualcosa di interiore che non sai focalizzare, come se ti impicciasse e quindi cercassi di collocarla fuori, all’esterno di te stesso e della coppia. A volte tenersela dentro significa doverla affrontare e magari scoperchiare cose scomode, invece collocarla fuori da noi stessi ci consente di mantenere una specie di equilibrio. Dall’altro lato però è anche vero che la vicinanza imposta dalla pandemia ha spinto molte coppie a prendersi un po’ più cura delle proprie crisi invece di scegliere la fuga verso l’esterno.

Finita la nostra conversazione ringrazio la Dottoressa Marconi e sento che il bagaglio di curiosità che mi stavo portando dietro si è un po’ più alleggerito. Ho chiesto ad Alexa di rimettere Mille giorni di te e di me, l’ho riascoltata bene cantando a squarciagola il ritornello in cui Claudio Baglioni arriva al massimo della sua estensione vocale (Claudio perdonami!) e, alla fine, un po’ cinicamente mi sono domandata: come cantava Baglioni, chi verrà dopo di colui o colei che se n’è andato? Chi prenderà il suo armadio?

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