Covid e anziani, il geriatra Zanasi: “L’età è una causa di aggravamento, ma non è una patologia in sé”

by Antonella Soccio

“Muoiono praticamente quasi solo ed esclusivamente i vecchi. L’età media dei deceduti da marzo supera gli 80 anni e ha almeno 3 patologie. Per morire di covid devi avere più di 80 anni e almeno 3 patologie”.

Parole dure, di certo vere, supportate da dati epidemiologici dell’Istituto Superiore di Sanità, ma estremamente prive di pietas quelle che il professor Roberto Bernabei della Geriatria del Policlinico Gemelli di Roma ha pronunciato in diretta a La7 a Piazzapulita nello studio di Corrado Formigli.

Parole che mostrano quasi una mancanza di tatto verso quei “vecchi”, che sono padri, madri, nonne, nonni, parenti, oltre che uno dei maggiori ammortizzatori sociali del Paese.

“Dire che muoiono solo gli anziani è come dire che l’acqua è inodore, insapore e incolore, quella di Bernabei non è una grande scoperta”, rimarca a bonculture il dottor Massimo Zanasi, responsabile del Lastaria di Lucera e geriatra di lunghissimo corso.

Dottore che dati ha per la Puglia? Muoiono di Covid solo gli anziani?

“Non ho i dati epidemiologici, vero è che faccio il geriatra da 40 anni e c’è sempre questa dicotomia tra il medico che è geriatra puro e gli altri medici, sono anche un internista e medico legale, ma negli altri reparti l’approccio è diverso tra chi è sul campo e chi studia l’epidemiologia, c’è una netta separazione concettuale. Sicuramente i dati numerici che vengono raccolti devono tener insieme una complessità di problematiche. Io al Lastaria sono stato interessato da alcuni contagi, ma la lungodegenza è pulita, nella mia geriatria per acuti non ho avuto un solo caso. Dire che l’anziano è fragile è la scoperta dell’acqua calda. Ma ho avuto centenari che hanno avuto riprese brillanti e soggetti di 75 anni che avevano più sintomatologie e la cui malattia ha avuto un esito infausto, è essenziale la qualità di vita del soggetto, fare una standardizzazione degli anziani tout court non è utile. In questo giorni è morto un ottantenne, Gigi Proietti, deceduto di scompenso cardiaco. Riuscire a stabilire se la morte è col Covid o è di Covid non è facile, ci sono polemiche acerrime, sotto certi aspetti per alcune categorie che hanno un destino chiave conclamato il Covid diventa una concausa. Insomma non è l’età il problema ma il soggetto”.

Si parla anche molto della correlazione tra demenza senile e Covid. Il virus crea scompensi cognitivi. Esemplare fu il caso di Silvio Berlusconi che dopo le dimissioni per la prima volta ebbe bisogno di leggere il suo discorso.

Non c’è una correlazione, il soggetto con deficit cognitivo, che è un sinonimo per parlare di demenza senile, dal punto di vista immunitario, per il suo stile di vita, ha un sistema immunitario molto meno reattivo rispetto ad una persona più giovane senza problemi. Vale per il Covid, ma anche per una normale polmonite, per l’influenza. Ovviamente il ruolo del Covid nel determinare il decesso è importante. Ma mi chiedo se se sia utile fare una distinzione così netta tra anziani e soggetti giovani, tra i miei anziani c’è chi l’ha superato. Ad esempio una signora che da una rsa di Foggia ha preso il Covid è stata transitata al Don Uva e ora è guarita. L’età è una causa di aggravamento, ma non è una patologia in sé, incide in ogni malattia. Se un anziano ha la polmonite, il suo polmone che già ventila meno ventilerà male, l’immobilità creerà una lesione da compressione e si avrà un effetto domino, basta un piccolo peggioramento di un organo per ripercuotersi sul resto. Ho sentito parole davvero incredibili, come quelle di Toti, secondo cui gli anziani improduttivi danno il maggior contributo alla morte da Covid, danneggiando l’economia.

Come fare a preservare gli anziani?

Dobbiamo giocarci tutto di più sulla prevenzione, ad ogni paziente si devono cambiare i guanti, dobbiamo cercare di anticipare le problematiche facendo più tamponi, anche i rapidi.

Ultimamente molte direzioni di rsa hanno anche consigliato ai parenti di portare a casa gli ospiti. Lei crede che le rsa, con l’isolamento e la reclusione, manifestino oggi tutta la loro debolezza rispetto alla pandemia?

30 anni fa si moriva a 70 anni, le pandemie ahimè fanno stragi, questa è una pandemia impegnativa, è chiaro che senza il discorso dell’istituto famiglia nascono sistemi assistenziali alternativi, sono doverosi perché creano delle premesse assistenziali insostituibili. Altre volte sono sistemi camuffati per la mancanza del welfare. Portare un 90enne in un sistema assistenziale, è un gioco sociale, una bugia sociale. Se tua madre ha 80 anni e cade e si rompe il femore, e vuole recuperare la sua vita sociale per tornare alla normalità è giusto che si affidi ad un sistema assistenziale, ma se tua madre ha 90 anni e la porti in istituto per riabilitarla, lei avrà una energia così scarsa che le farà battere solo il cuore e la farà deglutire. È chiaro che nelle collettività come le rsa prolifera il virus, sta accadendo negli ospedali e nel faro mondiale della sanità che è la Lombardia, il Trivulzio ha nuovi contagi. Con questo non voglio dire che il contagio sia ineluttabile, ma nei sistemi complessi va messo in conto. Una complessità assistenziale facilita la diffusione, del resto la ratio del lockdown non è un interesse di bottega, ma è una logica per ridurre i rischi. Il personale di assistenza, gli oss girano, non hanno un solo ospite dedicato. Io ad esempio ho fatto un ordine di servizio interno obbligando tutti gli oss ad indossare guanti puliti per ogni paziente, mascherine con visiere, più copri scarpe e camici mono uso per ogni cosa che si tocca. Questa strategia ci potrebbe portare alla rovina economica, ma è razionale, ho avuto la fortuna di non avere nessun infermiere, nessun oss, nessun medico contagiato. Ho avuto una infermiera con febbre per 4 giorni, quando è tornata le ho fatto il tampone, cerco di intercettare prima la criticità. Ognuno di noi deve comportarsi come se fosse contagiato. Solo così le direttive funzionano. Noi checché se ne dica qui a Lucera siamo tra i sistemi più puliti in assoluto della mia carriera. Mi sono chiuso all’esterno, i parenti quando hanno bisogno ci chiamano, quando qualcuno deve essere dimesso lo portiamo giù nell’atrio.

Abbiamo sistemi di protezione, ma purtroppo i pazienti muoiono ancora per cirrosi epatica, per scompenso, muoiono anche di altro, di tumori. Non solo di Covid.

Cosa vede in giro? Come si comportano i cittadini?

Continuo a vedere i ragazzi uno di fianco all’altro, anche le signore attempate col cocktail, con la mascherina che protegge il collo e non la faccia. C’è una rassegnazione, a marzo c’era il terrore, adesso ci siamo resi conto che il contagio è pressoché ineluttabile. Io dico ai miei operatori sanitari di fare un training autogeno quotidiano, “anche oggi ci è andata bene speriamo anche domani”. La gente, i parenti vogliono entrare, c’è chi vuole portare il cibo, è una cultura difficile da far digerire. È come se le persone dicano “da un lato a me non mi piglia”, ma allo stesso tempo “se mi deve colpire, mi colpirà”. È però quando c’è questo fatalismo che le pandemie vengono meno, un po’ come è accaduto con l’hiv. La nostra provincia sta pagando molto l’en plein a Peschici: questa estate onestamente un po’ il caldo, un po’ i contagi quasi azzerati, la mascherina chi la indossava più? La nostra è stata una regione molto attrattiva, per le bellezze e per il turismo: questa commistione l’abbiamo pagata, il virus si è moltiplicato, qualche collega ha avuto una reinfezione, legata alla mutazione che ha fatto il virus come con l’influenza. In più la vaccinazione oggi ti dopa i test sierologici che già non avevano una grande affidabilità. Nelle nostre strutture c’è una frenesia operativa pazzesca, percepisco che c’è un dramma nel dramma. Direi a tutti i negazionisti se possibile di farsi un giro nei Pronto Soccorso d’Italia, c’è terrore e dramma, ma nonostante tutto noi siamo un ospedale che ancora dà risposte ai cittadini. Un ospedale di sanità pubblica.

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