“È un legame arcaico quello tra angoscia e cibo. Il Covid lo ha sdoganato”. L’analisi dello psichiatra Leonardo Mendolicchio

by Antonella Soccio

Accettare la tristezza, lo stress, la confusione, il terrore. In una parola accogliere e far propria, valicandola, quella che Martin Heidegger chiamava l’insecuritas, una componente non accidentale, avventizia, ma strutturale e permanente della nostra esistenza.

È quello che sta avvenendo ormai da 9 mesi col Covid. Il vuoto cui ci ha costretto il virus è riempito dall’immaginario e dalle paure.

Tra i consigli stilati contro l’angoscia da parte dell’OMS c’è anche come approcciarci al rapporto col cibo. Se devi rimanere a casa, mantieni uno stile di vita sano -dieta corretta, sonno, esercizio fisico -e i contatti sociali con i tuoi cari e i tuoi amici via e-mail e telefono”, si legge nel decalogo al numero 2.

A tal proposito noi di bonculture abbiamo interpellato lo psichiatra terapeuta e psicoanalista Leonardo Mendolicchio, per anni direttore di Villa Miralago, consulente per i DCA dell’Istituto Auxologico Italiano Ospedale San Giuseppe Piancavallo, esperto in disturbi dell’alimentazione.

Dottore, siamo di nuovo in un mini lockdown o clausura che dir si voglia. Il cibo in questi mesi, per la presenza dei social e l’isolamento, è apparso una fortissima valvola di sfogo. Un elemento fortemente consolatorio. Allo stesso tempo però persone con disturbi dell’alimentazione, anche ormai più o meno superati, sembrano provare ribrezzo per questa attenzione spasmodica per il nutrimento. Che gliene ne pare? Questa pandemia cambierà anche i rapporti col cibo?

Freud e la psiconalisi ci insegnano la relazione tra l’angoscia, che è la madre di tutte le emozioni e i sentimenti, e il cibo, tanto è vero che la parola angoscia nasce da un suono onomatopeico tedesco angst, che è lo stesso suono che fa il bambino, per le sue paure, quando è lattante e non riesce a riconoscere bene gli stimoli. Con questo suono chiama la mamma e la mamma placa l’angoscia del bambino con il seno. È un legame arcaico quello che lega l’angoscia e il cibo, che ormai si è sdoganato alla grande con la pandemia. È un tema antico, che noi analisti conosciamo e che in qualche modo non ci stupisce. Questa pandemia cambierà tante cose, i rapporti col cibo sono già molto cambiati, ci sono tante cose che non sono più come una volta. Forse cambierà in peggio, perché il cibo sempre di più diventerà oggetto dove proiettare le angosce profonde, forse cambierà in meglio perché ci ha costretto a cambiare i consumi, aumentando il delivery o i prodotti fatti in casa, forse ci aiuterà a recuperare la dimensione domestica del cibo.

Chi soffre di disturbi conclamati, per la sua esperienza, come ha vissuto questi mesi?

I disturbi dell’alimentazione cronicizzati si sono trovati bene col lockdown, si sono adattati, anzi hanno trovato una loro nicchia protettiva che era diventata la casa, senza più sentire troppe pressioni sociali su di loro. Hanno vissuto il lockdown senza troppi traumi, mentre hanno vissuto molto male l’impossibilità a muoversi perché molti disturbi alimentari sono affetti anche da iperattività fisica e le limitazioni hanno creato malessere. Chi aveva un disturbo sotto soglia o latente è stato molto molto male, noi stiamo intercettando ora l’onda di ritorno del primo lockdown.

Che ne pensa della chiusura dei teatri e dei cinema? Il nutrimento dell’anima e della psiche è superfluo? Che messaggio arriva a chi invece fa del controllo razionale la sua ragione di vita?

Meno nutriamo l’anima più dobbiamo soddisfare certe nostre pulsioni con altri oggetti e l’oggetto cibo è quello più a portata di mano. Le nuove chiusure possono essere un nuovo giro di vite: la privazione di alcuni piaceri e della socializzazione nell’andare al cinema e al teatro può essere supplita attraverso un aumento della fame e del mangiare.

Che evidenze vede nel rapporto ravvicinato e coatto degli adolescenti con i genitori col ritorno della didattica a distanza e con l’impossibilità di uscire?

C’è stato un obbligo a far incontrare e a volte scontrare nell’ambito domestico generazioni, genitori e figli, che spesso si ignoravano amabilmente. Che lo scontro sia stato ed è importante e anche cruento è sotto gli occhi di tutti, chi ha la possibilità di avere case grandi dove poter diluire le tensioni ha vissuto e vivrà meglio. Anche questo è un segnale interessante: le generazioni hanno sempre vissuto un conflitto, che spesso produce delle dialettiche laceranti e intense. Il conflitto intergenerazionale di questa nostra società produce ignoranza, ossia ci si ignora amabilmente. Forse il lockdown ci ha aiutato e ci aiuterà a superare questa ignoranza, oppure in alcuni casi l’ha accentuata e l’accentuerà ancora di più nel senso che ognuno ha vissuto e vivrà nella sua stanza.

Molti suoi colleghi hanno teorizzato il fatto che molti psicotici e nevrotici si siano quasi stabilizzati per la presenza di una condizione come la propria che oggi investe tutti: per i disturbi dell’alimentazione la clausura ha rafforzato alcune dinamiche automatiche e coazioni a ripetere o la pandemia rappresenta una novità tale da poter creare una crepa nella loro organizzazione mentale e pratica?

Bisogna fare una distinzione. Le persone affette da psicosi hanno potuto vivere un periodo in cui l’altro, l’alterità, gli altri- che sono sempre vissuti come paranoicizzanti, come persone che ci giudicano, che impongono le regole, il mercato, il lavoro, certe situazioni- sono spariti. L’altro è sparito e il soggetto psicotico ne ha goduto. Si è sentito alleggerito dal peso sociale che era intorno a lui. Il nevrotico invece si è perso, si è scompensato totalmente perché invece il nevrotico vive della possibilità di potersi articolare con la legge immaginando di poterla aggirare in qualche modo. Per cui c’è stata una grande Legge che ha bloccato tutto, una legge che non poteva assolutamente essere aggirata e superata né trasgredita, se non con rischi e pericoli molto gravi sulla propria pelle.

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