“Gestire e prevenire l’infezione da Covid in un centro dialisi è una difficoltà enorme”. Il prof Stallone con la popolazione fragile dei trapiantati di rene e emodializzati

by Daniela Tonti

Il terrore più grande dei pazienti trapiantati anche a distanza di molti anni dal trapianto è quello di perdere il rene e tornare in dialisi. A questo sottofondo esistenziale costante di paura che varia ovviamente da persona a persona, si è aggiunto in quest’ultimo anno il covid-19 che ha stravolto totalmente le strutture sanitare, ponendole difronte ad un grande problema gestionale. I reni sono il secondo organo a livello di importanza (dopo i polmoni) a essere colpiti, tanto che la presenza di insufficienza renale aumenta in maniera notevole il tasso di mortalità nei pazienti affetti da infezione da virus COVID-19tra le prime cause di morte si annovera l’insufficienza renale.

Il covid, come abbiamo appreso in questi mesi, è una malattia multiorgano dall’evoluzione imprevedibile che può precipitare da un momento all’altro e in persone particolarmente fragili come i pazienti nefropatici è ancora più insidiosa perché può presentare sintomi blandi che possono degenerare in pochissimo tempo.

Il professor Giovanni Stallone è Professore ordinario di Nefrologia presso l’Università di Foggia ed è direttore della SC di Nefrologia, Dialisi e Trapianto del “Policlinico Riuniti “di Foggia ed ha una lunga e comprovata esperienza in campo trapiantologico.

Noi di bonculture l’abbiamo intervistato per parlare di covid, della gestione medica, dei pazienti dializzati e trapiantati e delle prospettive future.

Professore partiamo dalla malattia. Cosa succede ai reni? Ci sono danni irreversibili a lungo termine? Come dicevamo i reni sono il secondo organo a livello di importanza a essere colpiti.

È giusto da un punto di vista epidemiologico e statistico. Noi sappiamo che il virus di per sé ha un recettore, una proteina S che si lega al recettore ACE 2. Questo recettore è presente anche a livello renale.

Il rene pertanto può essere coinvolto in maniera diretta ma anche e soprattutto in maniera indiretta. Infatti l’infezione può anche scatenare un quadro sindromico definito “sepsi” che è uno dei fattori principali di danno renale acuto. L’instaurarsi del danno renale acuto rende la prognosi, in termini di sopravvivenza dei pazienti molto infausta.

In questi casi, quanto è importante il tempismo?

Bisogna cercare di riconoscere precocemente i segni e sintomi che possano determinare un’insufficienza renale acuta. Monitorare la diuresi, gli elettroliti plasmatici.

Per quanto riguarda invece i pazienti emodializzati e trapiantati di rene, il discorso è differente ma altrettanto importante. Questi pazienti, infatti, rientrano a pieno titolo nella definizione di “popolazione fragile” in quanto immunodepressi. Anche questi pazienti di per sé possono avere sintomi molto più sfumati ma possono precipitare all’improvviso con un quadro clinico che si aggrava rapidamente anche nell’arco di 6 – 8 ore.

E come mai i sintomi sono blandi?

Questi pazienti presentano una riduzione dell’attività dei linfociti T e quindi la tempesta citochinica non si manifesta in tutta la sua portata, ma al contempo, avendo una ridotta efficacia dei linfociti T non riescono combattere in maniera efficace il virus. Quando questo equilibrio si altera, il quadro clinico può peggiorare all’improvviso e svilupparsi una sepsi generalizzata che può portare anche a morte. Questa è la difficoltà di trattare questo tipo di pazienti. Per questo ci si è attivati sia nella prima ondata che nella seconda per avere un reparto dedicato gestito da professionisti che conoscono e sono in grado di gestire queste problematiche.

Voi quanti posti avete tra i due percorsi pulito/sporco?

14 posti nello sporco e 10 nel pulito e in più abbiamo un Centro dialisi a Foggia ed un Centro dialisi a Lucera dove dializzano in tutto circa 180 pazienti.

Sono sufficienti? Quali sono le difficoltà di gestione?

Per il momento sono sufficienti per gestire emodializzati e trapiantati COVID positivi. Il problema esiste in quanto la numerosità dei pazienti in emodialisi e trapiantati di rene nella loro cronicità è notevolissima.  

La difficoltà di gestire e prevenire l’infezione da Covid all’interno di un centro dialisi è enorme. Da un punto di vista soprattutto logistico. La persona che fa una emodialisi la fa nella gran parte dei casi in saloni in cui ci sono circa 8-10 postazioni. È chiaro che se hai un positivo in dialisi hai il rischio che in una sola seduta si possano infettare 10 pazienti contemporaneamente per cui c’è un grande lavoro per prevenire questo tipo di situazione.

Cioè?

Triage all’ingresso, triage telefonico prima che il paziente arrivi in dialisi, quando arriva poi facciamo il controllo temperatura, visita.

Quindi avete postazioni per dialisi covid.

All’interno del reparto nefrologico Covid positivo, abbiamo 4 postazioni dialitiche dedicate ai pazienti COVID positivi. Per questi pazienti usiamo anche tecniche dialitiche specifiche che ci aiutano nel controllo dell’infezione.

Lei diceva che anche le dialisi nei covid sono differenti.

Certamente sì. Infatti come dicevo, usiamo delle tecniche dialitiche particolari che oltre ad assicurare una ottima depurazione dalle tossine uremiche, garantiscono anche la rimozione di citochine pro-infiammatorie come IL-6 di cui tanto si parla.

Questi filtri per togliere le citochine sono quindi calibrati ad hoc sui pazienti covid?

Ci adattiamo in base alla condizione del paziente e facciamo una medicina il più possibile personalizzata e di precisione.

Le persone sentono “dialisi” e si spaventano. Certo, non è una passeggiata la dialisi ma la situazione è migliorata tantissimo negli ultimi anni ed il trattamento può essere personalizzato.

E sui pazienti trapiantati?

Per loro l’attenzione è decuplicata perché fanno farmaci immunosoppressori in quanto bisogna evitare assolutamente il rigetto dell’organo trapiantato. Anche senza il covid un’infezione in un paziente trapiantato è un problema molto serio in quanto può mettere a rischio la vita del paziente stesso. Pertanto bisogna modulare la terapia immunosoppressiva ed adattarla alle diverse esigenze.

Questa modulazione è un lavoro complesso che richiede competenze specifiche elevatissime, giusto?

Diciamo che per modulare la terapia immunosoppressiva bisogna avere un’estrema conoscenza dei farmaci immunosoppressori: si modula, si riduce, si calibra e così via in modo da gestire e cercare di trovare quell’equilibrio tra immunosoppressione e il mantenimento di un minimo di attivazione del sistema immune nei confronti delle infezioni.

I pazienti trapiantati sono esposti anche a fragilità psicologiche e voi vi siete organizzati anche con la telemedicina. Ci racconta qualcosa?

L’aspetto psicologico è molto importante. Noi non abbiamo mai chiuso l’ambulatorio per i trapiantati né tantomeno la dialisi sia Foggia che a Lucera. Non l’abbiamo mai chiuso sia perché sono pazienti che devono essere seguiti –  ed anche per non farli sentire soli. Ci siamo organizzati in maniera un po’ diversa, con la telemedicina tramite una piattaforma o con visite telefoniche. Ogni dieci giorni facciamo un recall per sapere come stanno i pazienti. Al momento seguiamo a casa diversi pazienti trapiantati di rene, fortunatamente asintomatici tenendoli sotto controllo con modulazione della terapia antirigetto. Anche da un punto di vista psicologico questo è molto importante.

E in reparto?

Il ricovero può essere un ulteriore trigger che slatentizza ansia e paura. E’ necessario quindi un grande sostegno psicologico. Chiaramente dipende dalla persona ma è sempre molto importante spronarli a non far perdere la fiducia, non farli allettare troppo.

Ha avuto paura?

No, non ho mai avuto paura. Fare il medico comporta dei rischi e non solo per il covid. Bisogna conoscere e controllare le paure. Quindi usare in maniera idonei i dpi e fare molta attenzione.

Vi state preparando per la terza ondata?

Siamo comunque pronti, ma speriamo non arrivi in quanto tutti gli operatori sanitari e non sono molto provati. Inoltre questa “terza ondata” metterebbe in serio pericolo lo sviluppo del piano vaccinale.

In che senso?

Il problema dei vaccini e del timore di questa seconda onda lunga o terza ondata è questo. Se sei positivo non puoi fare il vaccino. Più persone infette sono in giro e meno vaccini si potranno fare.

Professore sta seguendo le notizie sulla variante inglese?

Questo virus sta variando e varia molto velocemente. Sono state viste 23 mutazioni in un anno. Tenga presente che 23 mutazioni in un anno sono tantissime. Questa mutazione sembra interessi la struttura del recettore, pertanto non dovrebbe modificare l’efficacia dei vaccini.

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