“I dati di sequenziamento disponibili ci dicono che il SARS-CoV-2 è rimasto relativamente stabile”. Intervista al microbiologo Fabio Arena

by Michela Conoscitore

Il Covid-19, il virus che sta tenendo il mondo sotto scacco, a pensarci non è nient’altro che un microorganismo invisibile all’occhio umano. Secondo la scienza non è nemmeno da considerare una forma di vita, al contrario dei batteri. Eppure questa entità minuscola sta monopolizzando le nostre vite, ormai da qualche mese.

I virus, insieme ad altri microorganismi, sono il materiale di studio su cui lavorano i microbiologi, coloro i quali, con medici, infermieri e il resto del personale sanitario, stanno dando il massimo nella lotta al Coronavirus. Sono loro gli specialisti della scienza che analizzano i tamponi, studiano da vicino il virus, svelandone i segreti e cercando cure per combatterlo.

bonculture per approfondire la conoscenza del Covid-19, ulteriormente anche in questo ambito, ha intervistato il dottor Fabio Arena, microbiologo, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Medicina Clinica Sperimentale dell’Università degli Studi di Foggia, a cui abbiamo chiesto anche degli esiti falsati dei tamponi e dei test sierologici che forniranno la cosiddetta patente d’immunità:

Dottor Arena, qual è il ruolo della microbiologia nella lotta contro il Covid-19?

La microbiologia è impegnata su due fronti nella lotta al Covid-19. Innanzitutto, si occupa della diagnosi, ovvero effettua gli esami di laboratorio consentono di confermare o escludere un’ipotesi diagnostica. Quindi, se su un paziente c’è il sospetto di infezione, il laboratorio di microbiologia confermerà se il paziente è positivo o meno al SARS-CoV-2. Ciò serve principalmente per indirizzare il percorso del paziente: ad esempio se è il caso di metterlo in isolamento, se ricoverarlo in una stanza appropriata o di curarlo nel proprio domicilio. Poi, la microbiologia porta avanti la ricerca, perché è la scienza che studia come è conformato un microorganismo, come interagisce con l’ospite e come riesce a causare malattia. Fornisce anche le basi per lo sviluppo di vaccini e per testare nuove ed eventuali terapie.

Cosa sono e come si comportano nell’organismo umano i Coronavirus?

I Coronavirus sono una famiglia, molto ampia, di virus conosciuti da tanto tempo, e hanno una diffusione che interessa non solo l’uomo ma anche gli animali, come tacchini, pipistrelli, felini, e roditori. La loro caratteristica è quella di provocare fondamentalmente nell’uomo affezioni respiratorie, basti pensare che circa un terzo delle infezioni respiratorie acute che si verificano in inverno sono provocate da Coronavirus diversi da SARS-CoV-2. Quindi uomini e animali hanno una certa familiarità con loro. Il problema emerge quando si verificano i fenomeni di ‘spillover’, quegli eventi in cui la circolazione del virus prevalentemente animale, sconfina e coinvolge anche l’uomo. In genere, questi eventi sono sporadici e si auto-contengono, però in alcuni casi si può verificare una trasmissione interumana che dà origine ad epidemie, o come in questo caso, a pandemie.

Dottore, quanto sono affidabili i tamponi?

L’analisi del tampone tramite l’amplificazione di geni del virus è una tecnica molto affidabile, e ha un’alta specificità e sensibilità. Come tutte le tecniche di laboratorio, tuttavia non è perfetta. Inevitabilmente si verificheranno dei casi di falsa positività o negatività, questi casi sono tanto più numerosi quanto più è ampia la popolazione testata. Quanti più test facciamo, tanto più la sua naturale imperfezione si rende evidente. Nessun test di laboratorio è perfetto.

Il paziente guarito da Covid-19 è comunque ancora contagioso, perché?

Bisogna fare una distinzione. Il paziente può essere guarito clinicamente perché non ha più sintomi, come tosse o febbre, però può continuare ad eliminare il virus per un certo periodo di tempo. Non sappiamo ancora quantificare la tempistica di questo processo. Poi c’è la guarigione microbiologica, che include l’eradicazione del patogeno, e questa è la guarigione completa del paziente. La si rileva grazie ai tamponi negativi. I pazienti guariti clinicamente dal Covid-19 e ancora contagiosi non dovrebbero costituire, comunque, la fonte principale del contagio.

In questi giorni si sta discutendo spesso della possibile mutazione del Covid-19, secondo lei sarà possibile?

La mutazione dei virus è un fenomeno naturale, e succede normalmente nei virus RNA, come questo. Tuttavia, i dati di sequenziamento disponibili ci dicono che finora il SARS-CoV-2 è rimasto relativamente stabile, quindi al momento non c’è motivo di credere che questo virus possa mutare in modo così radicale da cambiare le sue caratteristiche. E comunque sarebbe una buona notizia, perché è difficile immaginarlo peggiore di quello che già è.

In cosa consistono i test sierologici, quelli degli anticorpi, che fornirebbero agli ex pazienti Covid la cosiddetta patente d’immunità?

Bisogna essere molto cauti in merito: sì, esistono dei test che possono dire se in circolo nel sangue di un paziente ci sono degli anticorpi specifici per il Sars-CoV-2. Gli anticorpi sono quelle proteine presenti nel nostro organismo, in seguito ad un contatto con un agente infettivo, e iniziano a circolare quando ci si avvia verso la fase di guarigione, dai 4 ai 15 giorni circa dopo l’esordio dell’infezione. Si mantengono nel tempo, e ci proteggono da una possibile ricaduta. Nella maggior parte dei pazienti che guariscono dal Covid-19 si sviluppano questi anticorpi, che aiutano a neutralizzare il virus. Però non sappiamo come si comportino nel sangue dei pazienti guariti, in particolare quanto permangano, perché si tratta di un virus nuovo. Per la SARS, che è il cugino stretto del Covid-19, la durata degli anticorpi è stata stimata intorno ai due anni. In seguito, non si sa cosa succede nel caso di un nuovo contatto col virus. I test sierologici vanno fatti al momento della guarigione, per stabilire se c’è una protezione nei confronti di questo patogeno nel tempo. Il problema, per questi test in commercio, è che non sappiamo quanto sono specifici per questo virus. Potrebbero esserci delle cross-reattività, ovvero delle reazioni falso positive, per altri Coronavirus diversi. Quindi, non è detto che la risposta sia utilizzabile in tutti i casi. Sicuramente saranno test che ci aiuteranno a capire dal punto di vista epidemiologico qual è stata la circolazione del virus e l’andamento dell’immunità nella popolazione. Ma vanno interpretati con cautela, non possono essere usati da soli, come test diagnostici.

Questi test valgono anche per gli asintomatici?

Sì, anche gli asintomatici dovrebbero sviluppare una risposta protettiva anticorpale.

Un’altra soluzione a cui si sta pensando come cura, è utilizzare il plasma dei pazienti guariti. Lei cosa ne pensa?

Non è una novità, è un approccio già usato in passato per altri tipi di infezioni gravi. Quindi, potenzialmente, è promettente. C’è da dire che fra i vantaggi di questo approccio c’è sicuramente il costo limitato della terapia, chiaramente si tratta di ottenere dei donatori guariti.

L’Italia si è trovata a fronteggiare l’emergenza in pochissimo tempo. Come si sono attrezzati i laboratori di microbiologia, pensando anche a quello in cui lei lavora, per combattere un nemico nuovo come il Covid-19?

È stata molto dura per tutti, perché i laboratori di microbiologia sono stati travolti da una mole di campioni assolutamente eccezionale. C’è stato un fortissimo stress, sia dal punto di vista logistico, organizzativo, e sugli operatori. Il personale non poteva essere ovviamente sufficiente per supportare le diagnosi. Comunque, i laboratori di microbiologia italiani stanno reggendo il carico di lavoro, aumentando la dotazione tecnologica e l’organico per far fronte all’emergenza. A Foggia, in particolare, devo dire che la risposta è stata trovata grazie alla collaborazione tra Università e Ospedali Riuniti, ma anche alla competenza e al sacrificio di molte persone: mi sentirei di nominare il professor Maurizio Margaglione che è il direttore del Dipartimento Diagnostica di Laboratorio, che ha coordinato le attività, e la responsabile del servizio di Microbiologia e Virologia, la dottoressa Rosella De Nittis.

Il timore è la probabile trasformazione della pandemia in endemia. Pensando anche alla prossima estate, di solito questi microorganismi non sopportano bene il caldo, Dottore, cosa ci dovremo aspettare dal Covid-19?

Purtroppo non siamo in grado di prevedere in maniera certa quello che accadrà questa estate. Alcuni virus come quello della MERS, che è abbastanza simile al Covid-19, è stato veicolato dai dromedari e quindi circola in regioni molto calde. Non abbiamo la certezza che il caldo ci salvi. I Coronavirus, come gli altri virus, non sono altro che un pezzetto di genoma, ovvero materiale genetico, ‘incartato’ da un involucro di proteine. Ciò non li rende particolarmente resistenti agli agenti fisici esterni, non riescono a vivere a lungo all’esterno, al di fuori dell’ospite. È quindi ipotizzabile che questi virus, in un clima caldo, sopravvivano meno nell’ambiente. Aggiungo che d’estate cambia anche il nostro vivere sociale, c’è meno affollamento nei luoghi di lavoro, non si va a scuola, tendiamo a stare più lontani gli uni dagli altri e questo dovrebbe limitare, ulteriormente, la possibilità di diffusione del virus. Io sono ottimista e credo che un vaccino arriverà. Nel frattempo possiamo sperare che vengano individuate terapie più efficaci e che il grosso sacrificio richiesto alla popolazione, ovvero il distanziamento sociale, sortisca qualche effetto. Sarei fiducioso nella scienza, e che presto da questa arrivino soluzioni definitive per l’immunizzazione.

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