In Terapia Intensiva, l’anticamera della dicotomia vita-morte, col dottor Tullo: “Il Covid ha caratteristiche mai viste prima”

by Daniela Tonti
Livio Tullo

È sabato pomeriggio quando arriviamo al Riuniti, la strada che percorre il blocco delle malattie infettive dove ci sono 17 pazienti affetti da Covid è deviata per la presenza di un grosso camion che sta scaricando bombole di ossigeno. L’ospedale da una settimana a questa parte è deserto, i reparti si stanno svuotando, i servizi ridotti alle emergenze, l’accesso precluso agli esterni ma i lavori di riorganizzazione logistica procedono senza sosta, notte e giorno. È lo stravolgimento di un ospedale che si prepara alla grande ondata prevista da oggi e per le prossime due settimane. 

In prima linea nella battaglia ci sono i reparti di Rianimazione e Terapia Intensiva.

La rianimazione dell’ospedale di Foggia è un polo di eccellenza. Vuol dire che il profilo professionale di chi ci lavora è elevatissimo, le strumentazioni tecnologiche sono le migliori e che l’approccio è non fermarsi davanti a nulla, non escludere nulla nella formulazione di diagnosi difficili. Così come ci immaginiamo debba essere la medicina. 

Chi lavora ad ogni livello in questo reparto ha l’attitudine rarissima a maneggiare il dolore, il pudore, la vergogna, proprie di condizioni temporanee di vulnerabilità del corpo e fragilità della psiche. Al risveglio i pazienti non vorrebbero mai dover cambiare reparto o alcuni addirittura chiedono scherzando di tornarci perché solo qui si sentono al sicuro. Il passaggio al reparto è sempre traumatico. 

Questo prima del Covid-19. Oggi questo reparto, l’anticamera della dicotomia vita-morte, rappresenta la prima linea di battaglia della guerra al coronavirus. 

È nel blocco rianimazione della maternità che incontriamo il Responsabile della Rianimazione e Terapia Intensiva, il dottor Livio Tullo. 

Dottore com’è la situazione?

Al momento confermati sono 17 pazienti già ospedalizzati in Malattie Infettive e 7 che sono in terapia intensiva che hanno necessità di qualcosa in più della semplice ospedalizzazione perché i loro parametri vitali sono gravemente alterati. Ma i numeri sono in divenire.

Qual è la loro storia? Da dove provengono?

Alcuni erano già ospedalizzati, venivano soprattutto dall’ospedale di San Giovanni Rotondo e quindi su di loro il sospetto era molto forte o la diagnosi era nota già dall’ospedale di partenza. Ricordo che San Giovanni non ha un reparto di malattie infettive e quindi questi pazienti che devono essere ospedalizzati – ma non hanno necessità di terapia intensiva – vengono ricoverati a Foggia. Altri invece sono venuti con sintomi fortemente sospetti e la diagnosi è stata fatta al Riuniti di Foggia. Tenga conto che le regole dell’afflusso all’ospedale prevedono che il paziente che ha sintomi limitati, anche se positivo al corona virus, se non ha necessità di ospedalizzazione comunque va a casa anche se è un corona virus accertato. 

In quarantena?

In quarantena sì, e il numero delle persone positive è molto superiore ai ricoverati. Per fortuna, per certi versi.

In che senso?

Ci sono tantissime persone che hanno il coronavirus ma non sanno di averlo. La maggior parte dei casi sono assimilabili alla comune influenza, febbre, dolore muscolare, e quelle persone sono a casa senza nemmeno rendersene conto. E talora questa patologia decorre in questa maniera, senza aggravarsi. Senza richiedere ospedalizzazioni o ricorso al consulto da parte del medico. Adesso, in questa fase della pandemia, è chiaro che le persone che hanno sintomi si rivolgono al 118 e che non si deve venire al pronto soccorso come è stato ripetuto da più parti.

Ci sono stati casi di contaminazione dei reparti?

No al Riuniti di Foggia no. Non al momento. 

Si parla molto dei posti in terapia intensiva, a Foggia quanti ce ne sono? Come vi state organizzando per implementarli?

Quando il fenomeno è diventato noto, nella Capitanata le nostre direzioni hanno immediatamente disposto un piano di riordino di ri-ingegnerizzazione dell’ospedale ed è stata notevolmente aumentata la capacità di accogliere sia pazienti non necessitanti di terapia intensiva sia necessitanti.

Abbiamo una rianimazione con 8-10 posti letto dedicata ai pazienti Covid e una seconda rianimazione con 7 posti letto da dedicare ai Covid al secondo piano.

Nata ex novo?

Sì, avrebbe dovuto essere dedicata alla terapia intensiva post operatoria ed è stata totalmente riattrezzata e si trova al secondo piano.

Che c’era prima al secondo piano?

Chirurgia toracica e Chirurgia pediatrica che sono state spostate in altre sedi. Poi c’è la rianimazione TIPO che ha 6+2 posti letto.

Ricordiamo che l’ospedale avrebbe ulteriori possibilità di implementare questi posti perché ci sono altri reparti individuati che possono essere ancora modificati in rianimazioni se ce ne sarà la necessità.

Quindi 25 posti?

Attualmente sì, ma implementabili.

Per tutta la provincia?

No, ci sono altri 5 posti in isolamento che sono stati preparati a Cerignola. 

E poi cosa succederà? Avete individuato altre sedi?

Queste trasformazioni vengono fatte in tempi brevi ma non immediati. Due, tre o quattro giorni in cui è necessario ri-ingegnerizzare i reparti. Ma già si sta pensando all’eventualità che i numeri divengano più alti e la nostra direzione sta già mettendo in pratica, dal punto di vista progettuale, soluzioni in altre sedi.

Consideri che perché si possano fare queste trasformazioni occorre trasferire interi reparti e attrezzarne altri. Tutto l’ospedale sta subendo una prima fase di trasformazione che potrebbe essere solo una prima linea di difesa nei confronti di questa patologia. Le nostre amministrazioni stanno già pensando all’eventualità che il numero possa crescere e creare una seconda linea di difesa che si andrebbe a costituire nel nostro ospedale e negli ospedali di provincia.

La strategia pugliese, come ha spiegato il governatore Emiliano, è semplice: separare Covid da non Covid. Le proiezioni della Puglia non sono state rese note. In un primo momento si parlava di una previsione di 2000 ammalati ma la curva algoritmica ha subito un’impennata a causa dell’ondata fuori controllo di rientri dal Nord. Cosa accadrà?

Consideri che c’è una verticalizzazione delle direzioni per cui gli ospedali tra loro si parlano e vengono organizzati in maniera congiunta. Il numero dei posti da dedicare al covid o covid free viene deciso di concerto con tutta la regione e coinvolgono anche gli ospedali limitrofi come Cerignola, San Severo e San Giovanni Rotondo.

Ricordiamo che a San Giovanni Rotondo è stato ricoverato il primo paziente covid positivo ma nel disegno della immediata attuazione di difesa della pandemia, l’ospedale di Casa Sollievo dovrà accogliere pazienti covid free.

Ma è possibile fare questa distinzione? Non so, pensiamo a un paziente che arriva con un attacco di cuore, come fate a stabilire che non abbia anche il coronovirus? 

Lei dice un ammalato di cuore e io dico: e una gravida? Queste domande ce le siamo fatte e le poniamo sul tavolo di lavoro e nel caso di tutte queste ipotesi vengono stabiliti una serie di percorsi già a livello regionale e poi assimilati a livello aziendale di tutta una serie di possibilità tra cui anche il paziente che arriva con l’infarto e non ti dice, per esempio, se viene dalle zone rosse.

E vi è già successo?

Sì qualche giorno fa c’è stato un incidente in cui si sono scontrati due tir, uno era un paziente di questa zona l’altro veniva da Bologna e aveva fatto tutto un giro in zone considerate rosse. È chiaro che quando abbiamo ricoverato questo paziente politraumatizzato abbiamo tenuto conto che veniva da una zona ad altro rischio.  E quindi ci siamo preoccupati di attuare tutte le misure necessarie. Anche se il criterio epidemiologico è praticamente saltato.

In che senso? 

Perché anche se si sono riconosciuti alcuni focolai come San Marco e San Giovanni Rotondo, bisogna tener conto che ci sono moltissime persone che vengono tutti i giorni da San Marco, molte persone che vivono a San Giovanni e vengono a lavorare a Foggia. La persona che sta nella zona di San Marco e viene su e giù a lavorare, va in giro, va sul posto di lavoro e poi magari torna a casa in autobus. Il criterio epidemiologico vale fino a un certo punto e non vale più da solo.

Com’è questa malattia? Lei che idea si è fatto? Sembra ormai superata l’idea consolatoria iniziale che fosse poco più di un’influenza. E dopo il servizio di Alessio Lasta su La 7 proprio da una rianimazione come la sua si è aperta un fase di consapevolezza diversa.

La principale preoccupazione è quella che fa ammalare tante persone contemporaneamente. Si è detto da più parti, si è scritto da più parti, cercando di alleviare il senso di ansia della popolazione che questa è una patologia simile all’influenza che ha una mortalità analoga all’influenza. E su questo, pure avendo qualcosa da ridire, perché i numeri non sono proprio uguali, possiamo anche in qualche modo associarci a questa idea cioè di patologie dalla mortalità similari. Ma la vera, la grossa differenza è che il coronavirus ha una capacità di diffusione più elevata e può portare al collasso la struttura sanitaria perché più pazienti richiedendo contemporaneamente cure che l’influenza richiede nell’arco di mesi. Al momento qui ci sono 7 casi, per l’influenza 7 casi arrivavano in terapia intensiva in un tempo molto maggiore.

E’ vero che precipita velocemente?

L’infezione precipita in tempi variabili. Le percentuali le conosciamo tutti, il problema è che arrivano tutti insieme a ondate questo determina il problema di questa patologia. Parliamo dei pazienti che sono una netta minoranza che arrivano in terapia intensiva. Sono una netta minoranza ma arrivano a ondate, tutti insieme.

E in che condizioni arrivano? Ci spiega che effetto ha sulle persone?

Il virus è in grado di determinare una alterazione della funzione polmonare che possiamo riassumere come una incapacità da parte dei polmoni di trasportare l’ossigeno all’interno dell’organismo. È come se si creasse una sorta di barriera tra gli alveoli e i capillari per cui l’ossigeno non riesce a passare attraverso gli alveoli. Bisogna creare delle pressioni molto elevate per spingere l’ossigeno al di là di questa barriera.

Che vuol dire intubarli?

Sì siamo costretti a intubarli.

E i pazienti sono coscienti?

Se il paziente deve essere intubato siamo costretti a tenerlo sedato perché l’intubazione è una condizione che viene vissuta con estrema difficoltà. E non solo. Il nostro organismo in qualche modo rifiuta di essere ventilato dall’esterno e quindi si oppone. Se il paziente non viene sedato si oppone e quindi si perde il vantaggio che viene dato dalla ventilazione. Perché si lascino ventilare devono essere profondamente sedati e anche curarizzati in un alcune fasi della malattia.

Che vuol dire curarizzato?

Ci sono dei farmaci che determinano un rilasciamento completo della muscolatura e fanno sì che i polmoni e la cassa toracica si espandano in maniera morbida.

E come rispondono? Ci sono segni di miglioramenti con la ventilazione?

Il polmone da coronavirus è un polmone che risponde alle terapie di supporto a prescindere dall’età. E crea una sorta di illusorio entusiasmo perché non appena vengono messe in atto queste misure, il polmone sembra rispondere in maniera ottimale. Ed è effettivamente così nel corso dei giorni. Ma in realtà si tratta di una patologia dove non appena viene sospeso il supporto riprecipita. E l’altra particolarità di queste polmoniti da coronavirus è che non solo arrivano a ondate ma durano anche tanto.  L’abbiamo imparato dall’esperienza dei cinesi ma ce lo hanno confermato i nostri colleghi del nord e cioè che ha un decorso lungo, sicuramente più lungo di quello dell’influenza.

Lei aveva mai visto qualcosa del genere?

No, non si erano mai verificate epidemie così violente almeno in Italia che avessero queste caratteristiche un numero elevato in poco tempo di pazienti che devono essere curati per lungo termine. Ha caratteristiche mai viste prima.

Quindi è diversa dalla polmonite che eravate abituati a trattare?

Da un punto di vista radiologico ci sono polmoniti virali che assomigliano in tutto e per tutto al coronavirus. Anche se il polmone del coronavirus è morbido a differenza di altre polmoniti virali dove diventa rigido e diventa difficile da ventilare. Questo invece no. Dà una illusoria impressione che funzioni in maniera ottimale, specie nelle prime fasi ,poi si prolunga nel tempo. Nelle altre polmoniti il paziente è difficile da ventilare, risponde poco alla ossigenazione, tu gli aumenti i supporti ma l’ossigenazione rimane bassa hai subito l’impressione che hai a che fare con una polmonite grave. Questi invece si presentano gravi, rispondono molto bene alla terapia ma richiedono che venga prolungata nel corso delle settimane perché non appena gli riduci il supporto precipitano di nuovo.

Non solo. Nelle polmoniti quando il polmone cominciava a migliorare se non si verificavano sovra infezioni da parte di altri microorganismi questo migliorava e nell’arco di alcuni giorni il suo viaggio era verso la guarigione. Qui invece è come si creasse una sorta di equilibrio tra la macchina, il supporto vitale che applichiamo e il virus.

Un’altra certezza che sta perdendo terreno è che si ammalano solo gli anziani o le persone fragili. Quanti anni ha il suo paziente più giovane?

Il più giovane ha meno di quarant’anni. Da questo punto di vista il coronavirus non è differente dagli altri microrganismi che aggrediscono un organismo multicellulare. Va da sé che un organismo multicellulare che ha patologie chiaramente è più vulnerabile. Questa sponda di sicurezza che si sarebbero ammalati solo gli anziani è sbagliata. Si ammalano persone che non hanno nessuna patologia pregressa. In questo il coronavirus non si comporta diversamente da altri microorganismi, un virus che è passato dai pipistrelli all’uomo che può essere letale come tanti altri vediamo tutti i giorni. 

La Siaarti ha diffuso quel documento sulle linee guida da seguire in caso la richiesta di posti letto superi le disponibilità. Il pensiero che si possa esercitare una scelta tra chi vive e chi no ha scatenato molta angoscia specie per chi non ha dimestichezza con i protocolli. Ci vuole aiutare a capirlo?

Mi rendo conto di quanto questo argomento possa creare un senso di angoscia nelle persone. Questo documento è un documento tecnico rivolto a professionisti del settore e affronta uno dei tanti aspetti bioetici di una professione come la nostra che spesso ha a che fare con il limite della vita. E quindi va inserito in un discorso bioetico più ampio. Il coronavirus si merita un posto a parte perché ha caratteristiche epidemiologiche che difficilmente si sono riscontrate nell’arco della nostra vita. Posto che non raramente il rianimatore è chiamato a dare risposte di natura bioetica perché non raramente la sua professione ha a che fare con il limine vitae. Questa poi ha una caratteristica particolare può presentare una sproporzione enorme, non sostenibile. Quella storia che bisogna scegliere quello giovane o quello anziano crea panico e va contestualizzata. È un documento che è stato redatto nella ipotesi che si crei una sproporzione non affrontabile tra la richiesta di posti in terapia intensiva e la possibilità oggettiva di ricoverare.

Io personalmente mai mi sono trovato e mai colleghi mi hanno raccontato di trovarsi di fronte a questa decisione. Ma è una decisione che viene presa collegialmente con professionisti più esperti. Non si prende sull’onda dell’emozionalità o su criteri estemporanei. C’è tutta una valutazione dei casi clinici da curare, per quanto tempo e posso senz’altro tranquillizzare le persone. 

Il testamento biologico aiuta chi fa il suo lavoro?

Il testamento biologico in qualche modo facilita il compito. Ma quello del Saarti è un documento redatto per non fare sentire soli i professionisti difronte a decisioni così importanti. C’è una comunità scientifica che riflette su questi problemi per cui il clinico quando deve decidere non è solo. 

A questo, tutto il SSN è chiamato a dare una risposta non il singolo rianimatore. C’è uno sforzo enorme affinché si aumenti oltre misura la capacità di recepire. 

Ed è un sistema che deve dare risposte di salute anche ad altre patologie. Non è l’unica malattia esistente. C’è gente ammalata di tumore, gente che deve sostenere interventi chirurgici che possono essere procrastinati ma di poco. La risposta in salute deve essere mantenuta.

È mantenuta?

Sì al momento sì. È chiaro che si chiede alla popolazione di attendere o procrastinare interventi che non determinano peggioramento delle condizioni. L’enorme sforzo che si sta facendo nella riorganizzazione dell’ospedale è teso affinché si possa continuare a dare una risposta di salute alla popolazione. Il senso della riorganizzazione è questa. 

C’è anche l’inserimento di nuovo personale. Giusto?

C’è uno sforzo teso non solo a reclutare macchinari ma anche personale. Perché, in via del tutto teorica, posso aumentare il numero dei posti di rianimazione a dismisura ma poi c’è bisogno di infermieri, medici, ausiliari, oss che devono attendere alle cure del paziente. Non ha senso aumentare da solo il numero delle macchine. Le macchine da sole non creano salute. 

È cambiata la vostra vita?

Anche i nostri orari di lavoro sono cambiati. Oggi pur cercando di mantenere il ristoro psicofisico del personale è chiaro che cambiano le abitudini che vengono stravolte. Ma è una patologia che sta stravolgendo tutta la società.

Perché? Richiedono più tempo?

Sì i tempi di vestizione e svestizione sono completamente differenti. Anche se nelle terapie intensive noi eravamo abituati psicologicamente ai protocolli di difesa del paziente e degli operatori per le malattie infettive contagiose.

Ci sono state alcune polemiche sul fatto che i rianimatori siano tra i pochi in grado di utilizzare correttamente questi dispositivi che comunque scarseggiano.

È vero, anche se da questo punto di vista lo sforzo per diffondere questa cultura è altissimo. Anche tra i medici si sta diffondendo la consapevolezza della violenza con cui questa patologia si diffonde.

Lei ha paura?

La paura è una reazione a un pericolo. Ed  è fisiologica. Non si potrebbe vivere senza paura. La paura e il dolore sono legati a doppio filo alla vita e va gestita.

La sua vita è cambiata?

La mia vita è cambiata completamente. Come dovrebbe cambiare quella di tutti i cittadini. Per me è facile accettare le limitazioni suggerite dalla prudenza in piccole rinunce come andare in un ristorante o organizzare un gruppo di amici che vanno in gita in un museo, per me è più facile da accettare. Io la vivo forse in maniera diversa non la vivo come un’imposizione. Sono misure importantissime. Forse il mio lavoro è importante ma sono molto più importanti queste misure di autolimitazione che quelle nostre dei medici. Una delle armi più affilate che ha questo virus è proprio la velocità di diffusione.

Una delle cose più angoscianti è che si muore da soli. In totale isolamento.

Sì è questo è un altro aspetto terribile di questa malattia. I parenti non sono ammessi per ovvie ragioni, sarebbe impossibile. Li aggiorniamo telefonicamente ogni giorno ma è comunque molto straziante.

L’uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso; ma è ancora più faticoso non volerlo essere. Per questo tutti appaiono stanchi: tutti, oggi, si trovano un po’ appestati. Ma per questo alcuni che vogliono finire di esserlo, conoscono un culmine di stanchezza, di cui niente li libererà, se non la morte.

La peste- Albert Camus

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