“La nuova sfida per noi medici coinvolti in questa emergenza è rappresentata dai guariti”, intervista alla prof. Maria Pia Foschino

by Daniela Tonti

Molte strutture ospedaliere sul territorio nazionale hanno messo a punto programmi di follow up territoriali o domiciliari per seguire i pazienti guariti da covid-19.

Una scelta resasi necessaria per monitorare gli eventuali danni a lungo termine sui polmoni ma anche e soprattutto per tentare di studiare gli interrogativi irrisolti legati a una malattia che ha ancora aspetti molti controversi.

Anche in questo caso l’esperienza sul campo dei medici che hanno affrontato l’emergenza in prima linea è quella che ha più valore sia al fine delle valutazioni cliniche sia per il prezioso apporto alla ricerca scientifica.

Come quella della professoressa Maria Pia Foschino, ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio all’Università degli Studi di Foggia e Direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica agli Ospedali Riuniti. Chi la conosce giura di non averla mai vista lasciare il reparto nella fase di emergenza, passando in corsia la maggior parte dei giorni, mettendo da parte la paura e la stanchezza in una lotta perenne contro il tempo, senza turnazioni o interruzioni possibili.

Oggi nel suo reparto ci sono circa 15 pazienti covid e un servizio ambulatoriale per i guariti. E se da un lato ci si riorganizza per il ritorno alla normalità, dall’altro la possibilità di una nuova ondata in autunno è ben più di una paura. Cosa resterà di questo covid?

Noi di bonculture l’abbiamo intervistata.

Professoressa com’è la situazione nel suo reparto? Quanti ricoverati ci sono?

Nei reparti Covid di Malattie dell’Apparato Respiratorio – Ospedale D’Avanzo, attualmente sono ricoverati 9 pazienti nel reparto per acuti e 6 pazienti nel reparto post-acuti. Siamo passati da punte di circa 70 pazienti ricoverati nei giorni più critici dell’emergenza Covid agli attuali 15 pazienti, che sono in via di guarigione.

Le buone notizie sul fronte Coronavirus però non arrivano solo dai numeri, ma anche dalla chiusura dei reparti Covid. Infatti nel corso degli ultimi tempi sono stati chiusi due dei tre reparti Covid per acuti e un reparto di post-acuzie che ospitava pazienti clinicamente guariti ma ancora positivi. Questo segna senza ombra di dubbio un passaggio importante, nell’ottica del graduale ritorno alla normalità previsto dalla “fase 2” per la sanità ospedaliera.

Sappiamo che voi continuate a vedere molti pazienti guariti e dimessi che non si sentono sicuri rispetto sia alla paura e quindi al fattore psicologico sia rispetto al fatto che è una malattia fisicamente molto debilitante. Che ci può dire? Come avete affrontato questo aspetto della malattia durante la degenza in ospedale?

Sin dall’inizio ho creduto che la riabilitazione sia motoria che respiratoria costituisse un tassello importante nel percorso di cura che abbiamo intrapreso con i nostri pazienti.  Alla maggior parte di loro, sin dal momento del ricovero, sono stati garantiti una valutazione fisiatrica ed un percorso riabilitativo personalizzato, dato che le degenze sono state solitamente lunghe, costringendo i nostri malati a letto. Questo ha riscosso il consenso dei nostri pazienti, i quali hanno cominciato a sentirsi parte del loro processo di guarigione e oltre ai benefici riabilitativi, questo ha avuto degli effetti positivi anche sul loro tono dell’umore.

Per i pazienti usciti dalla fase acuta della malattia e clinicamente guariti, ma ancora positivi al tampone, abbiamo allestito due reparti post-acuzie, per permettere loro di proseguire l’isolamento prima di tornare a casa, scongiurando il rischio di infettare i loro cari.

Inoltre per dare continuità alla presa in carico dei pazienti guariti, che sono stati dimessi dal nostro ospedale, abbiamo istituito degli ambulatori e dei day- service dedicati con l’obiettivo di monitorare l’evoluzione della malattia ed escludere patologie croniche oppure individuarle e gestirle anche attraverso terapie domiciliari.

Alcune strutture ospedaliere hanno messo a punto dei programmi di monitoraggio in particolare per tenere sotto controllo l’apparato respiratorio dei guariti per l’esempio l’ospedale da campo di Bergamo. A Lodi e Codogno sono stati attivati percorsi sperimentali domiciliari di riabilitazione. C’è un’idea di follow up per i pazienti guariti? E quanto è importante?

Abbiamo messo a punto in collaborazione con i colleghi delle Malattie Infettive un programma di follow up per i pazienti ricoverati con diagnosi di COVID-19 e dimessi dall’ospedale, per garantire la loro presa in carico anche a distanza della fase acuta della malattia.

Per questi pazienti sono previste visite  di controllo e day-service dedicati con valutazione della funzionalità respiratoria e l’esecuzione di indagini radiologiche e di altri accertamenti, qualora questi fossero necessari.

Aderire a questo programma di follow up sarà molto importante per la salute dei pazienti interessati, ma aiuterà tutti a capire e definire meglio “la storia” di questa malattia, sulla quale tanti interrogativi sono ancora irrisolti.

Parliamo dei guariti. Come stanno i pazienti ? Sono debilitati? Hanno i polmoni compromessi? Sono a rischio ad ogni influenza?

Ora la nuova sfida per noi pneumologi e medici coinvolti in questa emergenza è rappresentata dai guariti. Molti dei pazienti dimessi stanno bene, soprattutto quelli che hanno sviluppato forme lievi della malattia.

Per i pazienti che invece hanno sviluppato forme più gravi, il ritorno alla normalità non è stato per tutti veloce e indolore come avremmo sperato, tra conseguenze psicologiche, astenia e in alcuni pazienti problemi di ossigenazione. Infatti sebbene ancora non ci siano dati certi sulle conseguenze a lungo termine della polmonite da COVID 19, l’infezione potrebbe lasciare degli strascichi a lungo termine compromettendo la funzionalità respiratoria e rendendo i pazienti più suscettibili a contrarre nuove infezioni.

A tal proposito, riguardo i guariti, vorrei citare un recente e interessante studio coreano che ha dimostrato come alcuni pazienti giudicati guariti dal Coronavirus, che si erano negativizzati, siano ritornati nuovamente positivi ai test diagnostici. Questo potrebbe essere dovuto alla presenza di frammenti di RNA del virus, il quale però è ormai inattivo. Pertanto questi pazienti, sebbene siano nuovamente positivi, non sono contagiosi, infatti non vi sono state segnalazioni di contagiati in seguito al contatto con questi soggetti.

L’infezione polmonare da coronavirus può lasciare un’eredità cronica sulla funzionalità respiratoria anche importante. C’è bisogno di cure particolari a casa? Tipo l’ossigeno?

Nelle forme asintomatiche o lievi non è necessario ricorrere a trattamenti specifici aggiuntivi. Mentre le forme gravi di infezione polmonare da COVID 19 possono lasciare dei reliquati polmonari importanti. Infatti per molti pazienti che hanno avuto forme gravi di malattia, la fibrosi polmonare potrebbe diventare il pericolo di domani comportando dei sintomi cronici e la necessità, in alcuni pazienti, di ricorrere all’ ossigenoterapia.

Pensiamo alla Sars, chi aveva superato la malattia in forma grave ha poi avuto problemi importanti come una ridotta capacità respiratoria. Sarà così anche per il covid? 

Ribadisco come sia ancora troppo presto esprimere certezze sulla progressione e sulle conseguenze dell’infezione polmonare da Covid.

Ma i primi dati osservazionali parlano di molti pazienti che hanno avuto forme gravi di malattia, che presentano forme di fibrosi polmonare residua. Questi pazienti oltre alla presenza di anomalie polmonari radiologiche, anche a distanza di tempo, hanno alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, che si traducono in una minore capacità respiratoria, in un minor volume polmonare, e, in una minor resistenza allo sforzo.

Secondo lei è vero che il virus ha perso forza? Può essere che svanisca da solo?

Allo stato attuale non esiste alcuna evidenza scientifica sul fatto che il virus abbia perso forza. Tuttavia possiamo dire con cauto ottimismo che il virus sembra aver allentato la presa: sempre meno ricoveri, sempre meno contagi.  Sicuramente questo è il risultato delle drastiche misure di  lock-down, di distanziamento e di protezione individuale, che hanno contenuto la diffusione epidemica del virus. Questo dato inconfutabile ci deve spingere a continuare a far leva sulla nostra autodisciplina e sul nostro senso civico, continuando ad adottare adeguate misure di protezione individuale.

Inoltre, realisticamente non possiamo dire se il Coronavirus svanirà da solo. Il discriminante per capire se effettivamente questo virus sparirà, sarà la presenza di un vaccino efficace e la sua somministrazione a tutte le persone che dovranno riceverlo.

Se dovesse riassumere questi mesi in una parola, rispetto alla sua lunga esperienza umana e professionale quale parola sarebbe? E perché?

Onda. Quest’emergenza sanitaria è stata come un’onda che ci ha travolto in maniera violenta e inizialmente ci ha lasciati tutti inermi. Un’onda, anche emotiva, che ha avvolto, travolto e stravolto la nostra quotidianità. Qui fortunatamente non si è trasformata in uno tsunami travolgente, grazie al numero “ridotto” di contagi, grazie alla grande capacità di chi era in corsia, grazie ai reparti allestiti ad hoc per fronteggiare l’emergenza e grazie ai cittadini che hanno fatto la loro parte.

Qual è stato il momento più difficile?

Sicuramente il momento più difficile è stato quello iniziale, in cui i reparti Covid sembravano essersi trasformati in un girone infernale dantesco. Eravamo lì in prima linea contro un nemico invisibile, che improvvisamente ci ha imposto di alzare l’asticella degli sforzi, della fatica, della responsabilità e della paura. Un virus che ci ha strappato alle nostre giornate, facendo di uno scafandro di plastica la nostra terribile divisa. Un virus che ci ha costretto a reinventare il nostro mestiere, perchè nessuno all’inizio sapeva come fronteggiare questa emergenza, che assieme alla vita dei pazienti, metteva a rischio anche quella del personale sanitario.

Qual è il ricordo che porterà sempre con sé e quanto cambia una malattia come questa la fiducia in se stessi e nel proprio lavoro, nei mezzi che si hanno che accompagna la vostra professione? Cambieranno gli approcci?

La nostra professionalità e le nostre doti umane sono state messe a dura prova da questa inedita emergenza sanitaria. In questi anni credevo di essermi arrampicata su tutti i gradini della scala delle emozioni: ho conosciuto tutto, la gioia e il dolore in tutte le sue forme, ma non mi era mai capitato di viverle tutte insieme e tutti i giorni con la stessa dirompente intensità. Ciò che non dimenticherò saranno tutti i nostri pazienti, che ci hanno coinvolto con le loro paure e i loro disorientamenti, ma che ci hanno sempre dimostrato estrema riconoscenza e gratitudine e questa rimane la migliore gratificazione del nostro lavoro.

Sicuramente questa esperienza ha riportato al centro dell’attenzione il rapporto tra medico e paziente, ci ha fatto riscoprire la nostra vocazione di medici ossia quella di elaborare non solo diagnosi e formule terapeutiche per curare il paziente, ma di farsi guida e compagni nella malattia, per prendersene cura anche quando questa sembra essere imbattibile.

Com’è tornare alla normalità?

Sin da subito abbiamo dovuto riprogrammare il nostro futuro, che ovviamente non poteva essere più uguale alla fase antecedente all’emergenza. Subito abbiamo preso consapevolezza di quello che questa emergenza sanitaria, che è stata un evento catastrofico, ha rappresentato per la Sanità pubblica in primis e per tutti noi.

Perciò non intendiamo abbassare la guardia e per questo stiamo predisponendo e potenziando una serie di misure per contenere al massimo le possibilità di contagio in ambito ospedaliero, in modo da far riprendere l’attività ordinaria con un certo grado di sicurezza.

In molti temono una seconda ondata di covid in autunno. Lei che idea si è fatta?

I coronavirus come tutti i virus respiratori prediligono la stagione autunnale – invernale, quindi è possibile che in autunno-inverno ci sia una recrudescenza di questa patologia. In ogni caso saremo molto più consapevoli e preparati su quello che eventualmente ci aspetterà. E’molto probabile, inoltre, che il virus torni a circolare insieme ad altri virus respiratori stagionali come quelli influenzali e per questo motivo sarà molto importante una maggiore adesione da parte della popolazione alla campagna di vaccinazione anti-influenzale, in modo da ridurre i casi di influenza e facilitare la diagnosi differenziale.

Ancora una volta, sarà molto importante fare appello al senso di responsabilità di tutti, nel mantenere comportamenti adeguati, in modo da contenere o, nella migliore delle ipotesi evitare, la ripresa della malattia.

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