La pandemia vista da EMERGENCY, Rossella Miccio: «Disuguaglianza di accesso prima ai dispositivi di protezione, poi agli strumenti diagnostici, ai tamponi e ora ai vaccini»

by Michela Conoscitore

Essendo state la Lombardia e Milano il cuore della pandemia ed avendo sede lì, è stato naturale metterci a disposizione per fare quello che serviva”, ad affermarlo Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, l’associazione umanitaria italiana fondata nel 1994 da Gino Strada e Teresa Sarti. Le parole della dottoressa Miccio fanno luce su altri aspetti, spesso trascurati, dell’emergenza sanitaria che la presenza di EMERGENCY è riuscita a colmare. La narrazione ufficiale ha dimenticato, come sempre, gli ultimi: “Abbiamo assicurato il funzionamento dei nostri ambulatori, fissi e mobili, affinchè si occupassero delle fasce vulnerabili della popolazione”, ha proseguito Miccio.

Gli ultimi, oggi, in Italia e nel mondo rischiano di non vedersi assicurate le dosi di vaccino, per l’individualismo prevedibile delle nazioni più ricche che proteggono indiscriminatamente le formulazioni dei vaccini con dei brevetti blindatissimi, lasciando buona parte della popolazione mondiale esposta al virus. Una condizione che si potrebbe ripercuotere, nuovamente, a livello globale se non sarà posto un freno all’atteggiamento, ancora pesantemente colonialista, dei big planetari.

bonculture ha approfondito l’argomento con Rossella Miccio.

Presidente Miccio, come descriverebbe il 2020 di EMERGENCY?

Per noi è stato un’enorme sfida, perché abbiamo avuto la necessità e l’urgenza di proteggere tutte le nostre strutture dato che forniscono un servizio salvavita essenziale, e la pandemia rischiava di compromettere quel lavoro. Poi ci siamo trovati coinvolti sempre più, anche in Italia, nella risposta a questa nuova malattia. Ci siamo dovuti basare su esperienze precedenti nella gestione di altre epidemie, inoltre abbiamo ideato nuovi progetti e proposte anche al di là dell’ambito sanitario, che sono la nostra attività principale.

In quale modo le precedenti esperienze all’estero vi hanno aiutato nel fronteggiare la pandemia in Italia?

Nei nostri ventisette anni di lavoro abbiamo fronteggiato vari tipi di epidemie, dall’ebola in Sierra Leone al colera in Sudan. In quelle occasioni abbiamo sviluppato dei protocolli, e misure di prevenzione e protezione dalle infezioni. Siamo partiti da quelle esperienze, riadattandole poi a questo virus.

La pandemia vi ha visto impegnati anche in Italia, con progetti a Bergamo e Crotone. Ci può descrivere le loro potenzialità, come avete articolato il vostro intervento e quali sono state le professionalità che avete messo al servizio della popolazione?

I due interventi erano molto diversi fra loro, sia per contesto ma anche perché sono da ricondurre a due fasi diverse della pandemia. L’intervento in Fiera a Bergamo mirava alla creazione di una struttura emergenziale per garantire cure di livello intensivo. È stata una prova molto impegnativa dal punto di vista strutturale in cui i nostri tecnici e logisti hanno lavorato con gli Alpini e lo staff dell’ospedale “Papa Giovanni XXIII” per realizzare una struttura ex novo. A loro si è aggiunto un team di circa quarantacinque professionisti sanitari, medici, infermieri e fisioterapisti soprattutto con competenze in medicina intensiva, per assicurare le cure ai pazienti che poi sono stati ricoverati nei due mesi in cui abbiamo lavorato lì. L’intervento in Calabria si è collocato durante la seconda ondata della pandemia. A Crotone abbiamo lavorato in una struttura che già esisteva, prima collaborazione di EMERGENCY con un ospedale pubblico italiano. Quindi è stata un’altra tipologia di sfida, molto interessante, dove abbiamo riorganizzato un po’ il lavoro e aumentato la capacità di risposta dell’intero ospedale.

La pandemia da Covid 19 ha evidenziato maggiormente gli squilibri a livello mondiale in campo sanitario. Qual è l’analisi fatta da EMERGENCY in merito?

Le dico sinceramente che siamo molto delusi dalla risposta a questa pandemia, a livello mondiale. Andando oltre le belle parole, e il ripetere che ne saremmo usciti tutti insieme, in realtà nella pratica fin da subito si è notata questa disuguaglianza di accesso prima ai dispositivi di protezione, poi agli strumenti diagnostici, ai tamponi e ora ai vaccini, sono tutti dei dati di fatto. Le risorse economiche e materiali si sono concentrate nei paesi ricchi, e ne stiamo sperimentando le conseguenze.

Mentre i paesi ricchi vaccinano una persona al secondo, la parte più povera del pianeta è stata lasciata indietro. Ci sono molte iniziative come quella sostenuta da EMERGENCY e Oxfam, la People’s Vaccine Alliance, che chiede ai paesi ricchi di smettere di proteggere il monopolio dei colossi farmaceutici e liberalizzare i brevetti. Come garantire l’accesso equo ai vaccini che dovrebbero un bene pubblico globale?

Noi siamo convinti che in una pandemia globale non si possa lasciare alle aziende il monopolio non solo della produzione ma anche della distribuzione, della definizione dei prezzi e dell’accesso. La liberalizzazione dei brevetti è un primo passo in questa direzione, che però deve essere anche seguito dalla condivisione di tecnologie, know-how e soprattutto una definizione dei prezzi equa e no profit per questo bene assolutamente indispensabile, che deve essere accessibile a tutti. Esistono già gli strumenti anche a livello internazionale, gestiti dall’OMS, come il C-TAP che funziona su base volontaria, e permette alle aziende e alle nazioni di condividere tecnologie, ricette e know-how. Il problema è che nessuno li utilizza, le aziende farmaceutiche hanno visto aumentare i loro profitti in maniera spaventosa, e il 90% della popolazione mondiale risulta marginale nell’accesso ai vaccini.

Uno studio sulla rivista Nature ha ipotizzato che a causa di questa terribile disuguaglianza nell’accesso ai vaccini la pandemia durerà sette anni. Lei che ne pensa?

È molto probabile se non cambiamo direzione, perché il virus continuerà a circolare aumentando la probabilità di mutazioni che, potenzialmente, potrebbero essere resistenti ai vaccini che abbiamo a disposizione. Dobbiamo entrare nell’ottica dell’idea che bisogna garantire l’accesso ai vaccini su larga scala per garantire una vera immunizzazione di massa a livello globale, oppure dovremo continuare a contrastare il virus ancora a lungo.

In alcune nazioni africane come la Sierra Leone, oltre al Covid stanno fronteggiando anche l’ebola. Qual è la situazione al momento?

Per ora sembra abbastanza sotto controllo, non si sono registrati casi attivi originati in Sierra Leone, anche se il rischio rimane alto. Dei sistemi sanitari così fragili difficilmente riuscirebbero a gestire due epidemie così importanti, allo stesso tempo. È vitale riuscire ad assicurare protezione con il vaccino, perché non dimentichiamo che in questi paesi è arduo poter accedere a tutti gli strumenti di protezione individuale.

EMERGENCY ha stimato circa 500 mila invisibili in Italia, per ora esclusi dal vaccino. Chi sono e come ovviare a questa problematica?

Sono i cosiddetti migranti, gli irregolari, persone senza fissa dimora per i quali il sistema non ha previsto delle misure di protezione. Si è già verificato durante la prima fase della pandemia, ci dicevano che dovevamo essere tutti protetti ma un’enorme fascia della popolazione vuoi per problemi linguistici, culturali o di vulnerabilità a causa della marginalizzazione non aveva neanche le informazioni corrette sul virus e su come ci si potesse proteggere. Inoltre i sistemi sanitari in Italia sono regionali, quindi ogni regione decide di implementare o meno una disposizione in modo autonomo e diverso dalle altre. È una situazione difficile e molto pericolosa, queste persone vanno protette proprio perché più vulnerabili di altre.

Gino Strada, per rifondare la sanità post-Covid, ha ricordato le caratteristiche basilari che dovrebbe possedere secondo EMERGENCY: pubblica, di qualità su tutto il territorio nazionale, laica e accogliente. Come vi impegnerete affinché questa visione si avveri?

Il Covid ci ha posto davanti all’evidente necessità di garantire una sanità pubblica, laica, unitaria e non frammentaria come stiamo sperimentando. Proseguiremo nel nostro lavoro, anche in collaborazione con le strutture pubbliche che vorranno collaborare con noi. Continueremo anche con la nostra attività di advocacy: l’articolo 32 della Costituzione garantisce le cure e le riconosce come un bene per la collettività, per tutti gli individui che vivono sul territorio italiano, quindi saremo un pungolo per le istituzioni su questi temi, ne va della qualità della vita.

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