La strage degli innocenti dei medici caduti per il Covid, Anelli: “Ogni medico che muore impoverisce il Servizio Sanitario nazionale”

by Michela Conoscitore

Probabilmente gli italiani non hanno ben compreso a ciò che la pandemia sta sottoponendo i medici impegnati in prima linea nella lotta al Covid-19: dagli ospedali ai semplici ambulatori, i professionisti della salute hanno dovuto non soltanto conoscere il virus, ma anche comprendere il paziente e le sue esigenze. A ciò si aggiunge il lavoro portato avanti con Governo e Ministero della Salute, per operare in sinergia e affrontare ogni aspetto di questo evento inaspettato.

Per quanto gli sforzi sono stati, e tuttora lo sono, enormi come già affermato, la pandemia ha messo in evidenza criticità e fragilità del sistema sanitario nel nostro Paese: particolare preoccupazione ha destato la poca capillarità della medicina territoriale che doveva costituire il primo baluardo nella lotta al virus ma che, spesso, non è riuscita a contenere. Ciò è accaduto, appunto, a causa di criticità strutturali e di un sistema che ora è il momento di rivedere e riassestare.

bonculture ne ha parlato con il dottor Filippo Anelli, Presidente del FNMOCeO, l’Ordine Nazionale dei Medici ed Odontoiatri:

Presidente Anelli, lei ha più volte espresso preoccupazione su quello che potrebbe accadere nel corso delle festività natalizie se la stretta sugli spostamenti dovesse essere allentata. E anche moltissimi rianimatori hanno lanciato un grido di allarme. L’impressione è che gli appelli cadano nel vuoto. Pensando anche alla sua richiesta di lockdown, un mese fa, la vostra categoria, quella dei medici, si è sentita ascoltata dalle istituzioni?

Dobbiamo dare atto al ministro della Salute, Roberto Speranza, di aver sempre ascoltato, durante questa pandemia, le preoccupazioni dei medici. Ancora il 2 dicembre scorso nelle sue Comunicazioni al Senato sulle ulteriori misure per fronteggiare l’emergenza da Covid-19 il ministro ha ricordato come il Governo, già prima del DPCM del 3 novembre, dinanzi all’aumento del numero dei contagi e dell’indice RT, avesse assunto misure più stringenti per contrastare una diffusione incontrollata dell’epidemia, e come le sue ordinanze siano poi state adottate, come prescritto dalla norma, sulla base della classificazione delle Regioni, effettuata con cadenza settimanale dalla cabina di monitoraggio, sentiti i Presidenti di Regione e il comitato tecnico-scientifico. Scelte, dunque, dettate da valutazioni scientifiche, ispirate come sempre al principio di precauzione, e volte alla tutela della salute. Come ha ricordato ancora il ministro, il Governo, attraverso le ordinanze, si è assunto la responsabilità di scelte difficili quanto necessarie. Senza le quali sarebbe impossibile mettere la curva sotto controllo. “La pressione sulle strutture ospedaliere diverrebbe insostenibile: non reggerebbero i nostri medici, gli infermieri e tutti i professionisti sanitari, cui va sempre la nostra più convinta gratitudine per il lavoro incessante che stanno svolgendo” ha affermato, ricevendo l’applauso dei senatori.

Anche il Governo in toto, con il Decreto Legge Natale e poi con il nuovo Dpcm, ha accolto le nostre preoccupazioni: quando, l’estate scorsa, abbiamo abbassato la guardia, questo ha portato a una risalita dei contagi. E ora, con la stagione invernale e la permanenza in ambienti chiusi, il virus circola di più rispetto ad allora. Tutto questo per dire che il Governo ascolta le nostre preoccupazioni, e cerca poi di trovare il giusto equilibrio tra la tutela della salute, degli individui e della collettività e la legittima tutela degli interessi economici. Queste misure, flessibili e graduali, stanno sortendo i primi effetti: l’indice RT è in discesa in molte regioni e sta calando la pressione sugli ospedali e le terapie intensive.

Per questo siamo rimasti a dir poco sbigottiti quando, nella bozza per la ripartizione dei fondi del Recovery plan abbiamo letto che meno del 5% delle risorse stanziate – 9 miliardi di euro su 196 totali – sono state destinate alla sanità. Sono risorse assolutamente insufficienti, che acuiscono, anziché colmare, le disuguaglianze di salute ancora – e ora più che mai – esistenti nel Paese. Per questo abbiamo chiesto al Premier di aumentarle, e di istituire un Fondo ad hoc per colmare il Gap tra le diverse aree italiane.

A proposito di ciò, in questi mesi l’Ordine è stato mai chiamato a una forma di collaborazione con le autorità locali per quanto riguarda scuole, assembramenti, atteggiamenti?

A livello locale, posso parlare della mia esperienza come presidente dell’Ordine dei Medici di Bari. Tale Ordine ha stipulato protocolli d’intesa con tutti i comuni della Città Metropolitana di Bari. Un referente dell’Ordine, il cosiddetto fiduciario, è entrato a far parte dei COC, i Centri operativi Comunali, che durante l’epidemia hanno gestito e continuano a gestire l’emergenza. Senza trascurare tematiche quali la tutela dell’ambiente, l’educazione agli stili di vita sani, lo sviluppo sostenibile, la prevenzione. Una figura di raccordo tra la professione medica e gli enti locali, per la tutela della salute pubblica.

Oggi contiamo oltre 200 morti tra i medici e operatori sanitari, un dato purtroppo in aumento. Lei come se lo spiega? La stanchezza, i turni massacranti o i dispositivi di protezione individuale?

Sì, sono ad oggi (11 dicembre, ndr.) 255 i medici caduti per il Covid, 76 nella seconda ondata: e la crescita è esponenziale, con una media, ora, di tre morti al giorno. Una vera e propria ‘strage degli innocenti’, la abbiamo definita. Ed è, in questa seconda ondata, la Medicina generale a pagare il prezzo più alto: più della metà dei medici caduti erano medici di famiglia. Bisogna intervenire, e bisogna farlo subito. Perché per ogni medico che muore, al di là della tragedia umana, lascia da soli i suoi pazienti, e impoverisce il Servizio Sanitario nazionale. Abbiamo chiesto un incontro informale al Ministro, che ci ha ascoltati. Tre le proposte scaturite dal colloquio: un monitoraggio, da attuarsi attraverso gli Ordini dei Medici territoriali, per capire, in un’ottica di risk management, dove si annidino rischi e criticità per i medici in prima linea nella cura del Covid-19. Poi, un protocollo sull’uso corretto dei dispositivi individuali di protezione: quali usare nei diversi contesti, come utilizzarli, le tecniche di vestizione e di svestizione. Infine, l’esportazione, su tutto il territorio nazionale, del modello di distribuzione – già attuato in alcune Regioni -dei Dispositivi individuali di protezione ai medici convenzionati, che utilizza il canale delle Poste italiane per farli arrivare direttamente a domicilio.

Presidente, lei raccoglie continuamente voci e feedback dai medici impegnati sul territorio. Ci sono zone in cui la situazione è più difficile? Quali sono le paure più grandi dei medici in questo momento? C’è qualche storia in particolare che l’ha colpita?

Purtroppo è proprio nella mia Puglia che la situazione è più difficile. Il tasso di positivi rispetto ai tamponi è il più alto d’Italia, superando il 20%. Un abisso col resto del Paese, dove si assesta intorno al 10 %. Per questo ho chiesto più volte di mettere la Puglia in zona rossa. Le nostre preoccupazioni sono che, se le restrizioni si allentano, i contagi tornino a salire, e così la pressione sugli ospedali e nelle terapie intensive. E che le risorse, finanziarie e umane, siano tutte dirottate sulla cura del Covid, sottraendole a quelle delle altre patologie. Sottraendole ai 26 milioni di malati cronici, e a tutti coloro che potrebbero essere colpiti da malattie non meno gravi, come infarti, ictus, tumori, incidenti stradali, Il nostro timore è che, quando tutto sarà finito, oltre ai morti di Covid ci troveremo a contare tutte le morti indirettamente legate al Covid. E saranno altrettante, forse di più. È questo che cerchiamo con tutte le nostre forze di impedire.

Per quanto riguarda una storia che mi ha colpito, posso raccontare quella di un mio collega, che ha perso due pazienti che si potevano salvare. Erano pazienti cardiopatici che avevano bisogno di farmaci che soltanto in ospedale potevano essere somministrati, ma sono arrivati troppo tardi.

Sono anni che si parla di un coinvolgimento maggiore dei medici di base ma chiunque ha tentato di portare avanti un discorso diverso è sempre stato boicottato. Era necessaria la pandemia per capire quanto fosse importante la medicina territoriale?

Peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla”. Lo ha affermato Papa Francesco, lo ripete il ministro Speranza. La medicina territoriale può e deve essere il vero argine al virus, individuando e spegnendo sul nascere i nuovi focolai. Ma è necessario pensare ad una sanità territoriale “nuova”, ispirata ad una vision in grado di rispondere alla domanda di salute presente e futura del Paese, che possa essere realmente integrata da un punto di vista organizzativo, sia al suo interno, sia con le strutture ed equipe ospedaliere. Che possa essere in grado di valorizzare le specificità di tutti i suoi attori, pur nelle diverse peculiarità, al fine di rispondere al crescente bisogno di salute della popolazione nel nostro Paese.

L’organizzazione dovrà essere rafforzata rispetto alle modalità di lavoro più vicine alla realtà della popolazione, privilegiando un’integrazione tra le diverse figure professionali, per poter stabilire un reale rapporto fiduciario con i cittadini. Il modello al quale pensiamo è quello del microteam, composto da medico, infermiere, assistente di studio, personale amministrativo e integrato da ostetrica, psicologo, fisioterapista, tecnici, in stretto raccordo con gli specialisti ambulatoriali e della continuità assistenziale. Professionisti che potranno portare le loro competenze ‘al letto del malato’, lavorando insieme in ambienti adatti e con la strumentazione adeguata.

A proposito di territorio, spesso ha affermato che la frammentazione in tanti servizi regionali non ha aiutato durante la lotta al Covid: è mancata una cabina regia unica secondo lei? Potrebbe aver influito in ciò la differente incidenza del patogeno nelle varie parti d’Italia?

L’epidemia di Covid-19 ha aumentato le disuguaglianze di salute: tra Nord e Sud del paese, tra centro e periferia, tra ricchi e poveri, tra più e meno acculturati. La soluzione potrebbe essere quella di un ministro della Salute con maggiori poteri e competenze, che possa veramente farsi garante dell’universalità e dell’equità dell’accesso alle cure. Credo che questo sia il momento di riflettere sul ruolo del Ministero della Salute al fine di rafforzarlo. Il Ministero della Salute, retto da Roberto Speranza, ha risorse non proporzionate rispetto al ruolo che sta svolgendo così efficacemente. Serve una modifica di legge che rafforzi le sue capacità di intervento, aumenti le disponibilità economiche e le sue funzioni al fine di colmare le diseguaglianze presenti nel Paese. Una riforma che potrebbe avere importanti ripercussioni anche per la formazione dei medici. Occorrono adesso una programmazione a lungo termine e un ruolo forte del ministro della Salute come punto di riferimento per eliminare le disuguaglianze nel nostro Paese.

Arriviamo al tema dell’aggiornamento. Questo è un virus che ha modificato l’approccio terapeutico negli ospedali, e oggi sembra non ci sia nemmeno il tempo di confrontarsi e aggiornarsi sulle tempistiche. Lei che ne pensa? Come vi state muovendo?

Da una parte, possiamo dire che il migliore aggiornamento i medici lo abbiano fatto sul campo. E questo è stato riconosciuto anche dal Parlamento, che ha esentato i professionisti sanitari dall’obbligo Ecm per quest’anno.

Dall’altra parte, la Fnomceo ha continuato ad aggiornare i suoi iscritti, proponendo diversi corsi sul Covid. Il primo in assoluto, primo anche in Italia, fu quello proposto da Roberto Stella, responsabile della formazione e scomparso proprio per il Covid l’11 marzo scorso. Tale corso è stato anche oggetto di un articolo sul Bmj, il British Medical Journal.

Altro punto è l’esistenza di medici che appoggiano le tesi negazioniste e che minano il lavoro di chi è in prima linea. Come si comporta l’Ordine? E lei personalmente che cosa prova quando si trova davanti un medico negazionista?

Grande amarezza: dopo tutto quello che abbiamo passato, è inconcepibile che ancora ci sia chi nega l’esistenza del virus, dell’epidemia. E se a farlo è un medico è doppiamente grave. Verso questi colleghi, ove si ravvisino comportamenti contrari alla deontologia, stanno intervenendo gli Ordini territoriali, che sono competenti e autonomi per l’azione disciplinare. La Fnomceo, da parte sua, cerca di trasmettere un’informazione trasparente corretta e aggiornata sulle evidenze che via via emergono anche ai cittadini, con il portale ‘Dottore, ma è vero che?

Diverso è il caso delle controversie tra scienziati, che, dall’alveo scientifico, si sono trasferite sulla ribalta mediatica. Tutti hanno la loro parte di ragione, ma nella scienza un’opinione, un’intuizione diventa un’evidenza solo dopo le necessarie sperimentazioni. Se il dibattito tra pari è utile e costruttivo, facendo nascere nuove idee, l’eccessiva spettacolarizzazione rischia di disorientare il cittadino, rendendolo meno consapevole quando deve fare scelte che riguardano la sua salute. L’invito a tutti i colleghi è quindi quello di abbassare i toni, riportando il dibattito nei suoi naturali confini.

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