L’anestesista e rianimatore Felice Spaccavento: “Il futuro? Una sanità nazionale supportata dalla telemedicina”

by Lia Mintrone

“Quando tutto sarà finito, nessuno di noi sarà più lo stesso, e neanche la sanità potrà più essere la stessa. Il futuro è la telemedicina e una sanità unica statale”. Ne è convintissimo l’anestesista e rianimatore Felice Spaccavento, coordinatore dell’Unità Cure Palliative della Asl Bari, in prima linea in questa lotta senza sosta al Covid-19.

Medico molto amato e molto seguito anche sui social, uno dei primi a lanciare il famoso hashtag  #restiamoacasa. Tra le innovazione al vaglio del Dipartimento della Salute della Regione Puglia, e del presidente Michele Emiliano, anche la sua proposta, quella della telemedicina applicata alla cura del coronavirus. In sostanza, no agli ospedali lazzaretti, sì alle cure domiciliari.

Dottor Spaccavento, lei da subito ha parlato di una errata visione ospedalocentrica dichiarandosi apertamente contrario all’ospedalizzazione di massa. Perché?

Perché penso che gli ospedali siano stati, e lo siano tuttora, i punti più deboli  e più pericolosi in cui gestire questo tipo di infezione.  I motivi sono parecchi, in primis il fatto che, soprattutto all’inizio, il personale fosse giustamente impreparato, nessuno era abituato e dunque pronto ad affrontare una emergenza di tale portata

E poi si è scatenato l’inferno

E poi è scattata un’emergenza nell’emergenza, da una parte la difficoltà a reperire i Dpi da parte di medici e infermieri e dall’altra il riscontro che, anche chi li utilizzava, il più delle volte lo faceva in modo sbagliato. Non tutti siamo esperti nella gestione della protezione, molti non hanno eseguito la procedura giusta che avviene in due momenti precisi, quando ti vesti e quando ti spogli. In queste due fasi il rischio contagio può essere altissimo. Mi sono confrontato con tanti colleghi e, purtroppo, quelli che si sono infettati hanno mancato alcuni passaggi, lo hanno ammesso loro stessi. Però, a loro favore, va detto che durante un’emergenza tutto questo può accadere, i tempi sono convulsi. Basti pensare ai primi casi di Covid-19 a Codogno, il personale che soccorreva la gente infetta era completamente sguarnito del presidio di protezione. Ed ecco che quegli errori hanno prodotto quella marea di contagi la cui gestione è diventata estremamente difficile.  Le bombe epidemiche più importanti si sono scatenate proprio negli ospedali, nei pronto soccorso. Da una parte non si era abituati, dall’altra ci sfugge qualcosa che ancora non sappiamo

Insomma, no agli ospedali lazzaretto

E certo, anche perché è evidente che la teoria degli ospedali come luoghi in cui si vince la battaglia contro il coronavirus è stata ampiamente smentita da quelle regioni in cui si sta facendo una battaglia territoriale e, infatti, i casi sono stati più contenuti.  Al nord ci sono già delle squadre speciali, le Usca, previste anche qui, che dovrebbero farsi carico di questi malati a livello domiciliare. I contagiati verrebbero isolati al proprio domicilio. Perché il vero problema sapete qual è? Che molti pazienti sono arrivati in ospedale dopo qualche giorno con i sintomi del virus, febbre e tosse, e quindi in condizioni più gravi. Se invece si fossero anticipate le cure a casa, si sarebbe impedito che la malattia si aggravasse e che il paziente andasse in rianimazione o in terapia intensiva. Invece, bisognerebbe procedere subito, a casa, con una terapia antivirale senza intasare gli ospedali

Ma gli antivirali vengono sperimentati, non danno certezza di guarigione

Beh, ci sono dei protocolli adottati da varie nazioni e abbiamo anche l’esperienza della Cina che ci aiuta. Si è visto che il kaletra, la clorochina o l’idrossiclorochina possono dare un miglioramento della sintomatologia se date in anticipo.  Così come si è visto che il tocilizumab ha una maggiore utilità quando il paziente inizia a peggiorare

Quindi, evitati gli ospedali focolai, che altro si può fare?

Il primo vero obiettivo è stare a casa. La prima e vera terapia è l’isolamento di tutti noi, solo così togliamo le gambe al virus. E poi, è necessaria la formazione di squadre speciali che aiutino i medici di base a gestire, a  domicilio, i fenotipi lievi e moderati della patologia. Ma, la cosa più urgente da fare è utilizzare le tecniche di telemedicina

Sarebbero?

Quelle tecniche che permettono il monitoraggio in remoto del paziente, si possono creare dei sistemi di monitoraggio a distanza in cui si ha una centrale operativa che  segue i pazienti a domicilio attraverso i  parametri vitali e che, chiaramente,  può essere attivata con degli allert della centrale.  In tal senso ci sono dei software che permettono di poter fare tutto questo tenendo a casa il paziente

E, infatti, voi avete presentato alla Regione Puglia proprio un progetto del genere

La Regione Puglia sta valutando una serie di progetti di telemedicina che sono stati presentati. Noi della Asl Bari abbiamo portato all’attenzione della nostra Direzione una nostra idea di monitoraggio e assistenza ispirandoci a modelli come quelli già messi in campo a Padova, Piacenza e Bologna

Sì, ma i tempi sono strettissimi, bisogna procedere celermente

Siamo in attesa che il Dipartimento della Salute vagli i sistemi operativi ritenuti migliori facendo tesoro dell’esperienza già fatta in merito da altre regioni.  La decisione sarà presa a momenti, il presidente Emiliano ha in mano tutte le strategie possibili ed è circondato dai migliori esperti per poter gestire sia l’aspetto ospedaliero che quello territoriale. In questo momento di grosse difficoltà, le mosse devono essere ben fatte, senza ansia, ma prendendosi il giusto tempo di riflessione. La telemedicina non solo aiuta nella fase acuta della malattia, ma avere un paziente monitorato a casa significa anche tante altre cose. Se la casa dove risiede quel paziente con il tempo da zona rossa si trasforma via via in zona verde, e così per le altre case, significa avere una mappatura fedele della situazione del territorio nel suo divenire che può portare a fare anche scelte di altro tipo, per esempio da dove iniziare con la ripresa delle attività. Se una zona è senza contagi può considerarsi più pronta di altre a riavviarsi

Comunque, lei ha parlato del fallimento delle sanità regionali, in cosa hanno fallito ?

Perché la sanità deve essere nazionale, non ci possono essere differenze tra le varie regioni. L’Emilia Romagna, ad esempio, a parità di popolazione della Puglia ha finanziamenti maggiori. La sanità deve avere un modello di gestione unico e non un’autonomia regionale. Un modello strategico, economico e di gestione unico affidato allo Stato, è il tempo di capire come favorire la sanità pubblica che in questo momento si riscopre fondamentale. La sanità deve avere uno sguardo lungimirante, si sono ridotti gli ospedali, ed  è giusto così, ma  ci sono pazienti che possono essere trattati benissimo in casa. Il futuro della sanità è questo, una sanità forte, ma non esclusivamente ospedaliera, e fortemente incentrata sul territorio

 L’epidemiologo Lopalco, chiamato da Emiliano per coordinare la task force regionale, ha cautamente detto che tra due settimane la situazione potrebbe essere più positiva. Condivide?

Partendo dal fatto che non sono epidemiologo, e considerato che per me Lopalco è sempre stato un mito e che ha fatto benissimo Emiliano a chiamarlo e riportarlo in Puglia, dico che le misure contenitive sono state fondamentali e devono essere ancora fondamentali. Niente sarà come prima, dobbiamo rinascere piano piano, lentamente, non possiamo far finta che non sia successo niente. Da oggi ai prossimi 15 giorni, le cose non devono e non possono cambiare, occorrono ancora comportamenti severi. Questo significa, tutti a casa

Quindi è d’accordo anche con il sindaco Decaro che ha ritenuto inopportuna la scelta del Governo di concedere l’uscita a un genitore con figlio

Assolutamente d’accordo con lui, l’uscita del Governo  è stata infelice. Sono padre di figli anche io e so quanto stanno soffrendo, ma io preferisco salvargli la vita. Mi rendo conto che ci sono situazioni particolari a rischio, come per i bambini affetti da autismo, ma in questo caso lo Stato o la Regione o i sindaci devono trovare dei percorsi per aiutare queste famiglie in modo regolamentato. Ma si tratta di una eccezione, non di una regola, e non può valere per tutti i bambini. Mi duole dirlo, ma occorrono misure ancora severissime di isolamento

Nulla sarà più come prima, ha ragione. Ma neanche la sanità potrà esserlo. Da dove bisognerà ricominciare?

Da anni mi batto per una visione diversa della sanità. La prima mossa da fare, quando tutto sarà finito, dovrà compierla Stato insieme con le Regioni facendosi affiancare da personale competente che possa dare consigli pratici su come si può migliorare. Il medico deve fare il medico, non il politico, ma la politica deve affiancarsi di persone competenti, di chi vive le corsie, di chi è a contatto con i pazienti.  Oggi c’è una politica che strilla ma che in realtà non  ha mai capito che per risolvere il problema dei pazienti bisogna vivere con loro e conoscere i percorsi più giusti. Il domani sarà quello dei medici di corsia, dei medici delle periferie, delle ambulanze, delle rianimazioni, dei pronto soccorso. Io quando torno a casa, la sera, ho addosso l’odore dell’ospedale. Questo non è il momento delle accuse ma dell’unità.  Bisogna prima vincere il Covid-19 e poi capire come possiamo uscirne. Sono convinto che da questa situazione abbiamo da imparare tante cose, è un evento negativo che si trasformerà in risorsa, lo dobbiamo ai nostri figli

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