«Non di sola anatomia è fatto un paziente». Musica dal vivo in sala operatoria: l’intervento record del prof. Roberto Trignani

by Andrea Giotta

Dove le parole non arrivano la musica parla”. Così come le sinfonie di Beethoven, autore di questa massima, parlano tutt’oggi all’interiorità di chi ascolta, la musica può penetrare molto più in profondità nell’animo umano, potendo raggiungere  l’elemento essenziale costitutivo di ogni essere vivente: la cellula.

Non solo le orecchie per accogliere il suono e il cervello per elaborare ogni singolo ritmo, ma anche le cellule umane possono essere sensibili all’emissione di note musicali.

Se poi a tutto questo si associa il potere terapeutico della musica stessa, si ottiene una miscela esplosiva. Quante volte ci è capitato di dire o di sentire “Canta che ti passa!”.

Un intervento chirurgico può tramutarsi in un concerto? La risposta è affermativa. Siamo nel reparto di Neurochirurgia degli Ospedali Riuniti  di Ancona.

Il professor Roberto Trignani, insieme a un’ equipe di 15 operatori, sta asportando una duplice massa neoplastica che dà fastidio alla colonna vertebrale di un piccolo paziente. Fin qui tutto ordinario, tra un passaggio di bisturi e una garza però, si sentono delle melodie che provengono dalla stessa stanza in cui si esegue l’intervento. È il pianoforte di Stefano Toso, biologo molecolare con la passione per la musica.

Un intervento unico nel suo genere che viene raccontato a bonculture dallo stesso dottor Trignani.

Le sale operatorie sono dotate di linee di diffusione  – rammenta il neurochirurgo – data la capacità della musica di distendere l’animo creando un clima di armonia che contribuisce ad abbassare il livello di tensione. Però il fatto che l’autore dei componimenti e la fonte sonora, un pianoforte, fossero a pochi metri dal personale intento a eseguire l’intervento questo è un aspetto innovativo e peculiare”.

L’autore è Emiliano Toso, un compositore e concertista che ha messo a disposizione il suo repertorio musicale.

Toso – specifica Trignani – produce musica  settata a 432 Hz, che è la frequenza con cui vibrano le nostre cellule. Abbiamo sistemato il pianoforte a circa un metro e mezzo di distanza da noi operatori sanitari, il cui lavoro, supportato dalla buona musica, viene ad essere massimizzato”.

Come è nata l’idea di portare la musica dal vivo all’interno della sala operatoria?

“Con l’esperienza lavorativa in ambito medico si può comprendere come non di sola anatomia sia fatto un paziente, ma presenti anche una componente fondamentale, imprescindibile per un medico: quella umana.

Nonostante viviamo in un’era che si contraddistingue per la sua tecnologicità, benchè vi siano moltissimi strumenti all’avanguardia per il trattamento delle patologie, si è però sempre alla ricerca di un rapporto medico-paziente, che permetta di andare a fondo, non fermarsi alla materialità, ma scrutare la componente immateriale di chi si assistite.

Così, ho sempre cercato qualcosa che mi aiutasse a scavare nell’animo dei pazienti. A questo proposito con gli anni ho visto nella musica un’energia positiva, uno strumento che più di ogni altro entrasse nell’interiorità interpersonale.

In occasione di un concerto svoltosi a Senigallia, le melodie di Toso catturarono la mia attenzione. Al termine dell’esibizione proposi al compositore l’idea di portare il pianoforte in sala operatoria. Lui accettò subito, con entusiasmo. L’operazione che ha coinvolto un bambino ci ha dato la possibilità di passare dalla teoria alla pratica”.

In cosa è consistito l’intervento?

“Nell’asportazione di una duplice massa neoplastica del midollo spinale di un giovane paziente. Con una tecnica mininvasiva, abbiamo potuto asportare le due masse. Il bambino, dell’età di dieci anni, si era presentato con forti dolori alla schiena che gli impedivano di riposare di notte e lo costringevano a passeggiare proprio per attutire il dolore”.

Avete verificato in precedenza l’efficacia della musicoterapia?

“Si, la notte precedente all’intervento, abbiamo fatto ascoltare al bambino, con delle cuffie la musica”.

Quali effetti ha sortito tutto ciò?

“Il bambino ha riposato senza problemi, nonostante il dolore avvertito nei giorni precedenti.

Prima, durante e dopo l’intervento abbiamo eseguito dei prelievi di sangue per andare a valutare gli indicatori relativi a stati di stress e infiammazione.

Adesso valuteremo i risultati, ma già abbiamo potuto notare come determinati parametri, si siano modificati in correlazione all’ascolto della musica. Nonostante fosse sotto l’effetto dell’ anestesia generale, il piccolo paziente percepiva la musica, questo lo abbiamo potuto rilevare andando a scrutare il tracciato elettroencefalografico, modificatosi in presenza e in assenza di musica.

A fronte di questi dati stiamo coinvolgendo l’Università Politecnica delle Marche al fine di poter studiare questa procedura, che potremmo riproporre qualora dovessimo avere conferma dell’efficacia degli effetti positivi che la musicoterapia produce”.

Che prospettive apre una particolare terapia come questa?

“Volendo percorrere la strada di una chirurgia sempre più vicina all’aspetto umano del paziente, questo sarebbe sicuramente un ottimo punto di partenza. In secondo luogo potrebbe essere uno strumento a basso costo con risultati clinici importanti”.

Lo scorso giugno lei ha operato una paziente al cervello, mentre preparava delle olive ascolane. Com’è stato possibile?

“La chirurgia da svegli è una diffusa tecnica standardizzata che ha come obiettivo quello di operare i pazienti mentre sono consci, al fine di poter migliorare la sicurezza dell’atto chirurgico. Poi, operando zone funzionali ed eloquenti  del cervello, occorre minimizzare le conseguenze dell’azione chirurgica.

Nel caso della paziente in questione è stato rimosso una massa tumorale dal lobo frontale sinistro del cervello. Ad essere coinvolte erano due aree: quella relativa alla motilità della parte destra del corpo e quella del linguaggio (area di Broca ndr). In questo modo, essendo la cucina una passione della paziente, abbiamo sfruttato questa attività preferenziale per verificare le funzioni cerebrali”.  

Che impatto ha avuto la telemedicina in era covid?

“Ha potuto aiutare nel gestire le distanza e ha consentito alla struttura sanitaria di raggiungere il paziente anche se esso non era ospedalizzato. Può essere uno strumento di diagnosi e colloquio. Piattaforme di collegamento e integrazione tra l’ospedale e il territorio, come quelle che sono state fornite quest’anno possono ridurre la permanenza in ospedale del paziente e consentire agli specialisti di comunicare più celermente per discutere i vari casi”.

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