“Non sarà l’ultimo spillover: più giocheremo con la natura, più questi eventi si ripeteranno”. Parla il prof. Danilo Russo

by Michela Conoscitore

Si è discusso spesso, ultimamente, del concetto di spillover, ovvero la trasmissione di un virus, in questo caso l’agente patogeno del Covid-19, dall’animale all’uomo. A tutt’oggi, pare che il progenitore del coronavirus in questione si trovasse nei pipistrelli: questo, probabilmente, passando ad un altro mammifero, forse il pangolino, ha poi cambiato struttura adattandosi all’uomo e diventando un problema per la nostra specie.

C’è un mondo da esplorare dietro il concetto di spillover, e bonculture per approfondire la questione ambientale, che ha innescato la pandemia del Covid-19, ha intervistato Danilo Russo, etologo, ecologo, professore associato del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, è uno dei massimi esperti europei proprio di pipistrelli.

Professore, innanzitutto, può chiarire il ruolo che i pipistrelli, e altre specie come il pangolino, additate come vettori animali del Covid-19, hanno avuto nella pandemia e che si dice avrebbero favorito lo spillover?

Nel caso dei pipistrelli, questa non è la prima delle epidemie legata a questo gruppo, tra l’altro sempre indirettamente. Quello che succede è che il pipistrello è serbatoio di una serie di virus che, in generale, non sono pericolosi per l’uomo. Se io convivo con i pipistrelli, non mi prendo il Covid-19, questa è una cosa da spiegare. Ma se creo una situazione innaturale, allora posso creare le situazioni per uno spillover. In certi paesi del mondo, tra cui purtroppo la Cina, c’è questa antica tradizione di consumare fauna selvatica, oggi esasperata dai grandi numeri. Purtroppo ciò sta avendo un impatto devastante sulla biodiversità mondiale, non solo cinese. Non dimentichiamo che, ad esempio, proprio i pangolini sono presi anche da altre aree tropicali e portati in Cina.

Cosa succede nei mercati all’aperto cinesi?

Negli ormai famosi mercati all’aperto cinesi, come il Wet Market di Wuhan, ci sono tantissime specie animali differenti, tenute insieme nelle condizioni igieniche più disastrose, spesso macellate in situ dove i visitatori vengono a contatto con ogni sorta di liquido organico. Agendo così, innanzitutto, si sta creando una situazione che in natura non si riscontra perché è un cocktail biologico senza precedenti, e si mette su una sorta di laboratorio virologico all’aperto. Non vorrei mettere la croce sulle spalle dei cinesi, perché non c’è popolo sulla faccia della Terra che non possa vantare un rapporto pessimo con la natura, però effettivamente nel caso specifico, questa abitudine molto spinta di consumo di fauna selvatica, che va a depauperare non solo la biodiversità cinese, ma anche quella di altri paesi da cui le altre specie sono importate, ha dei risvolti anche di tipo sanitario pericolosissimi. Stiamo proseguendo a cacciare e mangiare fauna, e a compromettere la natura, e uno dei rischi è che stiamo giocando con l’evoluzione dei virus e la loro capacità di trasformarsi e attaccare la specie ultima in cui si trovano.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità dovrebbe proibirli questi mercati, secondo lei?

Assolutamente sì. La Cina ha stabilito un bando permanente sulla vendita di fauna selvatica. Purtroppo però il consumo tradizionale è una cosa difficilissima da rimuovere dalla cultura della gente. Basti pensare al consumo illegale dei datteri di mare che è molto diffuso nel nostro sud Italia: per pescarli, l’uomo distrugge gli ambienti rocciosi sottomarini con i martelli pneumatici, provocando dei danni devastanti. Il consumo illegale di questi frutti di mare è ancora molto diffuso. Lo dico sempre ai miei studenti, perché altrimenti sembra di puntare il dito solo contro i cinesi quando anche noi soffriamo delle stesse problematiche antropologiche. Sicuramente adesso bisognerebbe intervenire sul traffico di specie esotiche, innanzitutto, sulla caccia, sul consumo, tutti questi comportamenti vanno attentamente corretti perché questo non sarà l’ultimo spillover: più ‘giocheremo’ con la natura, più questi eventi si verificheranno.

Come avviene la trasmissione del virus da animale a uomo?

Il primo problema da chiarire è come sia passato da un pipistrello ad un pangolino, perché i pangolini non mangiano i pipistrelli. L’unica spiegazione logica che riesco a darmi è che i pipistrelli vengono mangiati dai cinesi come i pangolini, e questi animali si trovano spesso insieme nei loro mercati. È chiaro che in questo contatto artificioso e innaturale in cui questi animali vengono macellati, l’uomo ha creato la possibilità che il virus si sia trasmesso dal pipistrello al pangolino, per passare poi alla nostra specie. Ho letto in un articolo scientifico di qualche giorno fa, che hanno analizzato i coronavirus in carichi di pangolini che venivano illegalmente importati dal sud-est asiatico, e hanno notato che i coronavirus fossero molto simili a quello del Covid-19. Quindi, forse, questo contagio non è nemmeno iniziato a Wuhan ma l’evoluzione virale è cominciata in Malesia, dove purtroppo si caccia molta fauna selvatica. Come sia avvenuto è poco chiaro, ma è indubbio che sia colpa dell’uomo. A noi uomini piace molto trovare un capro espiatorio, questa volta è toccato al pipistrello.

Professore, perché proprio i pipistrelli?

Lei ricorda l’influenza aviaria?

Sì, certo.

L’incubo degli uccelli l’abbiamo mai avuto?

No, solo in quel caso mi pare.

Ecco, perché noi da sempre diamo agli angeli le ali da uccello, e ai demoni le ali da pipistrello. Quindi nell’immaginario collettivo il pipistrello, un animale gotico, elusivo, notturno, per millenni associato col male è perfetto, è il capro espiatorio ideale in una situazione di questo tipo. Non dico che il pipistrello non abbia avuto un ruolo in questo fenomeno, ma in realtà il deus ex machina dietro tutto questo è sempre l’uomo. Quello che le posso semplicemente dire è che noi, oggi, stiamo pagando i nostri errori nella gestione dell’ambiente. Il problema non sono gli animali, o che una specie possa ospitare un’enorme diversità di virus, o pochi di essi. Il problema è che quando io altero il mio rapporto con la natura, e lo gestisco male come sta facendo l’uomo contemporaneo, mostro il fianco ad una serie di rischi che sono anche di tipo sanitario. Stiamo contemporaneamente facendo i conti con gli effetti terribili e devastanti del cambiamento climatico, che saranno sempre peggiori, e che ovviamente sono strettamente correlati alla gestione umana dell’ambiente.

Perché questa pandemia è più pericolosa?

Sicuramente per la contagiosità. Credo, però, che il grado di virulenza del ‘progenitore’ del virus fosse diverso nel pangolino e nel pipistrello. Perché una volta che il virus muta e fa uno spillover, nella nuova specie ha un comportamento completamente diverso.

Può illustrare le dinamiche alla base del funzionamento di un ecosistema e dei suoi abitanti?

Gli ecosistemi sono dei sistemi, spesso molto complessi, in cui tantissime specie che vanno dai virus ai batteri, alle piante, agli animali hanno una storia di convivenza comune ed è un po’, come se nel tempo, grazie al processo evolutivo, il loro ruolo si sia assestato all’interno di rapporti reciproci che sembrano costruiti ad arte, ma che in realtà sono il frutto di una convivenza che è andata avanti per milioni di anni. Quindi gli ecosistemi sono ‘macchine ecologiche’ molto complesse, in cui le componenti agiscono tra loro in maniera molto armonica, finché l’uomo non le scompensa.

Come reagisce un ecosistema, magari incontaminato, se viene attaccato dall’uomo?

Gli ecosistemi sono privi di morale, rispondono semplicemente alle leggi della natura. Se l’uomo li attacca eliminando una specie animale, deforestando, canalizzando o cementificando la sponda di un fiume, prelevando una risorsa in maniera insostenibile, inquinando, guasta il loro equilibrio. Le risposte possono essere le più disparate: sostanzialmente, la natura potrebbe farci venire meno una serie di risorse che per noi sono fondamentali. Per esempio, in Italia peschiamo tantissimo, e spesso i prodotti ittici in vendita provengono dall’estero proprio perché il quantitativo di pesce del nostro mare non è più quello di prima, e la nostra richiesta insostenibile. Quindi, l’ecosistema reagisce in base all’insulto che ha subito dall’uomo. Nel caso del Covid-19, abbiamo ricevuto dalla natura una risposta abbastanza sofisticata e tragicamente elegante, perché è una risposta evolutiva, che è la produzione di una nuova entità, un virus che ci attacca e purtroppo, uccide.

Professore, lei potrebbe parlare a discolpa di tutti gli animali del globo, immagino: appurato quindi che la trasmissione dei virus, da animale a uomo, è stata provocata dalla manomissione umana degli ecosistemi, quanto incide l’urbanizzazione?

Negli ultimi anni il problema delle zoonosi e degli spillover sta aumentando, per una serie di ragioni: il consumo che noi in passato avevamo di fauna selvatica, in certe regioni del mondo, era un consumo tradizionale e legato a popolazioni relativamente più limitate. Oggi con l’espansione umana fuori controllo, siamo quasi otto miliardi sul pianeta, e praticamente questi fenomeni si sono amplificati a dismisura. Se noi non correggiamo questo, siamo sistematicamente e statisticamente esposti in futuro a problemi come quello del Covid-19, che saranno sempre più frequenti. Il consumo degli ambienti naturali, la frammentazione degli habitat forestali, il fatto che le aree urbane si stiano espandendo dentro quelle che un tempo erano ambienti abitati esclusivamente da flora e fauna, creano un’interfaccia completamente innaturale tra uomo e natura, in cui problemi di questo tipo sono più probabili, più verosimili. Noi viviamo negli ecosistemi, e degli ecosistemi, e spesso la nostra condizione di ‘animali urbani’ ci fa dimenticare che dipendiamo in maniera vitale dalla natura: essa ci fornisce una serie di servizi ecosistemici da cui il nostro benessere dipende in maniera sostanziale. E noi stiamo esagerando su come stiamo trascurando questo concetto fondamentale.

Questo periodo di quarantena, e quindi la parziale e momentanea assenza delle attività umane, sta dimostrando che l’ambiente ci sta guadagnando in salute. L’epoca in cui viviamo è stata definita da molti Antropocene, l’uomo al centro di tutto. Come ha affermato lei, l’uomo in fin dei conti è un animale come gli altri che popolano il pianeta: quindi, pensa che la specie umana dovrebbe ridimensionare il suo impatto sulla Terra, anche per scongiurare altre epidemie?

Io l’uomo non lo metterei al centro: l’uomo è seduto sul ramo che sta segando. Oggigiorno non c’è una dinamica naturale che non sia influenzata dall’uomo. È un momento senza precedenti, l’essere umano sta modificando il pianeta come nessun’altra specie animale aveva mai fatto finora, e sta determinando una sesta estinzione di massa. Ci è voluto un asteroide per sterminare i dinosauri, ma noi stiamo facendo benissimo anche senza asteroide, tra l’altro in tempi estremamente brevi. Abbiamo un duplice problema: da un lato non modifichiamo il nostro rapporto con la natura e con le risorse naturali, che sembra più o meno invariato da decenni, come se non ci rendessimo conto del disastro a cui stiamo andando incontro. Dall’altro, abbiamo una popolazione umana che cresce in maniera esponenziale, che manifesta le stesse esigenze di chi l’ha preceduta. A mio avviso, ricordarci che facciamo parte degli ecosistemi in quanto animali, ci porta a ritrovare quell’equilibrio che abbiamo perso. Dovremmo modificare i comportamenti individuali, dovrebbero essere attuate politiche sostenibili in tema ambientale da chi ci governa, e poi dovremmo de-carbonizzare l’economia, interrompere la deforestazione. Se ci pensa, gli ultimi mesi sono stati devastanti: incendi in Amazzonia e Australia, che ha perso gran parte del patrimonio boschivo, adesso una pandemia; se lei mette insieme tutti questi elementi il quadro è veramente sconcertante. L’economia è messa al centro delle problematiche planetarie, la gente deve campare, però non può diventare un pretesto, l’alibi per continuare a fare come ci pare rispetto alla natura perché perderemo anche in termini economici. Il sistema scompensato che stiamo determinando sarà anche economicamente improduttivo.

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