Paura, ansia, panico, insonnia,depressione. Tutto quello che sta scatenando il Covid-19. Il neurologo Pirolo ai colleghi medici: “Attenzione a quello che dite, meno protagonismi e più cautela”

by Lia Mintrone

Paura di tornare a una presunta normalità, paura di ammalarsi, paura di contagiarsi, paura di qualsiasi contatto, paura di uscire di casa. E poi, ancora, ansia, inquietudine, attacchi di panico, insonnia, paura del futuro. Fino alla depressione. Lo avevano previsto, ci siamo arrivati. Il Covid-19 ci ha strappato tante cose, ma prima di tutto noi stessi. “Nulla  e nessuno sarà più come prima” sembrava una frase ad affetto pensata da qualche buontempone catastrofista. E invece, a quasi due mesi dal lockdown, da quello storico momento che ha cambiato il mondo, ognuno di noi sta facendo i conti con se stesso, chi meglio, chi peggio.

Eppure, è stato proprio nel momento in cui hanno allentato i chiavistelli delle nostre prigioni domestiche che abbiamo avuto paura di lasciare quel nido che prima ci è sembrato stretto e che per molti di noi, oggi, è l’unico posto in cui ci sentiamo al sicuro.  Se esiste una sindrome del detenuto, è esattamente quella che molti di noi stanno vivendo. Cosa ci è successo? Torneremo quelli di prima? Torneremo a dormire, a non avere paura anche dell’aria? Torneremo, semplicemente,  a vivere? Lo abbiamo chiesto al dottor Mimmo Pirolo, Neurologo Asl Bari e Istituto Oncologico ‘ Giovanni Paolo II’ di Bari .

Dottor Pirolo, la paura è stata una silente e fedele compagna della quarantena. E fin qui, ci sta. Ma il problema è che  lo è anche oggi, alla fine del lockdown. Abbiamo paura di uscire dal nido, di uscire di casa. Vorremmo sentirci sicuri, ma non ce la facciamo. Che dobbiamo fare?

Senza dubbio la paura è stato il sentimento dominante, quello che ha causato quasi tutte le manifestazioni cliniche che in queste settimane hanno spinto molte persone a consultare il medico di fiducia o lo specialista. In questo periodo abbiamo ricevuto tante telefonate di pazienti che avevano bisogno anche solo di sentire parole rassicuranti, di essere rasserenati. Nelle prime settimane c’era soprattutto la paura del contagio, la paura di essere stati “infettati”. Poi si è manifestata anche una sensazione claustrofobica legata al confinamento obbligatorio in una abitazione,  al venir meno della libertà di uscire,  di fare le cose normali,  di incontrare chi si vuole e quando si vuole. Penso soprattutto a contesti familiari ad alta densità o ad alta conflittualità; qui si è sviluppata o accentuata molto la percezione di un disagio claustrofobico. Ma la paura è lo stesso  sentimento che continua a interessarci anche adesso che abbiamo qualche margine di libertà  in più. C’è la paura di essere contagiati da altri, la paura dell’altro, di chi incontriamo, anche delle persone che appartengono all’entourage amicale o familiare.

Già, il mondo è ostaggio della paura, abbiamo anche paura di avere paura

Certamente questa paura è stata in qualche modo esasperata perché la pandemia ci ha dato la percezione della vulnerabilità del nostro mondo. Eravamo abituati ad essere liberi , magari ci sentivamo anche invincibili, e invece ci siamo resi conto che una condizione di emergenza ci ha reso improvvisamente più vulnerabili, più deboli di quanto credevamo, ci ha improvvisamente mostrato la nostra fragilità, la fragilità del nostro mondo.

C’è un modo per sconfiggerla questa paura?

Anche in questo caso non è possibile generalizzare,  esistono vari livelli di paura. C’è una paura normale e c’è una paura che può assumere connotati patologici che può portare a comportamenti che traducono uno sfondo nevrotico. Un esempio può essere quello del lavarsi le mani. Ci sono persone patofobiche , quelle che hanno paura di contrarre malattie, che già normalmente sono solite lavarsi le mani anche venti, trenta  volte al giorno perché hanno paura di contatti con agenti dannosi per se stessi. Una condizione estrema come quella della pandemia può portare a comportamenti anche di rifiuto totale  dei contatti con altre persone. In questi casi estremi può essere necessario il trattamento farmacologico con farmaci che agiscono in modo più globale su disturbi emotivo-affettivi. Mentre in alcuni casi può essere sufficiente un intervento mirato a placare lo stato di ansia, in altre situazioni più critiche potrebbe essere necessario ricorrere ad antidepressivi o tranquillanti maggiori. 

Ma se una persona ha paura di uscire di casa che deve fare? Deve considerarsi un soggetto patologico?

No, lo possiamo considerare in sentimento abbastanza normale. L’evitamento fobico invece è un passo più lungo verso la patologia ed è questo che va evitato. Un conto è avere paura di lanciarsi con il paracadute, un conto è avere paura di andare a buttare la spazzatura. In quest’ultimo caso il paziente, aiutato dallo specialista, prende coscienza di aver una paura eccessiva perché altrimenti, in una condizione di isolamento  sociale, è convinto di avere un atteggiamento giusto. Va preso atto dell’entità eccessiva del proprio sentimento di paura .  La paura di entrare in un supermercato è fisiologica , ma va fatto capire al paziente che, se prende le giuste precauzioni, non si contagia e quindi può superare la sua paura.

Ma la paura è diversa dal panico? In questo periodo sentiamo molto parlare di attacchi di panico e si fa una gran confusione

L’attacco di panico è una condizione clinica molto precisa , non è semplicemente una grande paura. E’ un’ansia acuta gravissima associata alla percezione di morte imminente o comunque di una grave malattia acuta.

Quali sono i sintomi?

Sono molto precisi, sono manifestazioni neurovegetative come la sudorazione, la tachicardia, le parestesie agli arti (formicolii),  l’iperventilazione,  il blocco del  movimento delle mani. E’ evidente che tutto ciò non può essere considerata  semplice paura,  non è che uno ogni volta che ha molta paura ha un attacco di panico.

Che fare se si accusano questi disturbi?

Ovviamente c’è la terapia farmacologica. Alcuni pazienti sono già in terapia farmacologica per disturbi emotivi e in questo periodo di isolamento sociale richiedono, e necessitano,  un adeguamento della terapia. In altri casi va avviato un  trattamento ex novo, ma in questo caso è indispensabile un colloquio e una valutazione clinica classica, il telefono non basta. Poi è chiaro che c’è anche il trattamento psicoterapeutico che, comunque, è una terapia più lenta  e che rispetto ai farmaci richiede più tempo per essere efficace. Ma so di parecchi pazienti che in questo periodo stanno facendo sedute sulle piattaforme digitali.

I suoi pazienti  cosa le stanno chiedendo di più?

Riscontro molte ripercussioni sul tono dell’umore con la comparsa piuttosto frequente di una vera e propria depressione con apatia, anedonia , la tendenza  a  lasciarsi andare nella cura di sé, la perdita di interessi. Ma anche in questi casi non si può generalizzare. L’umore depresso per un evento così grave e planetario non va considerata sempre una patologia, è una reazione normale. Ciò che lo rende patologico è la sua intensità, il suo associarsi a disturbi come perdere completamente l’appetito, non voler parlare con nessuno, non riuscire a provare piacere, perdere ogni interesse, avere una visione catastrofica del futuro e tanti altri sintomi che rendono molto scadente la qualità della vita. Allora possiamo parlare di depressione nelle sue varie forme e ricorrere agli interventi terapeutici necessari. Anche in questo caso le strade da seguire sono due, o quella farmacologica o quella psicoterapeutica. Dico questo per evitare che qualcuno pensi che ogni volta che ci si sente tristi si è depressi. La tristezza fa parte della vita, non tutte le tristezze sono depressioni, e anche una semplice chiacchierata con il medico può dare una mano. Infatti, la domanda che più mi rivolgono in questo periodo è ‘ Dottore, è normale che io stia così?”

Era stato previsto che il Covid -19 sarebbe stato un terremoto anche emotivo,  e sta venendo fuori  con tutta la sua forza. Non abbiamo la sfera di cristallo, non sappiamo fino a quando vivremo in questa strana situazione, me lei riesce a immaginare in prospettiva cosa accadrà?

Sono situazioni che lasciano il segno, il primo è quello che dicevo prima, la percezione della vulnerabilità, della fragilità del nostro benessere normale che, quasi certamente, non  apprezzavamo in condizioni normali. Sicuramente questa pandemia ha ridotto molto la sicurezza nelle nostre capacità e sono certo che ci condizionerà anche nei mesi a venire , sperando che siano più tranquilli. Ma pensando alle conseguenze future di questa pandemia c’è un’altra considerazione che  mi allarma di più.

Quale ?

Sono allarmato soprattutto per i giovani,  loro sono quelli che più di noi sono portati ad avere relazioni umane non dirette ma mediate da uno strumento elettronico, che sia un computer o uno smartphone.  Ecco, penso che una condizione come questa di allontanamento sociale non possa che incoraggiarli ad avere rapporti  interpersonali sempre più distanti . E’ come se fosse stata data una spinta  fortissima a una riduzione delle relazioni interumane come noi le intendiamo.

Ricorda l’hikikomori, il fenomeno che colpisce i ragazzi giapponesi  che si chiudono in casa

Beh, da noi è un fenomeno ancora poco diffuso. Per quanto ci riguarda, una condizione del genere è sempre  collegata a gravi malattie mentali di tipo psicotico e non a comportamenti  generazionali.

All’inizio  della pandemia sembrava che  la solitudine potesse essere una nuova e buona compagna di viaggio per conoscerci meglio, in realtà non si è rivelata così buona

La pandemia l’abbiamo sentita tutti addosso, anche se in modo diverso. Qualcuno ha  sentito accentuarsi i propri sintomi ansiosi o depressivi, altri no. C’è sicuramente anche chi ha sfruttato bene questo strano e straordinario periodo per riscoprire il piacere di attività che, in tempi normali, non si riescono a svolgere. Penso a chi ha approfittato per leggere libri, per dedicarsi a hobby, all’ascolto semplice della musica, al suono di uno strumento o alla visione di film. Comunque, anche la noia, quella che in molti hanno e stanno provando, può essere un sentimento positivo perché dà la possibilità di pensare, di riflettere con più tranquillità, aspetto spesso tralasciato.

Solitudine, noi, tutta roba che può fare male…

Certamente, ma ripeto,  non dobbiamo pensare solo alle manifestazioni chiaramente patologiche, ma anche a tutti quei risvolti positivi.

Ne ha contezza?

Ne sono certo, e si possono provare pur  vivendo la paura del contagio.

Forse perché sono chi trova questi risvolti positivi è più stabile di mente?

Dobbiamo provare a convincerci di una cosa: se rispettiamo le regole, quelle delle protezioni obbligatorie, si può riprendere a vivere senza provare angoscia e senza avere paura di uscire di casa.

In tanti stanno soffrendo di insonnia, altra compagna di questa quarantena non proprio benevola

È solo un sintomo. L’insonnia primitiva, quella che non  è legata ad alcuna patologia, è molto rara. In casi come questo della pandemia molte persone manifestano la loro preoccupazione anche  con l’insonnia. La cura più corretta per l’insonnia è curare ciò che la genera, non dare il sonnifero. Quando abbiamo  un’insonnia situazionale possiamo usare dei sintomatici  che aiutano ad avere un sonno più simile a quello fisiologico. Ma la durata del trattamento è limitata nel tempo , può durare venti giorni al massimo ,e poi lentamente la terapia  va ridotta fino ad eliminarla. Se l’insonnia persiste c’è un disturbo di fondo che va individuato e curato.

Dottore, tutti questi cedimenti emotivi , in fondo stanno facendo venire a galla l’uomo nella sua nudità e umanità. Tutti aspetti che tendiamo a voler coprire o camuffare nella vita ordinaria

Ma noi siamo umani, non siamo i padroni  del mondo, è  bastato un organismo microscopico per mettere in crisi il nostro modus vivendi. Tutte quelle possibilità che ci siamo create sono venute meno improvvisamente e ci siamo scoperti fragili, non imbattibili, vulnerabili. Ed è una vulnerabilità non solo individuale ma collettiva  che ha finito con l’investire anche tutto quello che ciascuno ha costruito. 

Scoprirsi umani e vulnerabili, una conquista o una delusione?

Per certi versi è una conquista, ci porta a rivalutare la normalità, non solo dei sentimenti, ma della vita di ogni giorno. Ma certamente, tutto ciò ha ripercussioni negative sulla nostra autostima, ci sentiremo più deboli e meno forti, meno padroni del mondo.

Lei pensa che questa condizione, nel lungo tempo, possa scatenare varie patologie ?

Molto di quello che doveva scatenare, da un punto di vista mentale, lo ha già scatenato. Però, attenzione, l’uomo ha capacità di adattamento, ed è quello che sta già avvenendo. Una convivenza  con  una serie di limitazioni fino a poco fa ci sarebbe sembrata impossibile. E invece, molti hanno già avviato un compromesso con la realtà,  hanno già elaborato una condizione di privazione. Di fatto stiamo praticando ciò che ci sembrava impossibile: uscire con la mascherina, usare i guanti, fare la coda al supermercato, non abbracciare nessuno, non baciare nessuno, mantenere il distanziamento sociale. Tutte cose che fino a due mesi fa, soltanto a immaginarle, ci avrebbero fatto avere una crisi di nervi. E, invece, eccoci qua. E  ci adatteremo  anche a una condizione di precarietà, riusciremo a conviverci. Non potremo dire di vivere bene, ma lo faremo.

Eccolo qui il famoso uomo che altro non è che un animale abitudinario

Certo, ci si abitua a tutto. Ci abitueremo alle distanze nei ristoranti,  nei bar , eppure torneremo a sorridere e a scherzare.  La paura resterà, per mesi e forse per anni. Per ora stiamo provando a sconfiggere il Covid-19, ma si teme che un altro virus potrebbe scatenare un’altra pandemia fra uno, due o dieci anni. Ma ci adatteremo e faremo la nostra vita, speriamo nel modo più simile a quello che abbiamo fatto fino a due mesi fa.

Lei, qualche giorno fa, ha scritto un post su Facebook su quello che sta avvenendo sui social. Senza alcun titolo, tutti si sentono virologi, epidemiologi, pneumologi, scienziati, farmacologi . Un uso smodato e improprio di conoscenze delle quali non si conosce l’origine. Stiamo tutti a casa, tutti sentono di dover scrivere, anche in maniera compulsiva e ovviamente inesatta

Ci stiamo abituando anche a questo , a comunicare tutto quello che ci viene in mente e a condividerlo sui social. E non riguarda solo i giovani, anzi. In una situazione come questa c’è più tempo per stare sui social, ma  il rischio è che ci siano delle informazioni  interpretabili che possono avere grosse ripercussioni negative. Chi non è in grado filtrare ciò che ascolta su argomenti così specifici può andare incontro a grossi abbagli. Ognuno vuole dire la sua, con  la certezza che il suo pensiero sia quello giusto. Quindi, il complottista abbraccerà l’idea del complotto cinese,  e così via. Ed  ecco che tutti, senza alcun titolo, valutano se un farmaco possa funzionare o no, se un virologo sia attendibile oppure no. Insomma, sappiamo tutto di tutto, e invece il rischio di prendere cantonate è enorme.  C’è anche da dire che, in questo periodo, spesso ci si imbatte in tanti esperti , e mi riferisco ai miei colleghi medici, a volte animati da protagonismo, che secondo me dovrebbero usare molta più cautela quando parlano ed esprimono le proprie opinioni sapendo che in quel momento stanno raggiungendo milioni di persone. Tutto questo alimenta le paure e le incertezze, non si sa più a chi credere e, alla fine, crediamo a quello il cui pensiero è più vicino al nostro e perdiamo fiducia negli scienziati che troppo spesso si contraddicono. I medici che si stanno occupando del Covid-19 dovrebbero essere più cauti nelle loro affermazioni, occorre una maggiore collaborazione tra i medici stessi, e invece si tende a una esaltazione del sé, del proprio Istituto di ricerca o della propria Università senza pensare che è solo attraverso la collaborazione tra le varie equipe che si possono avere i migliori risultati.

E’ evidente che stiamo assistendo anche a una kermesse di medici afflitti da ego ipertrofici

C’è molto narcisismo e ipertrofia dell’ Io  anche nel volersi attribuire meriti  che forse sarebbe più giusto che si condividessero con altri.

Il Covid-19 ha fermato il mondo sanitario, tutti gli altri malati hanno dovuto fare un passo indietro. Lei lancia un grido di allarme, milioni di persone hanno bisogno di essere ugualmente e giustamente curate, non si può più attendere

Esatto, è un’emergenza nell’emergenza. Noi abbiamo avuto circa 200mila pazienti malati di coronavirus, ma abbiamo dovuto trascurare milioni di malati cronici che sono stati messi da parte, che non hanno avuto accesso né ad ambulatori Asl né a visite domiciliari. Non è un caso che ci sia stato un aumento di morti per infarto o ictus, perché la gente non voleva o poteva andare negli ospedali, e restando a casa si è trascurata. Ora che torneremo ad occuparci di questi  milioni di pazienti troveremo quadri molto compromessi, pazienti trascurati che andranno riequilibrati nelle terapie per le  patologie croniche. Penso ai malati di Parkinson o di Alzheimer che non hanno potuto accedere semplicemente agli ambulatori di medicina specialistica e che adesso sono fortemente scompensati nelle loro patologie. Lentamente dovremo ricompensarli, ma non sappiamo neanche quando. Ci hanno preannunciato che dovremo ricevere un paziente ogni ora, questo significa che le liste di attesa si triplicheranno. Si tratta di un problema sanitario estremamente importante, i cronici sono tanti , avremo un arretrato che nel nostro caso non riguarderà scartoffie accatastate sulle scrivanie, ma un arretrato di vite umane da riportare a livelli accettabili di salute.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.