Tutte le mutazioni e le nuove famiglie (inglesi e non) del Covid, che mira a sopravvivere nell’essere umano

by Andrea Giotta

È stata ribattezzata “VUI-202012/01” (Variant Under Investigation Year 2020 month 12 variant 01), la mutazione del Sars-Cov-2, che ha costretto a nuove misure di protezione il Regno Unito, lasciando col fiato sospeso il resto del globo terrestre. Questa sigla indica proprio la prima variante scoperta nel dicembre 2020, dal Covid-19 Genomics  (Cog-Uk), consorzio britannico deputato ad analisi, sequenziamenti e studi sul covid e delle sue varianti grazie al lavoro profuso da vari gruppi di ricercatori.  Le evidenze sono state riscontrate sul genoma, analizzato e sequenziato, di una porzione della popolazione britannica che aveva precedentemente contratto il virus.  I genomi sono utilizzati per identificare sia l’insorgenza delle mutazioni sia quali proteine ​​virali potrebbero influenzare.

La variante inglese, etichettata come B.1.1.7, comprende ben 17 mutazioni diverse. Per questo, rifacendoci a un termine anglosassone, “lineage” che significa ramo, si può parlare di un nuovo ceppo, di una nuova famiglia. A essere maggiormente rappresentata è la proteina spike, 8 mutazioni infatti la riguardano direttamente, nello specifico  6 sostituzioni e 2 delezioni, 4 invece riguardano ORF1ab, 3 ORF8 e 2 invece interessano la regione N. Dalla struttura molecolare del Sars-Cov-2 sappiamo infatti che, oltre alla glicoproteina di membrana spike (vocabolo il cui equivalente italiano è “spuntone”), è presente la proteina N che, associata all’RNA a singolo filamento (ssRNA) costitutivo del virus, ne aumenta la stabilità. Il gene ORF1ab invece codifica per proteine non strutturali, mentre ORF8 assume una particolare rilevanza  per interferire con il sistema immunitario dell’ospite, ovvero della cellula che subisce l’infezione.

Dall’immunologia e dal comportamento dei virus si sa che questo, a fronte di una risposta anticorpale da parte dell’organismo infettato, ha la capacità di produrre varianti diverse, perché replicandosi porta con se degli “errori” nel suo corredo genico che si trasformano nella produzione di nuove forme virali. Inoltre,  se gli anticorpi non sono più in grado di bloccare la nuova variante, essa viene prodotta in maniera preferenziale dal virus, così da eludere la risposta immunitaria.

Forme mutate del Sars-Cov-2 sono state identificate in oltre 1000 pazienti della parte orientale del sud dell’Inghilterra, nello specifico nella regione del Kent, già dallo scorso settembre.

In un report, pubblicato sul sito ufficiale del consorzio britannico COG-UK, sono presi in esami dati sull’impatto epidemiologico, frequenza delle mutazioni  e sul loro potenziale biologico e immunologico, che le mutazioni virali possano avere.

Il rapporto mostra come su 126.219 genomi di campioni positivi sequenziati, siano state individuate 1777 mutazioni.

 L’attenzione degli studi pubblicati su virological.org (Andrew Rambaut et al. Preliminary genomic characterisation of emergent Sars-Cov-2 lineage in the UK definied by a novel set of spike mutations), da un team di ricercatori tra i quali figura lo scozzese Andrew Rambaut,   è focalizzata sulla mutazione  N501Y, che interessa la regione RBD,  un dominio di legame che il virus utilizza per ancorarsi al recettore ACE2  umano, un enzima presente soprattutto a livello polmonare e cardiaco deputato nella conversione dell’angiotensina 2 in angiotensina 1, quindi di grande rilevanza nell’abbassamento  della pressione arteriosa, che rappresenta una sorta di lascia passare per il Sars-Cov-2 . La mutazione è causata da una sostituzione dell’amminoacido asparagina con la tirosina.

Questo consente alla proteina Spike di cambiare specificità per il recettore ACE2, eludendo quindi il riconoscimento da parte degli anticorpi. Questo tipo di mutazione è stata rilevata in topi utilizzati per la messa a punto di un vaccino. Benché sia responsabile di una maggiore virulenza e infettività, la mutazione parrebbe essere sensibile al vaccino.  Così come sfuggono al controllo anticorpale anche le mutazioni N439K, quest’ultimo emerso per la prima volta in Scozia nello scorso marzo e Y453F,  le quali interessano sempre  la regione RBD e hanno la peculiarità di aumentare l’affinità di legame con ACE2, mettendo fuori gioco anche gli anticorpi monoclonali. Un’altra mutazione, chiamata delezione 69-70 consistente in una  una perdita di amminoacidi, di una particolare regione dello “spuntone”, riconosciuta dal sistema immunitario. Mancando questa regione il sistema immunitario viene eluso, non riconoscendola. Questo meccanismo evidenziato da alcuni ricercatori delle Università di Cambridge, Londra e Glasgow e pubblicato sul portale per biologi biorxiv.org, (Recurrent emergence and transmission of a SARS-CoV-2 Spike deletion ΔH69/ΔV70)ha messo in luce come la mutazione fosse presente in sequenze geniche di tutto il mondo, con le prime evidenze in Thailandia e Germania lo scorso febbraio.  Ed è stata rilevata nei mesi scorsi nei visoni danesi. Conferisce resistenza agli anticorpi monoclonali. . Questo a sua volta è una sottostima del numero reale di infezioni. Altra mutazione  è la P681H, adiacente al sito di taglio (o clivaggio o scissione) della furina, un enzima che aiuta il virus a entrare nelle nostre cellule, nello specifico in quelle dell’epitelio respiratorio.Non solo spike.

Oltre a questo importante strumento che il virus utilizza, vi sono mutazioni che eliminano la proteina ORF8. Quello che si è constatato è che, grazie alla presenza di un codone di stop, ovvero un elemento che pone fine alla trascrizione genica di una proteina eliminandone di fatto la funzione, presente nel ceppo B.1.1.7 lo metta fuorigioco.  

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