«Se paghi il pizzo fai un danno alla città». L’appello delle associazioni di Foggia contro la quarta mafia

by Antonella Soccio

Che la Quarta Mafia sia un’emergenza nazionale è un dato di fatto. I crimini e le infiltrazioni mafiose del Comune di Foggia, dopo essere stati sottovalutati per anni, sono stati raccontati dai maggiori quotidiani del mondo e tradotti in un lungo dossier dall’Internazionale. A Palazzo Dogana per l’appello alla città delle associazioni legalitarie Libera, Fondazione Antiusura Buon Samaritano e Associazione Antiracket Fratelli Luciani molti cittadini avevano tra le mani o negli smarthphone quegli articoli e quella consapevolezza.

Eppure i due anni di commissariamento dell’ente, sciolto per mafia, sembrano trascorsi invano. Poche le riflessioni dei partiti e della società civile sulla ferocia e sulla penetrazione della Società foggiana nell’economia reale. Pochi hanno organizzato una reazione. Al contrario, come ha denunciato anche il procuratore della Repubblica Ludovico Vaccaro, spesso si sono levate più forti e diffuse le voci e le opinioni, interessate e intellettualmente fuorvianti, di chi minimizza o nega le capacità pervasive delle batterie, relegandole a mafia primitiva o addirittura “stracciona”, dedita solo al traffico di stupefacenti, all’usura e alle estorsioni e non agli appalti pubblici e ai grossi business.

A Tano Grasso è andato l’onere dell’autocritica di fronte a Daniela Marcone di Libera e agli imprenditori, che hanno denunciato le estorsioni: Alessandro Zito, presidente dell’associazione antiracket, Lazzaro Lauria e Raffaele Vigilante.

«Nell’azione di contrasto alla mafia a Foggia manca una reazione della società civile e in particolare da parte degli operatori economici- ha ammesso ancora una volta- È il punto dolente, abbiamo esperienze di grande valore e notevole rischio. C’è una realtà che si è esposta ma è assolutamente insufficiente e proprio per questo è una realtà a rischio, la loro esposizione è rischiosa. Perché non denunciano? Perché continuano a convivere pacificamente con una condizione di acquiescenza?», ha chiesto alla sala.

Secondo Grasso a Foggia esiste una «area di operatori economici completamente collusa».

«La cifra identificativa è la collusione- ha proseguito. c’è chi utilizza denari, chi ha scambi. Poi ci sono il gruppo più ampio degli operatori economici che senza che siano coinvolti ricave dalla convivenza col sistema una convenienza indiretta, ambientale e sostengono: “Questo costo mi ritorna”. Questo gruppo costituisce un target a cui guardare e qualche segnale si è avuto. Poi ci sono i sottomessi , i rassegnati, che non possono farne a meno non ricavano convenienze, ma per consuetudine continuano a pagare. Non per paura, perché è dimostrato che chi si oppone è al riparo dalla mafia. La nostra storia dimostra che l’associazione funziona. La paura è un elemento smontabile. Non partiamo da zero a Foggia, è innegabile il ruolo che la Fondazione antiusura ha in questa città e il ruolo che ha Libera e noi dell’Antiracket».

Serve un meccanismo che allarghi, ha ripetuto Grasso.

«Se i risultati piccoli non si allargano anche loro rischiano di perdersi. A noi serve l’opinione pubblica. “Se paghi il pizzo fai un danno alla città”. Aiutateci a fare passare questo messaggio. Il pizzo è una partita tra tre soggetti, chi paga non rafforza solo l’organizzazione mafiosa ma legittima l’organizzazione ad avere il controllo del territorio. La battaglia non è solo dei commercianti o degli imprenditori».

A suo avviso a Foggia, mai come in questo momento, bisogna credere nel cambiamento.

«Possibile che non possiamo credere ad una città che possa essere senza mafia? Credere nel cambiamento è possibile perché altrove si è fatto. Ad Ercolano, a Vieste. L’appello alla città è una richiesta di aiuto».

Sul silenzio della politica Gianluca Ruotolo di Art.1 è schietto. «I partiti hanno provato a fare appelli all’inizio. Ma lo shock dello scioglimento dopo un anno e mezzo di pandemia ci ha ritrovato disarmati, anche se di mafia non se parla mai abbastanza. È vero che il dibattito pubblico non ha dato lo spazio che serviva per conoscere i dettagli della relazione di scioglimento. Inoltre la voglia di riscattarsi rispetto ad una pagina così nera ha portato molti a voltar pagina senza analizzare i dettagli. Ora è il tempo di riprendere le fila. L’assenza di leadership e di protagonismo nel centrosinistra è una roba che ci portiamo da prima dello scioglimento, nei 7 anni di opposizione non si era imposta una leadership, dobbiamo dirci la verità e la condizione complessiva della politica non è delle migliori. La politica è disabituata a far partecipare la cittadinanza, è rallentata». Secondo Ruotolo non è sbagliato partire dalla coalizione che perse le elezioni del 2019. «Il PD sia nel 2014 sia nel 2019 fece uno sforzo di rinnovamento nelle liste, non tutti sono diventati consiglieri comunali, molti giovani furono bloccati. Credo che si debba proseguire su quella linea di innovazione, non sono radicale, non è la singola esperienza che può interrompere un ricambio».

È disincantato invece Mimmo Di Gioia, primo referente di Libera a Foggia. «Questo è l’ennesimo appello che facciamo. Nel 1995, Libera nasceva a livello nazionale e anche qui a Foggia: noi avevamo in Puglia l’osservatorio pugliese contro la criminalità il cui presidente era Leone de Castris. Il direttore dell’osservatorio era un ragazzo napoletano che si è laureato a Bari e che lavora ora al Tribunale di Napoli che per qualche anno collaborò con don Luigi Ciotti a Libera. Noi avevamo creato attorno all’osservatorio qualcosa che aveva interessato 50 associazioni della Puglia e che aveva sede presso una circoscrizione di Bari. Nel 2003 il presidente della Provincia Pellegrino fece l’ambasciata di pace, l’unica costituita a livello nazionale ed istituzionale che si interessava anche del fenomeno della criminalità».

A suo avviso la classe imprenditoriale e politica non ha mai voluto analizzare gli eventi successivi a quel 5 gennaio del 1979, quando Cutolo, fuggito da Aversa, battezzò all’Hotel Florio la Nuova camorra organizzata. Un elemento dirimente per lui è l’assenza funesta di un Pug. Gli anni Novanta e le due uccisioni di mafia di Giovanni Panunzio e Francesco Marcone derivano da quei fatti, a suo avviso.

«La stessa sera che si approvò il Piano Benevolo Panunzio fu ammazzato- ricorda Di Gioia- Foggia viveva l’espansione del Cep e questa cosa ha a che fare con l’Ufficio del registro e con le carte che viaggiavano dall’Ufficio verso il Comune e che Marcone scoprì, prima di essere sparato. Un dirigente è stato trasferito a Bari per questi motivi. Foggia e i suoi imprenditori non hanno mai voluto analizzare questi fatti. L’appello è tutto qui».

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