Serve una certificazione statale contro il caporalato agricolo

by Leonardo Palmisano

Il più recente caso di arresti per caporalato in provincia di Foggia, dove un’impresa coinvolta gravitava nell’orbita di una rete privata anticaporalato, NoCap, mi fa pensare che è il caso di cominciare a mettere ordine in questo campo così ingombro di narrazioni e di interessi che producono più confusione che legalità.

Innanzitutto va definito il ruolo di regista che gioca ancora il crimine organizzato nei rapporti di forza interni al mercato del lavoro agricolo foggiano.

Inutile nascondersi una verità inoppugnabile: il grosso del collocamento della manodopera bracciantile straniera è condotto dal sistema dei caporali sui campi, complici non poche imprese di medie e grandi dimensioni e le mafie. Conviene ricordarlo per far comprendere ai consumatori che siamo molto lontani dall’essere riusciti a fare pulizia nel tessuto agricolo foggiano con qualche sporadico intervento locale.

Conviene ricordarlo anche a chi pensa di poter garantire il consumatore ed il lavoratore con narrazioni fittizie intorno a un territorio sistematicamente compromesso dal crimine. In secondo luogo, il ruolo dello Stato.

Io penso che a certificare il lavoro sano debba essere solo e soltanto lo Stato. Il ruolo delle associazioni, sindacali e datoriali su tutte le altre, è di istruzione di processi virtuosi, di costruzione di variabili positive, di introduzione di elementi di welfare, a sostegno di una certificazione vera e condivisa con i lavoratori e con le aziende.

Allo Stato il compito di attribuzione di certificazioni e di gestione della concessione delle stesse. Del resto, la normativa nazionale assegna già allo Stato questo ruolo ed in un momento come questo, nel quale il crimine e le mafie cercano foglie di fico dietro le quali nascondere i propri traffici, è alto il rischio che corre un’associazione di essere turlupinata dalla malavita.

Soltanto lo Stato ha quell’apparato di competenze (investigative), di risorse umane (procure, forze dell’ordine e ispettori del lavoro), scientifiche (universitarie), economiche (sempre universitarie) e giuridiche (leggi e protocolli) per costruire con sindacati e parti datoriali una certificazione nazionale contro il caporalato e per la pulizia della filiera agroindustriale e del commercio.

Lo Stato, inoltre, garantisce la terzietà rispetto agli interessi sul campo. E la terzietà sarà uno dei requisiti della società del futuro, quando saremo usciti dagli insulsi appetiti liberisti di questi lunghi anni di crisi e di crisi pandemica. Questo significa che ogni forma di certificazione che voglia raggiungere il consumatore per dare diritto di cittadinanza piena al lavoro degli stranieri schiavizzati, deve passare attraverso tavoli nazionali, regionali e provinciali pubblici, dove le Istituzioni devono assumersi la responsabilità di progettare certificazioni in raccordo con gli attori più riconosciuti. Questo vuol dire, in sintesi, che agli occhi dei consumatori più smaliziati non basta l’adesione di un’impresa a una rete virtuosa perché sia riconosciuta credibile: dev’essere sottoposta a controlli pubblici, a partire dai bilanci dietro i quali si nascondono le truffe a danno dei nuovi schiavi.

È quindi arrivato il momento di ridare forza alla potenza delle garanzie di Stato e alle relazioni istituzionali per generare una certificazione solida, che parta dal rispetto dei contratti di lavoro e arrivi al rispetto del consumatore.

Leonardo Palmisano, sociologo e scrittore, è presidente di Radici Future Produzioni e direttore artistico di Legalitria

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