Storytelling nell’Oltre Aniene, un progetto di rigenerazione urbana nella periferia Capitolina

by redazione

A Roma, nel quartiere del Tufello – dopo i tre anni di lavoro per sviluppare il progetto Storytelling nell’Oltre Aniene – artisti, studiosi, ragazzi e residenti si danno appuntamento il 4 febbraio per una giornata all’insegna dello scambio tra testimonianze ed esperienze.

Di Benedetta Pintus

Ogni luogo racconta una storia. Ogni quartiere, ogni paese, ha la sua. I muri, le strade, le insegne, i tetti e le fermate degli autobus ci parlano delle vite che ci hanno girato intorno. Certe storie sono note a chi quei luoghi li abita, qualcuna riesce a farsi conoscere anche altrove, ma molte, la maggior parte, sono storie che sfuggono, si perdono, vengono dimenticate o riscritte. È ciò che accade quasi sempre nelle periferie, spazi ai margini delle città o lontani dai centri urbani, che vengono spesso raccontati senza essere ascoltati, con le parole di chi li osserva a distanza, con diffidenza e pregiudizio.

In questi ultimi quattro anni al Tufello, borgata popolare al nord di Roma, la comunità ha intrecciato i fili della memoria e del presente per farsi centro e raccontarsi a partire dal proprio sguardo. L’occasione è stata il progetto “Storytelling nell’oltre Aniene” ideato e coordinato dall’hub di innovazione culturale RiverRun, che presenterà l’ultima tappa di questo percorso finanziata dall’Unione Buddhista Italiana, il 4 febbraio alle 10.30 nell’Aula Magna del Liceo artistico Bramante del quartiere.
Studenti e studentesse sono stati protagonisti dei laboratori di narrazione artistica e sperimentale, grafica e arredo urbano, dove esperti ed esperte li hanno guidati nella realizzazione di una digital library con la collaborazione di tutta la comunità. Abitanti, istituzioni, artigiane, associazioni e centri culturali del territorio si sono messi a disposizione degli adolescentii, che hanno setacciato il quartiere in cerca di testimonianze, mappe, documenti storici, foto d’epoca e filmini di famiglia, mettendoli a disposizione in un sito che racconta il secolo di vita del Tufello. Un racconto ininterrotto tra generazioni, dall’antifascismo alle lotte studentesche e politiche degli anni Settanta, dai ricordi delle donne nel dopoguerra all’occupazione della palestra popolare nel 2005, fino ai racconti di ragazze e ragazzi che vivono oggi gli stessi luoghi e raccolgono questa eredità, ridandole vita e facendola diventare parte della propria storia.

L’archivio online si raggiunge anche attraverso i QR code che loro stessi hanno realizzato con la tecnica del mosaico romano e poi installato in luoghi simbolici della vita di borgata – la scuola, la piscina, la biblioteca, le piazze, i mercati, il centro sociale – dando vita a una mostra multimediale che si articola tra i punti di riferimento di un rione lontano dalla Roma turistica, ai margini delle dinamiche di potere della capitale, ma mai rassegnato e silente.

Il Tufello è il quartiere in cui nel 1980 i fascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari assassinarono prima un giovanissimo militante di Autonomia Operaia, Valerio Verbano, e qualche mese dopo il giudice che stava indagando sul terrorismo nero, Mario Amato. Il quartiere intorno a cui nel 2001 si raccolse tutta la città dopo la tragedia di via Ventotene, quando una fuga di gas provocò una tremenda esplosione che uccise otto persone, tra cui quattro vigili del fuoco. Quello in cui lo spazio occupato Lab! Puzzle è stato riconosciuto come il primo bene comune urbano della città di Roma. Queste e altre storie impresse su nastri e pellicole tornano a parlarci attraverso i mezzi digitali, puntate di un podcast che diventa patrimonio comune da cui partire per immaginare un futuro scritto con parole proprie.
In questi ultimi quattro anni simili progetti di narrazione partecipata sono stati portati avanti da RiverRun in altri luoghi italiani marginalizzati, ad esempio in Sardegna, nella comunità di pescatori ai confini di Cagliari e in un borgo di 400 anime nel cuore della Marmilla, ideando in collaborazione con altri partner un percorso chiamato Nonturismo, da cui sono nate guide alternative per conoscere spazi che resistono alla gentrificazione e a quel turismo di massa che fa di panorami, esperienze e tradizioni prodotti di consumo usa e getta.

L’obiettivo è alimentare la consapevolezza di chi abita in luoghi periferici, spesso segnati da spopolamento e impoverimento economico e sociale, che sono abituati a subire le narrazioni altrui piuttosto che a raccontarsi a partire da sé e dalle proprie esperienze. Affiancare comunità che sono abituate ad essere abbandonate a se stesse, offrendo loro strumenti per ricucire la memoria e farne potenziale, permette una riflessione condivisa sull’identità che è un processo di autodeterminazione. Parte dal passato ma non si ferma al presente, perché consente di tracciare nuovi immaginari e prospettive inaspettate. Ripensarsi e cercare nella propria storia le parole per dirsi, significa interrogarsi su chi si è, qui e ora, e su chi si vuole essere, aprendo la possibilità di pensare a rotte diverse rispetto a quelle a cui sembrava di essere destinati. Lo storytelling diventa quindi un potente mezzo che permette di smettere di subire gli sguardi esterni e iniziare ad agire un futuro consapevole, come individui e come collettività.

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