Bisogna sciogliere, e scioglieremo!

by Enrico Ciccarelli

Il sacrosanto riserbo che circonda le attività della Prefettura e del Ministero dell’Interno in ordine al possibile scioglimento del Comune di Foggia per infiltrazioni della criminalità organizzata non impedisce di affermare che presto, forse anche prima di Ferragosto, la decisione verrà presa, e sarà quella attesa e draconiana di tenere un commissario prefettizio fino al 2023. La speranza di un provvedimento più mite, con la possibilità di far votare i Foggiani ponendo precisi paletti di incandidabilità e imponendo rigorose prescrizioni al nuovo possibile sindaco sembra appartenere al Paradiso dei desideri consolatori, non all’attuale Inferno della città.

Chi scrive trova che queste disposizioni di legge siano sbagliate e controproducenti, e non ho notizie di centri in cui la sospensione della democrazia abbia dato frutti positivi. Ma sarebbe temerario dire che sono campate per aria.

Perché questi provvedimenti severi non colpiscono tanto singoli fenomeni o episodi (la presenza dei clan nelle aziende di nettezza urbana è un fenomeno frequente nei centri del Sud, così come l’assalto della delinquenza alla spesa sociale), ma la complessiva incapacità della politica di essere luogo di mediazione sociale e la sua trasformazione in negoziatrice inconsapevole (quando va bene) degli interessi e dei gruppi di pressione, anche dei più tenebrosi.

La remora maggiore che porterà il Viminale e il Consiglio dei Ministri a sciogliere non è che possa perpetuarsi il potere supposto inquinante dei vari Landella, Iaccarino o Maffei; è che nel nuovo corso possano avere voce in capitolo gli stessi pacchetti di voti, magari trasferiti a sconosciuti che si presentino come “il nuovo”. Che cioè i padroni e gli artefici del meccanismo di scambio e di collusione tipico dei centri mafiosi possano gattopardescamente cambiare tutto perché nulla cambi.

Questione di clan, ma anche di colletti bianchi. Perché non c’è bisogno di leggere i bei romanzi di Piernicola Silvis per sapere che a Foggia il primo patto scellerato con la criminalità non è quello di una politica sempre più stracciona, ma quello di parti consistenti del mondo dell’impresa e delle professioni, sempre più lontani da qualsiasi idea valoriale del proprio ruolo e della propria funzione. Il familismo amorale e il tendenziale parassitismo delle società meridionali trovano nella subcultura mafiosa il loro habitat più confortevole.

Basteranno due anni per scardinarlo? Mi piacerebbe poterlo credere, ma sono scettico: non saranno certamente sufficienti le sparute truppe di anime salve, né tanto meno i lodevolissimi slanci della cittadinanza attiva, del terzo settore, di quella cultura solidale che -molto più di quella astrattamente legalitaria- è l’unico sicuro argine all’abuso e all’arroganza mafiosa.

Servirà una coraggiosa rifondazione dei partiti, in grado di battere la peste populista, a Foggia più che mai virulenta e pericolosa. Dagli umori dei social è agevole comprendere come per molti concittadini non solo lo scioglimento sia una bella notizia (anziché la tragedia e la vergogna che è), ma che si dovrebbe auspicare una sorta di commissariamento perpetuo, che liberi finalmente dalla mediocrità e dal malaffare della democrazia.

Il fatto è che, se la burocrazia fosse preferibile alla democrazia, non sarebbero state necessarie tutte le dolorose e cruente rivoluzioni della storia, non avremmo dovuto cambiare e migliorare la nostra mentalità. Perché la burocrazia, quand’anche immune da corruttele e malversazioni, ha il problema di essere monocorde: un solo iter, una sola risposta. Un’ottima cosa in molte circostanze, ma non in tutte. Perché non esiste un modo burocratico di gestire il mosso panorama delle diseguaglianze, e non esiste un modo burocratico di costruire il destino di una comunità.

Inoltre, siccome la natura ha in orrore il vuoto, lo spazio di mediazione, di inventiva e di soluzioni che competerebbe alla politica non resterà deserto, Chi lo occuperà? Gli interessi organizzati, compresi quelli dei clan.

Che faremo in questi due anni di “ordinaria amministrazione”, di scomparsa del futuro, delle progettualità, degli orizzonti? Basteranno gli assessori regionali? Basterà il “Gino Lisa”? Non credo.

Il ceffone sanguinoso e meritato che lo Stato sta per appiopparci ci consegna la palla. E siamo noi a doverci giocare. Almeno per chi dà ancora un senso alla parola “cittadino”.

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